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I risultati del voto alle Europee nei principali Paesi Europei: il continente si sposta più a destra, anche se è probabile la riconferma di von der Leyen alla Commissione europea e quella di Metsola al Parlamento europeo: ecco come è andata

diLuca Angelini e Gianluca Mercuri

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Una grande avanzata delle destre in Europa, ma con la probabile tenuta del vecchio asse popolar-socialista-liberale nel governo dell’Ue. Un formidabile successo della presidente del Consiglio in Italia, cui corrisponde un’affermazione del Pd così impetuosa da porre le basi per un nuovo, possibile bipolarismo.

I dati essenziali dell’importantissimo voto di ieri sono questi. Oggi avremo i risultati definitivi (e qui trovate tutti gli aggiornamenti sui risultati in Italia): di certo, c’è l’esito travolgente del voto nei due Paesi guida dell’Unione: sull’onda del successo della destra lepenista, il presidente francese Emmanuel Macron ha dovuto sciogliere il Parlamento nazionale, convocando elezioni anticipate per il 30 giugno-7 luglio; mentre in Germania il semaforo rosso-verde-giallo, come viene chiamata la coalizione socialdemocratica-verde-liberale del cancelliere Olaf Scholz, è stato spento da un voto che proietta clamorosamente i criptonazisti al secondo posto, dietro una Cdu che si conferma perno della democrazia tedesca. (Qui l’analisi di Paolo Valentino sull’umiliazione dei due leader).

Il voto in Europa

«L’estrema destra si afferma in Europa, si scuotono alcuni Paesi Ue (Macron in Francia ha sciolto il Parlamento, De Croo in Belgio si è dimesso), ma gli equilibri del nuovo Parlamento europeo non cambieranno: secondo le proiezioni della notte i deputati delle forze tradizionali europeiste resteranno la maggioranza tra i 720 eletti dai 27 Stati membri».

Nella sintesi della corrispondente da Bruxelles, Francesca Basso, c’è il paradosso di un voto (qui la mappa) che ha terremotato alcuni Paesi, a partire da Francia e Germania (ma anche Belgio, Austria e, in fondo, anche Ungheria), ma dovrebbe, alla fine, vedere un emiciclo di Bruxelles e Strasburgo non troppo dissimile — a livello di grandi famiglie politiche — da quello di cinque anni fa, preludio alla probabile riconferma di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione (se anche con i voti di Fratelli d’Italia si vedrà) e di Roberta Metsola a capo dell’Europarlamento.

Quanto hanno preso i diversi gruppi politici in Europa

Il Partito popolare europeo (Ppe) ottiene, secondo le proiezioni 189 seggi («Siamo la più grande forza al Parlamento europeo e nessuna maggioranza potrà essere formata senza il Ppe. Costruiremo un bastione contro gli estremisti da sinistra e da destra» ha detto von der Leyen);
i socialdemocratici 135;
i liberali e macroniani di Renew Europe 83;
i conservatori dell’Ecr (guidati da Meloni) 72;
l’estrema destra di Identità e democrazia (con leghisti e lepenisti) 58;
i Verdi 53;
la Sinistra 35.

A indietreggiare sono i Verdi, che da quarto gruppo diventano il sesto, sorpassati dall’Ecr e da Id.

Se, però, ai vertici delle istituzioni europee potrebbe cambiare poco, in alcuni Paesi è cambiato moltissimo, con riflessi immediati sui governi nazionali, ma non soltanto.

«Il re è nudo al centro dell’Europa. Si sbriciola il suo cuore carolingio. Il voto sposta a destra il baricentro politico dell’Unione, ma soprattutto scopre deboli e a fine corsa i leader di Francia e Germania, i due Paesi più grandi e fin qui inevitabili di ogni dinamica europea. Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono i veri, grandi perdenti delle elezioni», scrive nel suo editoriale Paolo Valentino.

E, come dice il direttore del Corriere, Luciano Fontana, il fatto che i governi tedesco e francese — da sempre traino dell’Ue — siano stati terremotati, impone la ricerca di «una nuova leadership europea». Nella quale potrebbe inserirsi l’Italia di Giorgia Meloni. Anche perché, aggiunge Massimo Franco, al di là della «netta torsione a destra» nell’Ue, «nei prossimi cinque anni la sfida non sarà solo tra destre e sinistre, ma in primo luogo tra due modelli di destra. Una europeista, l’altra nazionalista. Una filo-Nato, l’altra attirata nell’orbita russa; e, negli Usa, da Donald Trump. E la maggioranza di Giorgia Meloni, che esce rafforzata dalla prova del voto, riflette e rifletterà questo dilemma all’interno del proprio governo».

