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Nel 2018 l’Unesco dice che «l’educazione sessuale nelle scuole consente a bambini e ragazzi di sviluppare conoscenze, competenze, atteggiamenti e valori che li metteranno in grado di realizzarsi, nel rispetto della loro salute, del loro benessere e della loro dignità» (qui il dossier) . L’aveva già sostenuto nel 2010 l’Organizzazione mondiale della sanità, raccomandando che iniziasse «fin dalla tenera età». In Italia la politica ne discute dal lontano 1902, quando il ministero dell’Istruzione risponde a un’interrogazione che chiede di istituire corsi per la prevenzione delle malattie veneree. Il primo vero tentativo di approvare una legge che introduce lezioni di educazione sessuale risale al 1975, e da allora si contano almeno 16 proposte parlamentari. Tutte fallite. Nel 1991, governo Andreotti, sembra in procinto di passare una legge che mira a renderla una materia (non obbligatoria) a partire dalla scuola primaria. Ma l’anno successivo non ottiene l’approvazione del Parlamento perché nel frattempo scoppia Tangentopoli e tutto rimane congelato. Da allora il dibattito torna ciclicamente d’attualità, col solito strascico di polemiche politiche (maggio 2022, Salvini: «Parlare di sesso, di coito e penetrazione ai bimbi delle elementari? Un secco no»; ottobre 2023, Amorese (Fdi): «I bambini non si toccano, i bambini non si deviano»). Il 22 novembre, quattro giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, la giovane veneta uccisa dall’ex fidanzato, il ministro Giuseppe Valditara presenta il progetto per introdurre l’«Educazione alle relazioni»: 30 ore all’anno di lezioni agli studenti delle superiori, per far prendere loro «coscienza dei propri atteggiamenti» e delle conseguenze, anche penali, che possono comportare. Resteranno confinate fuori dal curriculum, si svolgeranno nel doposcuola su base volontaria. Tradotto: una legge sull’educazione sessuale vera e propria, all’interno del percorso scolastico, anche stavolta non si farà.
Così funziona in Italia

Il risultato è che oggi le attività educative sono disomogenee e lasciate alla buona volontà di presidi e Regioni. Nell’anno scolastico 2016/2017 su 5.364 istituti pubblici superiori neppure 1.400 hanno attivato percorsi di educazione sessuale e di promozione di comportamenti sicuri. Il loro numero è progressivamente cresciuto fino a coinvolgerne 1.600, per poi calare con la pandemia (qui lo studio). In molti casi la durata delle attività è stata di appena tre sessioni per un totale di sei ore, durante le quali si è parlato soprattutto di malattie trasmissibili, relazioni e sessualità. Gli istituti del centro-nord e delle grandi città sono i più attivi, mentre solo il 17% delle attività ha coinvolto i giovani del Sud. Appena 13 progetti (su 232) hanno interessato le scuole primarie, nonostante l’Oms dica che già dalle elementari i bambini dovrebbero «imparare il concetto di sesso accettabile, volontario, paritario, adeguato all’età e al contesto, caratterizzato dal rispetto di sé».

Europa, il fronte del no

Guardando all’Unione europea, oltre che in Italia, l’educazione sessuale a scuola non è obbligatoria in 6 Paesi: in Ungheria(dove una legge si assicura che il materiale scolastico non contenga nulla che promuova «la divergenza dall’auto-identità corrispondente al sesso di nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità»), in Bulgaria, a Cipro, in Romania (dove ancora fa discutere la legge del 2022 che istituisce l’«educazione sanitaria»), in Lituania e in Polonia (dove ad agosto viene approvata in via preliminare una legge che vieta l’accesso nelle scuole a Ong che «promuovono la sessualizzazione dei bambini»). Iniziative, quelle di Ungheria e Polonia, fatte più per propaganda politica che per una reale eventualità che i prof affrontino in classe, per esempio, le tematiche Lgbt. E si tratta degli stessi Paesi che criticano l’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul che si pone l’obiettivo della prevenzione e del contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica.

Europa, il fronte del sì

Negli altri 20 Stati membri dell’Ue l’educazione sessuale a scuola è obbligatoria, seppur esperienze e programmi possano essere molto diversi. Vediamo quelli dei principali Paesi. La Svezia è stato il primo Stato a inserirla nel programma scolastico, già nel 1955, per tutti i ragazzi dai 12 anni ma di fatto fin dalla scuola dell’infanzia gli insegnanti rispondono a qualsiasi domanda dei bambini sulla sessualità in modo aperto e iniziano le lezioni vere e proprie prima della pubertà. In Austria, altro Paese considerato all’avanguardia, l’educazione sessuale è obbligatoria dal 1970: inizia alle elementari, integrata nelle lezioni di Biologia, e non si limita all’informazione scientifica ma approfondisce il tema delle emozioni e sulle relazioni affettive. In Germania si insegna da decenni, ma dopo la riunificazione, a metà degli anni Novanta ha introdotto programmi obbligatori: l’educazione sessuale inizia a scuola dai 9 anni, integrata in materie come Cittadinanza, Religione e Biologia. La legge prevede che i docenti non si limitino ai punti di vista biologici e medici, ma discutano anche di emozioni, relazioni ed etica. Su molti aspetti dei programmi però viene lasciata libertà ai governi regionali.

