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La Corte d’appello di Reggio Calabria ha sconfessato la sentenza di primo grado che aveva condannato l’ex primo cittadino di Riace a 13 anni e 2 mesi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati

di Alessia Candito

Crolla il processo contro Mimmo Lucano. Per l’ex sindaco di Riace, in primo grado condannato a 13 anni e due mesi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati, i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno stabilito solo una condanna a un anno e sei mesi con pena sospesa per abuso d’ufficio. Il sistema criminale che i colleghi del primo grado hanno letto dietro il modello Riace – hanno stabilito – non esiste. Insieme a lui, condannata a un anno e tre mesi, anche lei con pena sospesa, Maria Taverniti. Assolti da tutte le accuse gli altri sedici imputati.

Cadute le principali accuse

L’inchiesta che ha smantellato quel modello di accoglienza divenuto noto in tutto il mondo, ma in Italia perseguito come criminale si è sbriciolata. Mimmo Lucano ad attendere la sentenza in aula non c’era. A differenza del primo grado, quando – quasi congelato – ha ascoltato in aula il verdetto che lo condannava a 13 anni e 2 mesi, ha preferito aspettare la decisione dei giudici della Corte d’Appello lontano dal tribunale.
Finito al centro di tesi di laurea e studi, premiato nel mondo, il sistema Riace è finito sotto la lente della procura di Locri dopo una relazione prefettizia che ha evidenziato alcune criticità. Nonostante fosse stata in seguito smentita da una relazione successiva, per i magistrati di Locri è rimasta spunto per un’inchiesta che dietro il “modello Riace” ha letto un sistema. Identica, se non ancor più rigida lettura, hanno avuto i giudici del primo grado.

 

La difesa dell’ex sindaco

Nonostante le approfondite indagini della Finanza abbiano accertato che Lucano non si sia mai messo in tasca un euro, per il tribunale presieduto da Fulvio Accurso, l’allora sindaco avrebbe “strumentalizzato l’accoglienza”, diventando il capo “di un sistema clientelare” al solo scopo di ricavarne benefici politici. Che avesse proprio in quel periodo rifiutato insistenti proposte di candidatura alle Europee o alle politiche, non ha pesato. Così come le condizioni economiche non certo agiate e il rosso fisso dei suoi conti correnti. “Condizione di mera apparenza”, scrivevano i giudici del primo grado nelle oltre novecento pagine di motivazioni.
Esterrefatto, per mesi trincerato nel silenzio, Mimmo Lucano ha poi deciso di difendersi anche pubblicamente da quelle accuse. E non ha esitato a parlare di una “sentenza politica” che insieme a lui ha voluto colpire, anzi smantellare, un modello di accoglienza. In tribunale invece, ci hanno pensato i suoi legali, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, a provare a smontare pezzo per pezzo quelle motivazioni, a partire da un’analisi minuziosa delle intercettazioni lette, sostenevano, “in maniera macroscopicamente difforme” e per di più inutilizzabili secondo una sentenza della Cassazione.
Ma soprattutto hanno puntato il dito sull’assoluta mancanza di prove a sostegno delle accuse. “Dov’è lo scambio politico? – si legge in un passaggio del ricorso – Dove sono i voti di riscontro all’atteggiamento “omissivo” che Lucano avrebbe tenuto? Dov’è quella tanto ricercata (ma inesistente) ricchezza, quel vantaggio economico acquisito dal Lucano attraverso lo sfruttamento del sistema di integrazione?”. Per i legali non c’erano e non ci sono mai stati. E per i giudici della Corte d’Appello avevano ragione.

Le parole dell’ex sindaco

“E’ la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto tanto, umiliato, offeso. E’ la fine di incubo che per anni, ingiustamente, mi ha reso agli occhi delle gente come un delinquente. Lucano è stato attaccato, denigrato e accusato, anche a livello politico e non solo, quindi, giudiziario, per distruggere il ‘modello Riace’, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria. A questo punto spero che pure la Rai si ricreda e mandi in onda la famosa fiction girata con Fiorello a Riace”. Sono le prime parole di Mimmo Lucano dopo la sentenza d’appello.

Lucano oggi non era in aula ed ha atteso il verdetto della Corte d’appello nella sua Riace. “Essendo anche io un comune e mortale essere umano – ha aggiunto – è probabile che in questa vicenda abbia commesso degli errori ma di un aspetto, in particolare, sono sicuro, molto sicuro e convinto: ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”.

“Un grande grazie, comunque – ha concluso Lucano – lo voglio rivolgere, in particolare, ai miei avvocati, al compianto Antonio Mazzone, a Pisapia e Daqua, non miei legali ma miei fratelli, uomini e professionisti che hanno capito sin da subito di avere di fronte un innocente”.

Sorgente: In appello ribaltata la sentenza su Mimmo Lucano: cadono i reati più gravi, solo un anno e mezzo all’ex sindaco di Riace: “E’ la fine di un incubo” – la Repubblica

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