«Il responso delle urne avrà conseguenze importanti sulla vita delle istituzioni europee da qui al 2029 — conclude Valentino —. Ogni maggioranza “europeista” dovrà fare i conti con uno schieramento di destra rafforzato e deciso a far valere le proprie posizioni, sia pure al netto delle tante divisioni che lo segnano all’interno. Dossier cruciali come la politica di difesa contro l’espansionismo aggressivo della Russia di Putin, la politica agricola, la transizione climatica che è diventata il pomo della discordia dopo essere stata la bandiera della scorsa legislatura, saranno oggetto di negoziati duri, dove spesso salteranno le alleanze tradizionali. Soprattutto, sarà sempre più evidente il solco tra due idee d’Europa, quella che vuole affrontare insieme le sfide del futuro e quella che vorrebbe rimettere tutto nelle mani dei governi nazionali».

Chi ha vinto in Francia, e come è andata

Il contraccolpo più clamoroso è la decisione del presidente francese, Emmanuel Macron, di sciogliere il Parlamento, con elezioni anticipate il 30 giugno e 7 luglio: «Ho deciso di ridarvi la scelta del nostro avvenire parlamentare attraverso il voto» ha detto in un discorso tv tenuto meno di un’ora dopo che lo scioglimento era stato chiesto dal grande trionfatore del voto, Jordan Bardella, il 28enne scelto da Marine Le Pen come alfiere del Rassemblement national (qui un suo ritratto). La sua vittoria era annunciata, ma il 32 per cento dei voti ottenuti sono più del doppio di quelli della capolista macronista Valérie Hayer, ferma al 14,7%, quasi alla pari con Raphaël Glucksmann, che ha più che raddoppiato il suo risultato del 2019 arrivando al 14% con la sua lista Partito socialista/Place publique, surclassando la sinistra radicale a lungo egemone di Jean-Luc Mélenchon e della sua candidata Manon Aubry, che non è riuscita a raggiungere un risultato a due cifre e si è fermata al 9,5 per cento.

È vero che il voto parlamentare con il doppio turno potrebbe in parte «sgonfiare» il Rassemblement national (che fatica al secondo turno), ma come scrive Stefano Montefiori, «il voto per un nuovo Parlamento è una sfida estrema, che potrebbe farlo coabitare con un nuovo premier dalle idee opposte alle sue, Jordan Bardella». Opposte a partire proprio dall’Europa e dal sostegno all’Ucraina. «Non è un buon risultato per i partiti che difendono l’Europa, l’avanzata dei nazionalisti e dei demagoghi è un pericolo per la nostra nazione, ma anche per la nostra Europa, per il posto della Francia in Europa e nel mondo», ha detto Macron.

«L’idea di andare alle urne adesso, proprio sull’onda di un successo travolgente del Rassemblement national — scrive ancora Montefiori — denota rispetto per il clima politico e per l’umore del Paese, certamente, ma non per la tradizione e lo spirito della Quinta Repubblica: nessun presidente finora aveva sciolto l’Assemblea nazionale dopo un’elezione europea, che finora aveva avuto in politica interna un peso relativo».

«Sono disgustato. Macron ha ubbidito all’ingiunzione di Bardella, che invocava lo scioglimento dell’Assemblea. Lo ha accontentato», protesta Glucksmann.

In serata i parigini sono scesi in piazza, con manifestazioni spontanee contro l’estrema destra alla Bastiglia e in piazza della Repubblica. Molti hanno invocato un nuovo «Fronte popolare», come nel 1936, per fermare l’avanzata dei nazionalisti. Ma anche loro hanno gridato lo stesso slogan dei detestati sostenitori di Marine Le Pen e Bardella: «Macron démission!».

Chi ha vinto in Germania, e come è andata

«Il grande tabù è rotto, e l’irreparabile — se non altro in termini simbolici, perché un risultato elettorale resta scritto per sempre — è avvenuto in Germania. L’estrema destra ha superato il partito del cancelliere, i socialdemocratici», scrive da Berlino Mara Gergolet.

L’obiettivo minimo che si era dato il governo, o almeno i suoi due principali esponenti, la Spd e i Verdi — di tenersi l’Afd alle spalle — è sfuggito di mano. Alternative für Deutschland diventa la seconda formazione a livello nazionale con il 16% e, per la prima volta dal dopoguerra, in Germania un partito di destra radicale ha più consensi di tutti quelli al governo. I socialdemocratici con il 14% ottengono il peggior risultato della propria storia, anche sotto il 15,8% di 5 anni fa: sarebbe forse bastato a Olaf Scholz superare quella bassa soglia per dare l’illusione di una ripresa. Non è andata così. I Verdi quasi dimezzano i consensi scendendo al 12%, ben 8,5% in meno del 2019. I liberali galleggiano al 5%, superati dalla neonata formazione di sinistra populista, l’Unione Sahra Wagenknecht (6%).