In Francia è obbligatoria dal 2001 in tutte le scuole dalle elementari ai licei: sono tre cicli di lezioni all’anno (per circa trenta ore) che coprono aspetti biologici, sociali ed etici. L’obiettivo dichiarato è di stimolare tra gli studenti l’autostima e il rispetto per gli altri, anche se un report dall’Ispettorato generale del ministero dell’Istruzione ha rilevato che la legge non viene adeguatamente applicata: solo il 15% degli studenti delle scuole superiori e il 20% degli alunni delle scuole medie ricevono un’educazione accettabile sul tema. Dal 2005 in Spagna l’educazione sessuale rientra nel più ampio insegnamento dell’Educazione alla Cittadinanza. Dal dicembre 2022 è obbligatoria e il programma prevede l’educazione sessuale, sull’uguaglianza di genere e affettivo-sessuale che devono essere assicurate in tutti i cicli scolastici. Paese cattolico per definizione, in Irlanda nel 2003 l’educazione sessuale è diventata obbligatoria nel ciclo primario e post-primario. In combinazione con Biologia e Religione, le lezioni riguardano anche il rispetto del partner. Anche se fuori dall’Unione europea, si può guardare all’esperienza del Regno Unito: l’ultima legge è del 2020 e estende alle primarie l’insegnamento dell’educazione alle relazioni, mentre alla scuola secondaria si aggiunge l’educazione sessuale vera e propria. Sul sito del governo inglese si legge: «Le scuole secondarie dovrebbero includere contenuti Lgbt nel loro insegnamento. Le scuole primarie sono fortemente incoraggiate e abilitate a contemplare l’esistenza di famiglie con genitori dello stesso sesso».

Le scuole secondarie dovrebbero includere contenuti Lgbt nel loro insegnamento.

Effetti positivi sul Gender Gap

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ( Eige ) assegna ai Paesi membri un punteggio relativo all’uguaglianza di genere che tiene conto delle differenze nel lavoro (dal tasso di occupazione alle prospettive di carriera), negli organi di potere, nell’accesso all’istruzione… A ciascuno viene assegnato un voto tra 0 e 100, dove 100 significherebbe che un Paese ha raggiunto la piena uguaglianza tra donne e uomini. Ebbene l’Italia ha un punteggio di 68, sotto la media europea (70). I voti più bassi li prendiamo per quanto riguarda l’accesso all’istruzione e le quote rosa negli enti rappresentativi, dal Parlamento ai consigli comunali. Tutti gli Stati che abbiamo preso in esame in questo articolo sono messi meglio di noi. La Svezia svetta con 82 punti e poi Spagna 76, Francia 75, Irlanda 73… Peggio fanno proprio i Paesi che non hanno l’obbligatorietà dell’educazione sessuale a scuola: Bulgaria (65), Lituania (64), Polonia (61), Cipro (60), Ungheria (57) e Romania (56).

I femminicidi

L’Eurostat ci dice che nel 2021 in Italia sono state ammazzate dal compagno, o da qualcuno della sfera familiare, 103 donne (e quest’anno, al 28 novembre, le vittime sono già 105): quindi lo 0,34 ogni centomila abitanti. Peggioriamo: nel 2018 ad esempio era lo 0,27. La Svezia non ha comunicato i dati degli ultimi due anni ma nel 2019 era 0,18 (16 vittime), mentre le 60 donne uccise in Spagna rappresentano un tasso di 0,25. In Francia però il rapporto è 0,39 (136 vittime), in Germania 0,49 (207), in Austria 0,57 (26), in Inghilterra e Galles l’ultimo dato è precedente alla Brexit (0,38 a fronte di 113 femminicidi). Tutti, come noi, purtroppo sono in peggioramento.

Il primato dell’educazione

L’educazione sessuale a scuola va affidata a personale qualificato (medici, psicologi…) che affianchi insegnanti e, magari, pure i genitori. Ma è evidente che non risolve tutti i mali: la famiglia deve fare la sua parte, il contesto sociale ha un’enorme influenza, ma introdurla è un primo passo fondamentale. I mutamenti culturali sono lenti e si vedono dopo decenni, quando tutti i bambini e adolescenti educati a conoscere la complessità delle relazioni e dei rapporti sessuali diventeranno a loro volta genitori e avranno quindi gli strumenti per parlare ai loro figli in modo corretto anche di questi temi. Motivo per cui non c’è più tempo da perdere: nella realtà dei fatti se il primato educativo non è delle famiglie e della scuola ci pensa la Rete, dove i contenuti pornografici sono accessibili sempre prima.

I danni del porno online

Già tra i 14 anni e i 17 anni il 44% degli adolescenti italiani consuma pornografia, che fa maturare l’idea dell’erotismo come violenza e sottomissione (qui il Dataroom del luglio 2021). Così chi si espone con regolarità a video e immagini porno è portato ad avere atteggiamenti sessisti e più aggressivi. Il 70% dei ragazzi percepisce le donne come oggetti sessuali; il 17% ammette di costringere la partner a compiere questi atti. Non è quello che vogliono le ragazze, i genitori dei figli maschi e, tantomeno, la società nel suo insieme.

Sorgente: Corriere della Sera

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