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Dopo il caso Sea Watch, non si può far finta di non vedere che l’Ue sta precipitando in una voragine passo dopo passo. Incapace di esprimersi come soggetto politico unitario, è sempre più ostaggio delle forze nazionaliste che picconano le fondamenta della costruzione comunitaria

Non sempre tutto è bene quel che finisce bene. Il proverbio consolatorio nasconde sovente, soprattutto in politica, la tendenza perniciosa a chiudere gli occhi dinanzi alla gravità dei problemi in campo. Giusta, quindi, la generale soddisfazione per l’accordo che ha messo fine alla penosa odissea di una cinquantina di migranti in acque territoriali europee. Ma non è che si possa far finta di non vedere che questa ennesima prova di labilità delle istituzioni comunitarie allarga una voragine strategica nella quale l’Unione sta precipitando passo dopo passo.

Una volta di più, infatti, si è dovuto constatare che su una questione di dimensioni e caratura epocali, come quella dei migranti, l’Europa non c’è. È incapace di esprimersi come soggetto politico unitario ed è sempre più ostaggio di quelle forze nazional-sovraniste che stanno alacremente picconando le fondamenta della costruzione comunitaria. Il dato di fatto è sotto gli occhi di tutti e il premier maltese Muscat ha tenuto a sottolinearlo precisando che la soluzione per il caso dei 49 sventurati non è stata frutto di un’intesa “europea” ma solo di un’iniziativa concordata fra alcuni Paesi (otto) della Ue. Così certificando quella spaccatura politica profonda che tiene sotto scacco da tempo l’azione di Bruxelles.

Nel corso di quest’ultima vicenda migratoria molti, con alte grida scandalizzate, sono tornati a chiedere dove fosse l’Europa e come potesse il continente patria delle libertà assistere inerte a un tale scempio dei diritti umani. Se non si vuole che simili interrogativi si esauriscano in esercizi di facile retorica, occorre guardare in faccia la realtà di una metamorfosi politica che ha ormai sconvolto i rapporti fra i Paesi del continente. Si tratta, in primo luogo, di prendere atto che la partita di un’Unione come attore sovranazionale è già seriamente compromessa perché il richiamo sovranista sta prendendo il sopravvento anche fuori dalla sua originaria area orientale. Il più scaltro e determinato fra i caporioni del sovranismo, il premier ungherese Viktor Orbán, lo ha detto senza peli sulla lingua: “In passato pensavamo che l’Europa fosse il nostro futuro, ora sappiamo che noi siamo il futuro dell’Europa”. Parole che trasudano iattanza, ma fotografano anche il deragliamento del treno europeo dai suoi binari storici.

Deviazione che non si può spiegare solo con la facile presa demagogica del verbo nazional-populista. Sponda sostanziale del processo degenerativo è stata ed è la viltà politica con la quale allo scisma sovranista si è risposto da parte dei tanti cloni di Chamberlain che affollano le principali cancellerie dell’Europa sedicente liberale e democratica, da Parigi a Berlino.

Le catastrofi si annunciano spesso a piccoli passi e Orbán e camerati ne hanno fatti tanti e nemmeno piccoli per allontanarsi dagli ideali europei senza che nessuno trovasse la forza di aprire un conflitto politico frontale in nome dei valori fondanti della Ue. Fuga dal combattimento che alimenta un ancor più amaro dubbio ovvero che la benevola negligenza verso il sovranismo dichiarato degli uni si debba spiegare con l’inconfessabile criptosovranismo degli altri.

Cent’anni fa Keynes, chiosando il rovinoso pasticcio di Versailles, scriveva di “eclissi” della facoltà di curarci di ciò che va oltre il nostro immediato benessere materiale. Ci risiamo? È noto quanto successo nel frattempo.

Sorgente: Migranti, l’Europa chiude gli occhi davanti ai sovranisti | Rep

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