Legittimo chiedersi come hanno fatto ieri all’unisono in tv i commentatori tedeschi, quanto a lungo il governo Scholz riuscirà a sopravvivere. Non raggiunge neppure un terzo dei consensi e litiga su tutto. Per contro, l’opposizione cristiano-democratica, guidata da Friedrich Merz, può rilanciare le proprie ambizioni. Il 30,3% combinato di Cdu e Csu (l’alleata bavarese) mostra la reale proporzione delle forze nel Paese. Quanto presto vorrà passare all’incasso? La previsione di Gergolet è che «gli avversari aspetteranno l’autunno, dove ci sono due scogli che il cancelliere faticherà a superare. Il voto in tre Länder dell’Est, Turingia, Sassonia e Brandeburgo, dove dovrebbe vincere l’Afd e la Spd registrare altre umilianti sconfitte. E la legge di bilancio, che i tre partiti del governo “semaforo” sembrano incapaci di concordare. (…) Nell’immediato, il vero dramma di Scholz si giocherà a Bruxelles. Non avrà né truppe sufficienti in Parlamento (dominato dal Ppe), né premier di sinistra con cui costruire alleanze: in tutto, nelle riunioni del Consiglio i “socialisti» sono in quattro. Von der Leyen è sì tedesca, ma del partito degli avversari interni. La Germania dell’era Merkel è un lontano ricordo».

Chi ha vinto in Spagna e Portogallo, e come è andata

Non sfonda nella penisola iberica l’onda nazional-identitaria e la supremazia resta un affare tra popolari e socialisti. Tra loro, chi è all’opposizione in casa vince in Europa. Il Portogallo regala un leggero vantaggio al centro-sinistra, in Spagna il centro-destra è avanti del 4%. Il risultato finale vede il Partido Popular al 34% (22 seggi), i socialisti al 30% (20). L’estrema destra di Vox, stesso gruppo Conservatori e Riformisti di Giorgia Meloni, resta molto lontana a 6 europarlamentari (9,6%). Cresce del 2% rispetto alle Europee del 2019, ma cala del 3% rispetto al voto nazionale del 2023. In Portogallo il centro-destra di governo (Alleanza Democratica) si fa superare di misura dai socialisti: 32,1% a 31,3. Terza forza resta l’estrema destra di Chega, ma col 9,8% crolla rispetto alle Politiche di marzo quando ha tocca il 18%.

Chi ha vinto in Belgio, e come è andata

«Da domani sarò un primo ministro dimissionario», ha detto in lacrime Alexander De Croo, che guida il governo del Belgio dall’ottobre del 2020. Ieri il Paese è andato alle urne non solo per le elezioni europee, ma anche per quelle politiche. Il suo partito, Liberali e Democratici Fiamminghi (Open Vld), era fermo attorno al 6 per cento, il nono partito. «Abbiamo perso. Ma i liberali sono forti, torneremo», ha concluso. I primi due partiti sono le destre fiamminghe di Nuova Alleanza Fiamminga e Vlaams Belang.

Chi ha vinto in Austria, e come è andata

All’Europarlamento la vittoria della Freiheitliche Partei Österreichs (Fpö), partito di ultradestra che promette agli austriaci un’Austria «libera, sicura, neutrale», vuol dire sei seggi, il doppio di prima, tra i banchi di Identità & Democrazia. «È solo una tappa», titola il quotidiano Kurier citando le ambizioni del «partito della libertà»: vincere le elezioni nazionali che si terranno in autunno, e la conseguente nomina a cancelliere per Herbert Kickl, dal 2021 segretario del partito.

Chi ha vinto in Ungheria, Polonia e Slovacchia

Ha vinto, ma non stravinto come al solito, il premier ungherese Viktor Orbán. Cala al 44% dal 53% che aveva e la vera novità ungherese è l’ex fedelissimo Péter Magyar, diventato il suo più agguerrito oppositore, una carta già pronta e da giocare per le politiche 2026: il suo 32% è un risultato strabiliante, per un partito — Tisza: rispetto e libertà — che fino a qualche mese fa nemmeno esisteva.

Varsavia e Bratislava fanno invece muro all’avanzata dell’ultradestra in Europa. Il premier polacco Donald Tusk ha dichiarato vittoria dopo l’indicazione degli exit poll che davano la sua Coalizione civica (Ko), centrista ed europeista, al 38%, davanti ai sovranisti di Diritto e giustizia (Pis) guidati da Jaroslaw Kaczynski, rimasti sotto il 34%. Al Parlamento di Strasburgo Varsavia invia 53 deputati, con la formazione di Tusk che ne manda 21 ai Popolari europei (+4 rispetto al 2019), e il Pis 19 nel gruppo di Ecr (-7). In controtendenza dunque rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’Ue, gli elettori polacchi eleggerebbero dunque rappresentanti più moderati e meno di destra che in passato.

Così a Bratislava, dove secondo le proiezioni, i liberali europeisti di Slovacchia Progressista, all’opposizione, contano su quasi il 28% dei voti. Tre punti in più dei populisti di Smer del premier Robert Fico, fermi sotto il 25%: l’attentato che lo ha colpito tre settimane fa non ha rafforzato il suo fronte pro-Putin.

Sorgente: I risultati definitivi delle elezioni Europee, Paese per Paese | Corriere.it


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