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di Giulia Bertotto per L’AntiDiplomatico

Roberto Fantini, professore di filosofia e saggista, si è dedicato molto allo studio di un personaggio poco noto, Aldo Capitini, e lo ha restituito in un agile ma denso libro “Aldo Capitini La bellezza della luce” in cui descrive il filosofo, poeta, educatore, politico nelle sue tre personalità di antifascista, eretico e vegetariano.

Un uomo di famiglia umile che diventerà un intellettuale non da salotto ma da collettivo, uno spirito religioso ma anticlericale, un gandhiano socialista, un antifascista senza quartiere, ma senza partito. Eretico perché in Capitini il piano religioso non è mai scisso da quello etico e politico. Il suo concetto di “compresenza” è una dimensione di tipo mistico, immanente e soprannaturale al contempo, in cui non c’è distinzione (seppur persistono gradi di forza ontologica) tra inorganico e organico, animale e umano, laico e sacerdotale, dannati e salvati.

Il filosofo umbro, nella poesia si ispira alla tragedia del dolore universale leopardiano, nell’azione terrena sposa la non-violenza giainista, nella filosofia abbraccia molti pensatori tra cui l’emanazionismo divino di Plotino e la compassione cosmica del Buddha, e nella teologia la sua “religione aperta”, sempre a venire e mai dogmatica. Un panteismo che non può che spalancarsi ad una trascendenza in espansione. Capitini, come ce lo racconta anche il professo Fantini è quindi la prova che si può abbracciare un impegno etico in terra e al contempo avere una profonda fede in una coscienza oltre il mondo visibile.


Professor Fantini, che cos’è l’antifascismo per Capitini? Non è certo quella 
passerella istituzionale che oggi molti politici sfruttano a loro favore mediatico …

Direi che il suo antifascismo è, prima di ogni altra cosa, rifiuto della menzogna, della falsità mascherata e agghindata dal trionfo della retorica.  volontà di non collaborare con chi idolatra la violenza, servendosene, su ogni piano e in ogni modo, per impedire il confronto, per rifiutare la diversità, per zittire il dissenso. È, cioè, esigenza irremovibile di autenticità e di onestà intellettuale, qualcosa, al contempo, di molto francescano e di molto kantiano. Insomma, sì, qualcosa che ha ben poco a che vedere con le tante forme di pseudoantifascismo oggi molto diffuse, dominate dall’ipocrisia e dall’apparenza.


Non si può essere socialisti e al contempo carnivori. Ne “Il potere di tutti” 
scrive “un socialista si sente indotto a essere vegetariano: non è una classe oppressa anche quella degli animali?”. Ci spiega meglio questa concezione nella visione del nostro?

Capitini si è sempre coerentemente schierato dalla parte dei più rifiutati, dei più vilipesi, dei più umiliati, schiavizzati e calpestati. E si trovò ad abbracciare il vegetarianesimo per una amorosa apertura della coscienza, come concreta ribellione nei confronti della tirannia della forza che pretende di poter decidere chi meriti di vivere e chi NO. Rifiutare di cibarsi della carne degli animali è stato, per lui, un atto profondamente “politico” di denuncia della arroganza fascista. Un fermo e coraggioso “j’accuse” (ben compreso, tra l’altro, da Giovanni Gentile) nei confronti di un regime ideologicamente gerarchico ed eticamente privo del valore della pietà. Una scelta che finì per costargli l’allontanamento dalla Normale di Pisa.

Certamente. Io li considero non soltanto i due maggiori pedagogisti italiani del ventesimo secolo, ma anche, nello stesso tempo, i nostri due massimi maestri ed alfieri della Cultura della Pace. Entrambi accomunati da una profonda fiducia nella sacralità dell’infanzia e da una determinata volontà di liberare il fanciullo dalle gabbie e dalle catene di una educazione tradizionale autoritaria e fondata sulla paura e sulla cieca obbedienza. Entrambi accomunati, inoltre, da una visione cosmicamente “religiosa”, al di fuori di qualsiasi etichetta e di qualsiasi parrocchia, basata sull’attenzione per gli “ultimi”, sull’apertura solidale verso tutti gli esseri e sul sentimento affratellante della non separatività.


Capitini infatti stringeva un rapporto profondo tra educazione, 
partecipazione politica e sentimento spirituale.

L’educazione è stata sempre al centro della sua ricerca e delle sue numerose e importanti iniziative di concreta democrazia diretta, e sempre ha comportato chiare valenze sia di ordine spirituale sia di ordine socio-politico. Per lui, l’educazione dovrebbe mirare a rifiutare e a combattere i modi coercitivi e autoritari, le mitologie nazionalistiche e razziali, gli abusi del potere e ogni forma di sfruttamento, promuovendo, in alternativa, la sincerità, la libera discussione, il rispetto delle minoranze, di tutti gli “eretici”, di chi è ai margini o fuori dai gruppi organizzati e dominanti. Soprattutto, dovrebbe rendere possibile una visione della realtà liberata dalla dogmatica convinzione che soltanto la violenza sia in grado di guidare il mondo, favorendo, in alternativa, la costruzione di una società autenticamente egualitaria, fondata sul valore dell’ “unità amore verso tutti gli esseri”.

Sorgente: Fantini racconta Aldo Capitini: antifascista senza partito, mistico oltre le chiese – Cultura e Resistenza – L’Antidiplomatico