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In un audio torna il capo di Wagner: «Abbiamo mostrato a tutti come si doveva fare l’invasione». Avvistato a Minsk, non dice cosa lo aspetta

Marco Imarisio

«La nostra è stata una masterclass su come la Russia avrebbe dovuto agire il 24 febbraio del 2022». Parla Evgenij Prigozhin, dopo quasi due giorni di silenzio che sono sembrati lunghi come due mesi. Perché tutto sembra passare ormai da lui. È il suo destino che darà un senso compiuto a quel che è successo, e determinerà le conseguenze future, per il prestigio di Vladimir Putin e dell’intero Paese. Impossibile non cominciare da quella frase, con tanto di ricorso a una parola in inglese, per riassumere questo audio di undici minuti, inviato da Minsk, dove sembra essere finalmente arrivato, al momento ospite di un hotel della capitale bielorussa. «Dunque, la nostra marcia l’abbiamo cominciata a causa dell’ingiustizia nei nostri confronti. Non avevamo affatto l’obiettivo di abbattere l’attuale regime e il potere legittimamente eletto. Siamo tornati indietro per non spargere il sangue dei soldati russi».

Scuse e ragioni

Non sono le scuse con il capo cosparso di cenere tanto attese dalle autorità russe per chiudere al più presto una vicenda imbarazzante. Ma neppure un nuovo guanto di sfida. Una via di mezzo, nel suo stile. Prigozhin ripete due volte, all’inizio e alla fine, che la Wagner non aveva alcuna intenzione di imporre un cambio al vertice del Paese, Vladimir Putin non viene mai nominato, neppure una volta. Ma al tempo stesso, il signor Wagner ribadisce le ragioni dell’insurrezione militare, che lui definisce come una Marcia per la giustizia. E ogni passo del suo discorso sembra celare un monito. Attenzione, senza di noi in Ucraina rischiate di perdere. «Siamo l’unità russa più esperta e capace nei combattimenti del nostro Paese e forse anche del mondo», dice. «Negli ultimi tempi, abbiamo ottenuto buoni risultati in Ucraina eseguendo missioni molto serie. Ma in seguito ad intrighi e a decisioni imponderate, la Wagner doveva cessare di esistere dal primo luglio. Quasi nessuno dei nostri aveva accettato di firmare un contratto con il ministero della Difesa, perché tutti sanno che ciò porterà alla completa perdita della nostra capacità di combattimento. Miliziani ed ufficiali esperti saranno usati come carne da macello e non potranno mettere a frutto il loro potenziale militare e la loro esperienza».
Questo è forse il passaggio più importante, quasi un invito a ripensarci. Il resto è un riepilogo dei fatti, l’attacco subìto da parte delle truppe regolari russe, la decisione di agire, la presa di Rostov sul Don, l’acclamazione della gente. «Tutti sapevano quale fosse l’obiettivo della marcia. Volevamo evitare l’annientamento della Wagner e chiamare alla responsabilità le persone che con azioni poco professionali hanno commesso un numero enorme di errori nel corso della Operazione militare speciale. Ci siamo fermati nel momento in cui è diventato evidente che avanzando si sarebbe sparso molto sangue».

Prigozhin continua a soffiare nelle vele dello scontento popolare per l’andamento dell’Operazione militare speciale. «In ventiquattro ore abbiamo percorso la distanza che corrisponde a quella dal punto di partenza delle truppe russe il 24 febbraio del 2022 fino a Kiev, e da quel punto ancora fino a Usgorod» afferma, citando una località al confine occidentale dell’Ucraina. «Perciò se all’inizio del conflitto il lavoro fosse stato eseguito da uomini con lo stesso livello dei nostri, forse tutto sarebbe durato un giorno. Abbiamo dimostrato il livello di organizzazione che doveva essere proprio dell’esercito russo. Per questo siamo stati festeggiati dalla popolazione civile. La gente ha visto nella nostra marcia un sostegno alla lotta contro la burocrazia e gli altri mali che oggi affliggono il nostro Paese».

Futuro ancora incerto

Non una parola su quale sarà il suo futuro. Eppure, non è un dettaglio da poco. Citando una fonte della Procura generale, i media russi hanno annunciato che l’indagine nei suoi confronti per aver cospirato organizzando una ribellione armata non è affatto finita, ma anzi prosegue. Una comunicazione ufficiale in aperta contraddizione con l’amnistia promessa al fondatore della Brigata Wagner. E in serata, Vladimir Putin durante il suo nuovo discorso alla nazione ha precisato che gli organizzatori della rivolta saranno portati davanti alla giustizia.

Ormai, la sorte personale di Prigozhin è diventata una questione di Stato, e di principio. La scelta di lasciarlo in libertà rappresenta il punto debole del compromesso raggiunto per evitare il bagno di sangue alle porte della capitale. Persino da Russia Unita, il partito personale del presidente, si è sollevata qualche critica. «Prigozhin e i capi della Wagner dovrebbero essere decapitati» ha detto il deputato Andrey Gurulyov, uno dei suoi fedelissimi. «Alcuni nostri soldati sono morti a causa di questa insurrezione. Chi ha dato l’ordine di colpirli? Esiste la legge, che va applicata».
Ieri mattina, la Nezavisimaya Gazeta, giornale ovviamente schierato con il Cremlino, sosteneva come un compromesso di questo genere viene fatto con gli avversari politici, non con i terroristi o i criminali. «Dobbiamo quindi considerare Prigozhin un protagonista della nostra politica?».

Putin è capace di fiutare l’aria che tira nel suo Paese. E sa bene che nei momenti più gravi, un vero Zar non scende a patti con nessuno. Tanto meno se è un ex amico che lo ha sfidato in modo così plateale.

Sorgente: Prigozhin: «La marcia? Volevamo giustizia, non abbattere il regime»

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