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Nelle scorse settimane è girata su vari quotidiani la notizia che il 5% più ricco delle famiglie detiene il 46% della ricchezza totale in Italia. Per i più avvezzi a questi dati tutto ciò non è certo nulla di nuovo, anzi, come avevamo già fatto notare, la disuguaglianza è una scelta politica che caratterizza fortemente le società capitalistiche in cui viviamo. Non è certo una novità la presenza di disuguaglianze in Italia, un problema  completamente ignorato o sistematicamente aggravato dalle politiche classiste del governo e di tutti i governi degli ultimi anni, che al più mettono, nel migliore dei casi, qualche pezza troppo piccola per un buco troppo grande. Ne sono una dimostrazione i dati allarmanti dell’ISTAT che mostrano come il 9,4% della popolazione residente in Italia viva in una condizione di povertà assoluta.[1]Dati che preoccupano considerando che solo quindici anni fa il fenomeno riguardava appena il 3% della popolazione.

La novità qui è un’altra. I dati sulla disuguaglianza riportati dai titoloni dei giornali sono una serie di nuovi dati resi pubblici dalla Banca d’Italia, all’interno di un più ampio progetto europeo. È quindi molto interessante andare a spulciare e trovare qualche spunto in più sul tema della disuguaglianza che l’utilizzo di questi Distributional Wealth Account ci può dare e che una lettura superficiale delle testate giornalistiche potrebbe aver perso.

In nostro aiuto arriva un comunicato stampa di Banca d’Italia dove possiamo trovare vari grafici interessanti. Il primo ci spiega come è costituita la ricchezza della popolazione italiana e di come questa composizione cambi se parliamo del 50% più povero o del 10% più ricco.

Qui da notare sono principalmente due cose. La prima, la metà della ricchezza degli italiani sia data dalle abitazioni. La seconda, è come nei fatti la ricchezza del 90% più povero del paese sia costituta per la stragrande maggioranza proprio dalle abitazioni di proprietà e in minor parte dai depositi sul conto corrente. Le persone comuni, insomma dispongono per lo più dell’essenziale, ovvero una casa (per la quale spessissimo devono fare sacrifici di una vita e contrarre mutui decennali) e qualche soldo da parte. Al contrario per il 10% più ricco la ricchezza immobiliare rappresenta solo il 36% del portafoglio. Notiamo insomma come i super-ricchi siano tali grazie al possesso (oltre che di un maggior patrimonio immobiliare) di una serie di diverse attività finanziarie e come l’accumulazione di redditi finanziari sia tra i maggiori vettori della disuguaglianza della ricchezza complessiva. Attività finanziarie che, al contrario del mito di una finanza democratica e accessibile a tutti, resta in mano alla classe più ricca che ne detiene ben il 95% del totale per un valore che è passato da circa 750 miliardi di euro nel 2011 a più di 1250 miliardi di euro nel 2022. Una sfera, quella finanziaria che, alla faccia della crisi, cresce sana e forte, ma i cui frutti rimangono come sempre nelle mani di pochi.

Uno sguardo attento va poi dato ai seguenti 6 grafici. I primi due in alto vanno analizzati in coppia. Ci dicono che negli ultimi dieci anni la ricchezza mediana è visibilmente calata e che la ricchezza media è invece aumentata. Alla vista di questi due grafici un occhio non esperto potrebbe pensare “beh dai, almeno in media siamo più ricchi”, è sta proprio qui il problema. Per capirlo, è importante riflettere sulla differenza tra media e mediana, la prima è il valore che otteniamo se dividiamo il totale della ricchezza per il numero totale di persone, la seconda invece è il valore di ricchezza che ha il cittadino che si troverebbe a metà se ordinassimo tutte le persone in ordine crescente e che avrebbe quindi ai propri lati rispettivamente il 50% più povero e quello più ricco. Appare chiaro quindi che, se la mediana cala e la media sale questo vuol dire che la crescita totale della ricchezza è avvenuta solo per le persone che si trovavano nella metà di popolazione dal lato più ricco rispetto al nostro cittadino mediano e che quindi in soldoni non siamo “tutti un po’ più ricchi” ma piuttosto “i più ricchi sono diventati ancora più ricchi, i poveri più poveri”.

Intuizione infatti confermata dai due grafici al centro, che indicano come soprattutto durante il periodo dell’Austerità, la società italiana sia diventata più diseguale (indice di Gini più alto) e di come la percentuale di ricchezza posseduta dal 5% più ricco sia schizzata verso l’alto di ben 8 punti percentuali in 5 anni. Anni in cui è aumentato anche il rapporto tra debiti e attività per le famiglie più povere, che hanno quindi avuto una maggiore necessità di indebitarsi per far fronte alle proprie esigenze.

Per chiudere il tutto è utile avere una panoramica europea che comprenda anche ciò che succede sulle disuguaglianze dei nostri vicini d’oltralpe. A questo proposito, c’è da dire che l’Italia nei fatti non è una società più diseguale della media europea, ma si trova comunque su una traiettoria preoccupante. Appare chiaro dai seguenti grafici come anni di crisi ed austerità abbiano portato il cittadino mediano italiano dall’essere ben più ricco di quello europeo a trovarsi ad un valore quasi uguale. È importante notare inoltre come siamo l’unico paese europeo in cui la crescita della ricchezza percentuale del 5% più ricco è stata così forte e sostenuta soprattutto nel periodo 2011-2017 per poi subire una battuta d’arresto e avere un andamento altalenante. La proprietà immobiliare della casa di abitazione, in Italia ancora piuttosto diffusa anche tra le classi di reddito medie, fa sì che la percentuale di ricchezza detenuta dal 50% più povero resti tra le più alte dei più grandi paesi europei (insieme alla Spagna), ma l’andamento del periodo 2011-2017 è stato decrescente confermando la tendenza ad una redistribuzione della ricchezza che ha favorito in particolare il vertice della piramide dei più ricchi.

L’Italia è caratterizza quindi da una forte e crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza (che va di pari passo con l’aumento storico della disuguaglianza dei redditi). Si tratta di una piaga sociale che può essere affrontata soltanto invertendo drasticamente la rotta delle politiche economiche, sia a monte sia a valle del problema. A monte la disuguaglianza della ricchezza è legata strettamente alla disuguaglianze dei redditi e del potere di acquisto delle persone, ovvero alla crescente disuguaglianza tra bassi salari ed alti profitti e alla crescita della disparità salariale tra salari direttivi (manageriali) e salari ordinari, nonché all’assenza di politiche sociali che favoriscano l’accesso al patrimonio immobiliare e a mutui o affitti agevolati, senza i quali la capacità di risparmio delle famiglie si riduce drasticamente. A valle la redistribuzione della ricchezza (e del reddito) passa per una politica tributaria che sia in grado di tassare in ottica fortemente progressiva gli alti redditi e le grandi ricchezze (immobiliari e finanziarie) redistribuendo così le risorse a chi ha meno sotto forma di redditi integrativi e di servizi pubblici capillari.

Per attaccare alla radice il problema della disuguaglianza a monte e a valle del processo produttivo non bastano correttivi e palliativi, ma occorre mettere in discussione la direzione complessiva delle politiche economiche segnate da tre decenni di egemonia neoliberale.


[1] Sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita dignitosa rispetto a degli standard stabiliti in ogni paese. La soglia al di sotto della quale si parla di povertà assoluta in Italia è definita dall’Istat attraverso il paniere di povertà assoluta.

Sorgente: Esplodono le disuguaglianze: parola della Banca d’Italia | coniare rivolta

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