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di Soraya Misleh*

 

Sono stati quasi 50 giorni di genocidio a Gaza con un incremento della pulizia etnica in Cisgiordania, in particolare nei territori palestinesi occupati militarmente da Israele nel 1967. Mentre sono in corso negoziati per una «tregua umanitaria» – e non per un cessate il fuoco totale – il sangue continua a essere versato e mette a nudo la storica complicità internazionale che ha dato il via libera al tentativo di «soluzione finale» sionista: è la nuova fase della Nakba (catastrofe, la cui pietra angolare è la formazione dello Stato razzista di Israele più di 75 anni fa). Nonostante il dolore, la Palestina resiste e non si piega, mentre la solidarietà internazionale cresce e approfondisce la sconfitta politica sionista.

Gaza: un ghetto vittima della «soluzione finale» sionista

Nel ghetto di Gaza, dove 2,4 milioni di palestinesi vivono sotto il criminale assedio israeliano da 15 anni, sono morte più di 13.000 persone, la maggior parte delle quali sono bambini e donne. I bombardamenti aerei indiscriminati si combinano con il fuoco dei carri armati e dei soldati a terra.
Armi chimiche di ultima generazione, garantite dai miliardi di dollari dell’imperialismo statunitense, continuano a essere scatenate sui corpi dei palestinesi. Dei 2,4 milioni di abitanti palestinesi, 1,5 milioni sono stati espulsi dal nord al sud di Gaza. Molti di loro sono stati uccisi da Israele durante il tragitto. L’assedio si è aggravato, con il taglio totale di acqua, elettricità, carburante e comunicazioni.
I palestinesi possono scegliere tra morire di fame, di sete, per mancanza di cure mediche (dato che gli ospedali sono stati distrutti e non sono in grado di funzionare) e ora anche di freddo, con l’inverno alle porte, o essere i prossimi a essere annientati dalle bombe assassine israeliane.
Le scene della barbarie sionista vengono immortalate dai giornalisti palestinesi mentre perdono famiglie, amici, animali, case, tutto. In lacrime, iniziano il loro servizio: «Sono ancora vivo», «sono ancora vivo»: più di 60 di loro sono già caduti, insieme a centinaia di medici, artisti, ecc. Non c’è protezione o luogo sicuro in mezzo al genocidio.
Le loro telecamere e le loro parole, piene di indignazione e di senso di abbandono da parte del mondo, sono allo stesso tempo un grido di aiuto e di resistenza: «Per non dimenticare: Palestina libera!», dice uno di loro. E rivelano anche che la ricerca di una vita dignitosa da parte dei palestinesi, nel mezzo del genocidio di Gaza, è anche un atto di resistenza.
I palestinesi si tagliano i capelli, preparano il pane, inventano e reinventano modi per sopravvivere; i bambini giocano con i loro gatti (e li salvano), mentre la morte continua ad essere in agguato. Nel frattempo, la resistenza armata combatte eroicamente contro Israele, la quarta potenza militare del mondo nonché enclave militare dell’imperialismo.

Violenza genocida e intensificazione dell’apartheid

In Cisgiordania solo negli ultimi 50 giorni sono stati uccisi circa 300 palestinesi, tra cui decine di bambini. Nelle ultime settimane, i campi profughi di Balatah, a Nablus e Jenin, sono stati bombardati, aggiungendosi al tragico elenco di decine di martiri uccisi dalle forze di occupazione sioniste.
Gli attacchi e i pogrom (persecuzione violenta e deliberata di un gruppo etnico o religioso ndr) compiuti dai coloni sionisti sono in aumento. I prigionieri politici palestinesi stanno aumentando in modo allarmante. Si parla di un numero di prigionieri che oscilla tra gli 8.000 e i 10.000 (fino all’inizio di ottobre erano 5.200). Israele ha anche aumentato le barbare torture e le sparizioni di prigionieri. È il caso del cittadino brasiliano-palestinese Islam Hamed, scomparso da oltre 40 giorni.
D’altra parte, gli 1,9 milioni di palestinesi che vivono nelle aree occupate dal 1948 – i cosiddetti cittadini arabo-israeliani – sono soggetti alla piena dittatura, oltre alle 65 leggi razziste che fanno parte della loro realtà. Se cercano di organizzare una protesta contro il genocidio, o anche solo di fare un post in rete, un soldato israeliano bussa immediatamente alla loro porta e li ferma. Gli attacchi sionisti contro di loro sono aumentati, di pari passo con l’avanzamento della discriminazione alimentata dalla propaganda per il genocidio e la pulizia etnica.
Ci sono 13 milioni di palestinesi nel mondo, metà sono rifugiati (diaspora), metà sotto la colonizzazione e l’apartheid. Per tutti loro, Gaza sanguina ma resiste. Per loro, la comunità della diaspora continua a scendere in piazza, denunciando e chiedendo la fine della complicità internazionale.

