Le imprese statunitensi stanno pagando circa 1 miliardo di dollari all’anno all’agenzia nucleare russa Rosatom e alle sue sussidiarie, contribuendo, di fatto, a finanziare il programma nucleare statale della Russia. Per quale motivo? Semplice: le compagnie di energia nucleare degli Usa si affidano all’uranio arricchito a basso costo prodotto da Mosca per acquistare il combustibile che genera più della metà dell’energia pulita del Paese.
La situazione è stata denunciata dal New York Times, secondo cui questo flusso costante di denaro diretto verso il Cremlino – per altro descritto come uno dei più significativi – avrebbe implicazioni sia per lo svolgimento della guerra in Ucraina che per la transizione dell’America dal consumo di combustibili fossili.
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Banalmente, nel caso in cui il governo americano dovesse smettere di acquistare uranio dai russi, Vladimir Putin si ritroverebbe improvvisamente senza poter contare su una cospicua entrata annuale che, altrimenti, potrebbe essere utilizzata per acquistare armamenti e sostenere lo sforzo bellico contro Kiev.
L’amministrazione Biden si trova tuttavia di fronte a un dilemma delicatissimo, visto che trovare fornitori alternativi alla Russia è a dir poco complicato, e che gli impegni contro il cambiamento climatico rafforzano la necessità della Casa Bianca di sfruttare l’energia senza emissioni.
Il legame tra Usa e Russia
Ci sarebbe dunque ancora un’importante relazione economica che unisce, almeno idealmente, Stati Uniti e Russia. Washington acquisterebbe l’uranio arricchito da Mosca, in cambio di pagamenti effettuati alle varie sussidiarie di Rosatom, a sua volta legato a doppia mandata con l’apparato militare del Cremlino.
Il contesto non è inoltre per niente favorevole, visto che la dipendenza Usa dall’energia nucleare crescerà sempre di più, in concomitanza con il desiderio del Paese di ridurre l’impiego dei combustibili fossili, e che, al tempo stesso, nessuna società statunitense sembrerebbe essere pronta ad offrire gli stessi servizi dei russi.
E pensare che in passato gli Stati Uniti dominavano il mercato globale dell’uranio arricchito, fin quando molteplici fattori storici hanno consentito alla Russia di accaparrarsi metà del settore. Tra questi pesa sicuramente tantissimo l’accordo di acquisto di uranio arricchito stipulato proprio tra Washington e Mosca, un’intesa progettata per promuovere l’allora programma nucleare pacifico russo in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Per la cronaca, da quel momento in poi gli Usa cessarono di interessarsi alla materia, preferendo affidarsi a fornitori esterni, russi compresi.
Una situazione delicata
La Russia è al momento il produttore più economico al mondo di uranio arricchito, e chiudere le porte in faccia a Mosca non è quindi così semplice. Già, perché anche se l’Occidente ha in gran parte smesso di acquistare combustibili fossili russi, in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, costruire una nuova catena di approvvigionamento di uranio arricchito potrebbe richiedere a Usa ed Europa anni e molti più finanziamenti rispetto a quelli attualmente stanziati.
Circa un terzo dell’uranio arricchito utilizzato negli Usa viene ora importato dalla Russia; la maggior parte del resto viene importata dall’Europa. Un’ultima porzione più piccola è prodotta da un consorzio anglo-olandese-tedesco operante negli Stati Uniti. Una decina di Paesi in tutto il mondo dipendono dalla Russia per più della metà del loro uranio arricchito, ben consapevoli del fatto che potrebbe volerci oltre un decennio per produrre quantità di uranio tali da poter rivaleggiare con Rosatom.
La dipendenza statunitense lascia anche le centrali nucleari del Paese, attuali e future, pericolosamente vulnerabili ad un possibile arresto russo delle vendite di uranio arricchito, che secondo gli analisti potrebbe essere una strategia utilizzabile da Mosca, la quale, in passato, ha spesso sfruttato l’esportazione di energia come strumento geopolitico.
Ciò nonostante, con la guerra entrata nel suo secondo anno e senza una fine in vista, il governo degli Stati Uniti ha mostrato poca alacrità nel cambiare registro. Miliardi di dollari in potenziali finanziamenti federali rimangono bloccati nei meandri dei processi burocratici di Washington.
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