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In Rete definiscono il filmato «cinico e all’amatriciana». Polemiche anche per la foto del ministro della Giustizia in divisa

di Monica Guerzoni

Con il senno di poi, forse il ministro Alfonso Bonafede non lancerebbe dalla sua pagina Facebook il video in cui il terrorista pluriomicida Cesare Battisti viene esibito come un trofeo, senza un briciolo di umana pietas e in barba alle norme dello Stato di diritto. Sorpreso dallo sdegno suscitato dal filmato, dal titolo «Il racconto di una giornata che difficilmente dimenticheremo!», il Guardasigilli pentastellato ha fatto filtrare informalmente una giustificazione di questo tenore: «L’intento non era certo quello di ledere i diritti del condannato, ma dare risalto e lustro agli agenti di Polizia penitenziaria».

Parole sussurrate ai collaboratori dopo essere stato bersagliato di messaggi anche privati e che certo non bastano a spazzar via lo sdegno che l’iniziativa autocelebrativa del ministro della Giustizia — già sommerso da critiche e sfottò per aver indossato il giubbotto della Polizia penitenziaria, con l’evidente intento di inseguire Matteo Salvini — ha sollevato. Nelle prime 24 ore il filmino è stato visto 350 mila volte, suscitando lodi e riprovazione. I fan applaudono, ma tanti cittadini che disdegnano un ministero di Giustizia senza Grazia richiamano i comandamenti del Codice di procedura penale e dell’Ordinamento penitenziario. Sui social è una gara a bocciare lo spot come spietato, indecente, trash, pornografico, arcaico, pulp, e via citando.

Rocco Casalino, regista della comunicazione del governo, è spiazzato: «Non ne sapevo niente». Uno smarrimento condiviso da altri spin stellati, tra i quali il prodotto è stato giudicato «improvvisato, cinico e malfatto». Finché a sera in via Arenula ammettono l’«errore». Non tanto la scelta di confezionare il video, quanto una certa sottovalutazione e imperizia comunicativa: «Sarebbe bastato metterci il logo della Polizia penitenziaria, visto che lo hanno montato loro». Per il resto, Bonafede tiene il punto: «Nessuna vendetta, ma chi sbaglia paga». Per tre interminabili minuti e 52 secondi il detenuto viene «spiato» dall’occhio della telecamera. Eccolo, mentre scende dall’aereo scortato dagli agenti e poi durante le impronte digitali e la foto opportunity, in quella stanza gialla che sa già di carcere a vita. Il primo fotogramma, rubato dai ricordi personali, ritrae Battisti che sorride alla vita quando era un uomo libero. Gli ultimi lo inchiodano al sedile dell’aereo che lo ha portato nel carcere di Massama, fine pena mai. La suspence è suggerita da un motivetto alienante e ossessivo, degno di un horror all’amatriciana: «Comment te dire», di Bertysolo.

I penalisti esprimono sconcerto per l’esposizione del detenuto «come un trofeo di caccia». Il dem Walter Verini parla di «repubblica delle banane». Forza Italia denuncia «la giustizia trasformata in un b-movie». Ma intanto la cronistoria della cattura del latitante esalta Bonafede e il ministro dell’Interno, intenti a mostrare i muscoli in favor di telecamera. «Io non sopporto la spettacolarizzazione — si legge su Panorama del 4 febbraio 2015 — Non bisogna mai esibire un catturato. Se devi portare via uno, lo porti via di nascosto, la notte». Parola di Matteo Salvini.

Sorgente: Bonafede: «Chi sbaglia paga». Ma il suo video spot su Battisti imbarazza anche lo staff

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