Siamo tutti palestinesi! Solidarietà internazionale

Secondo il Progetto Acled, che analizza le informazioni sui conflitti armati, al 7 novembre c’erano state 3.700 proteste in tutto il mondo contro il genocidio a Gaza e l’aumento della pulizia etnica in tutta la Palestina occupata. La solidarietà internazionale supera decisamente le manifestazioni a favore di Israele, che sono state 520.
Oltre a quelle in Medio Oriente e Nord Africa, le grandi manifestazioni negli Stati Uniti, che includono migliaia di ebrei antisionisti, si distinguono nella solidarietà internazionale con il popolo palestinese. Anche nel cuore dell’imperialismo, secondo il Progetto Acled, nel primo mese del massacro israeliano si sono svolte 600 proteste.
In Europa, oltre alle grandi manifestazioni di Londra, che hanno riunito ben un milione di persone, sono degne di nota le 170 proteste pro-palestinesi in Germania, dove la criminalizzazione delle stesse è molto forte.
Di fronte ai crimini israeliani contro l’umanità, persino alcuni governi sono stati costretti a richiamare i loro ambasciatori o interrompere le relazioni con Israele, come Irlanda, Bolivia, Belize, Sudafrica, Turchia, Ciad, Colombia, Cile e Giordania. In Brasile si chiede che anche Lula (da sempre «faro» nel mondo per la sinistra riformista e non solo ndt) compia questo passo e interrompa immediatamente le relazioni economiche, militari e diplomatiche con lo Stato genocida di Israele. Il Brasile non fa eccezione alla regola: la complicità del Brasile con la colonizzazione sionista è storica. Risale al voto a favore della raccomandazione di spartizione della Palestina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, presieduta dal diplomatico brasiliano Osvaldo Aranha – un via libera alle milizie sioniste per realizzare i loro piani di pulizia etnica, culminati nella Nakba del 1948.
Il Brasile è il quinto importatore di tecnologia militare sionista, posizione raggiunta durante i primi governi Lula, quando il Paese ha svolto un ruolo decisivo nella firma dell’accordo di libero scambio Mercosur-Israele.
Il genocida Bolsonaro e la sua intollerabile propaganda ideologica sionista sono stati la ciliegina sulla torta. Nel bel mezzo del genocidio a Gaza, tre progetti di decreti legislativi, firmati da Bolsonaro con Israele, sono stati vergognosamente approvati alla Camera dei Deputati. È urgente impedire che passino al Senato e rafforzare la richiesta di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, sulla falsariga della campagna di solidarietà internazionale che ha contribuito a porre fine all’apartheid in Sudafrica negli anni Novanta.
Allo stesso modo, è necessario denunciare il fatto che i governi degli Stati continuano ad armare le loro forze di polizia per promuovere il genocidio dei poveri e dei neri, così come lo sterminio delle popolazioni indigene, con le stesse armi che uccidono i palestinesi. Così, è necessario denunciare e fermare ogni forma di complicità tra istituzioni, aziende e università.

Criminalizzazione, falsa propaganda e razzismo

A tal fine, è necessaria una forte offensiva per diffondere informazioni e denunciare le bugie del sionismo, riprodotte nella propaganda di guerra dei mass media contro il popolo palestinese. Questa propaganda di guerra serve a giustificare e alimentare il genocidio e la pulizia etnica, strumentalizzando la criminalizzazione, la repressione, la censura, la persecuzione, il razzismo, la xenofobia e l’islamofobia, anche in Brasile. Contribuendo alla criminalizzazione, il 14 novembre il sindaco di San Paolo, Ricardo Nunes, ha firmato un impegno con la Confederazione israelita del Brasile (Conib) per la nuova definizione introdotta dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (Ihra), che equipara l’antisemitismo all’antisionismo. Cosa che è assolutamente falsa, poiché l’antisemitismo è la discriminazione contro gli ebrei e l’antisionismo è la critica al progetto coloniale sionista e allo Stato di Israele. Gli ebrei antisionisti, che stanno crescendo anche in Brasile, stanno già denunciando questa falsa associazione. Si stanno unendo a coloro che stanno alzando la voce: «Non in nostro nome, mai più è mai più, per tutti!».
Dobbiamo fermare questo assalto per mettere a tacere le voci che insistono nel voler stare dalla parte giusta della storia e porre fine alla vergognosa complicità con il genocidio, la pulizia etnica e la Nakba in corso.

*attivista palestinese, militante del Pstu (Brasile)

Sorgente: La Palestina resiste in una nuova fase della Nakba

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