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L’Adriatico è risalito per 15 chilometri verso la montagna. Se non piove sarà un disastro per l’agricoltura. Acqua potabile verso il razionamento

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PORTO TOLLE (Rovigo) – Piovesse, ma non piove e non pioverà. Il Po, magro, secco e pure salato, a dirlo sembra una barzelletta ma è una tragedia. Basta guardare i campi di grano: lunghe strisce marroni, segno che lì le piantine sono morte, e solo dopo un bel po’ poi ricomincia il verde tenero. “L’acqua di mare? Un ottimo diserbante”, si dice da queste parti. Peccato che stia bruciando le colture, e nel Delta sono tutti più che preoccupati. La portata del Po è così bassa che l’Adriatico entra negli alvei, risale dalla foce in su, e per adesso è arrivato a 15 chilometri. Il sale si infiltra negli argini, penetra nei campi, e lì non crescerà niente.

“Un disastro, ma il peggio deve ancora arrivare”

Il perché del disastro – e sta anche per arrivare un peggio – lo spiega Giancarlo Mantovani, direttore del Consorzio di bonifica Delta del Po, con una breve lezione di idraulica per ignoranti: “L’acqua salata è più pesante di quella dolce, quindi resta sul fondo e crea nell’alveo questa specie di cuneo che noi definiamo ‘salino’. Se la portata del fiume si abbassa, il cuneo risale”, cioè si spinge verso l’entroterra. Un precedente gravissimo nel 2006, quando il cuneo salino risalì di 30 chilometri per ben 50 giorni. Condizioni climatiche come oggi, cioè zero precipitazioni, e “nella centrale di Ponte Molo si potabilizzò acqua salata per 7 giorni”, spiega l’ingegner Mantovani. Il risultato fu “acqua buona per i servizi igienici, non per uso umano e animale”. Quindi, gli umani con l’acqua minerale, gli allevamenti riforniti dalle autobotti.

 

I campi coltivati lungo il corso del Po nel Polesine divorati dall’acqua salata che il mare ha portato nel fiume 

 

Polesine e Romagna, colture in crisi

E oggi uguale, nell’enorme zona agricola che è il Polesine, ma anche in Romagna non sono messi meglio. “Ormai passiamo dalla siccità alle bombe d’acqua, e il nostro territorio è anche 4 metri sotto il livello del mare”, spiega Carlo Salvan, vicepresidente della Coldiretti Veneto. Uno che si è convertito al biologico e produce aglio, kiwi, scalogno, girasole e barbabietola da zucchero. Ma se ti manca l’acqua, che tu faccia il bio o l’intensivo, assediati dal mare come si vive da queste parti, non cambia granché. C’è chi ha già rinunciato a seminare, un grosso imprenditore ha detto addio a 200 ettari destinati a riso, e l’anno prossimo si vedrà.

 

 

“Dovremo razionare l’acqua”

“Arriveremo a razionare l’acqua, e non è mai successo prima”, dice Adriano Tugnolo, presidente del Consorzio di bonifica. Il 18 marzo farà un’assemblea e spiegherà che “saranno necessarie le restrizioni nei prelievi. Tutti hanno diritto a irrigare, quindi bisognerà fare dei calendari”. A turno, si avrà diritto a bagnare le colture, che già adesso soffrono, alcune più e altre meno, “il frumento ad esempio va bagnato adesso”, dice Giancarlo Canella, 60 anni, dieci dipendenti su 700 ettari coltivati a mais, frumento e soia, e 600mila euro di investimento nei sistemi di irrigazione: “I ‘ranger’, che innaffiano a pioggia, comandati da computer. Tre fissi e 5 mobili. Però manca la materia prima”. Fermi nei campi, pronti all’uso, a spargere l’acqua che è la benedizione di queste terre, e in passato ne è stata la maledizione, come per la grande alluvione del 1951, e poi quella del 1966, “che non è stata solo a Firenze, ma anche qua. A Porto Tolle avevamo due metri d’acqua salata in paese, ci sfollarono per un anno a Taglio di Po”, ricorda Tugnolo. E “per anni i terreni furono improduttivi per via del sale”, che aveva impregnato tutto.

“Se il mare va verso la montagna…”

Si può solo immaginare come doveva essere allora, una distesa enorme tendente al marròn, devastata dal salmastro, e quindi sterile. Si teme quello, il ritorno al passato povero del Polesine, poi risorto a nuova vita, con l’export delle granaglie e delle verdure, i riconoscimenti Dop e Igp, i trattori guidati dai satelliti, i sistemi più moderni per non sprecare né acqua né terra. Il valore complessivo della produzione lorda agricola veneta, nel 2020 è stato di oltre 6 miliardi, e nel bar vicino al municipio di Porto Tolle l’imprenditore Canella ricorda un detto che si diceva per scommessa, una volta: “Se il mare va verso la montagna… Sembrava una cosa impossibile, era un paradosso. Invece succede proprio così, non è più una battuta”.

Calate le barriere anti sale

Alla foce del Po di Tolle, uno dei tanti Po che formano il Delta, hanno già calato le barriere antisale. Nel gran vento di Bora che batte il Polesine da giorni, si vedono solo i piloni, ma sotto ci sono lastre di acciaio inox che fermano il mare, preservano l’acqua dolce. Hanno anticipato la posa, il tasso di salinità rilevato dalle centraline ha fatto scattare l’allarme. Non sono chiuse totali, non è il Mose, bisogna preservare la navigazione, però è l’unico sistema utile, progettato negli Ottanta, spiega Mantovani che “allora la portata minima del Po era 500 metri cubi al secondo, misurati a Pontelagoscuro, provincia di Ferrara. Nel 2006, siamo arrivati a 189”, cioè il disastro che si teme oggi. Adesso “siamo a 700. A 600, la prima soglia di allarme. Perché adesso nessuno attinge ancora acqua per irrigare, ma quando si comincerà a usarla in Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, la nostra portata si abbasserà di colpo, le nostre barriere sperderanno efficacia”.

Scavare canali per trattenere la pioggia

I flap che si oppongono alla forza del mare, non serviranno a niente, perché funzionano solo con un minimo di portata da monte. Questo è il peggio che potrebbe succedere tra 15 giorni, quando nel nord agricolo d’Italia si comincerà a bagnare. Dice Canella che bisogna scavare i canali, renderli più capienti “per trattenere l’acqua piovana”, che al momento non c’è. E creare bacini, come quello che si sta costruendo a Volta Vaccari, un milione di metri cubi, una riserva aurea per combattere quel cuneo che va a insalare la falda, brucia le piante nuove, desertifica. La Bora ci mette del suo, batte e asciuga la terra. Stanno bene solo le vongole allevate nella sacca di Scardovari, ma solo al di qua dell’argine il sale avanza, e altro che insalate, o grano, o soia.

 

Sorgente: Viaggio alla foce del Po in secca, dove il mare invade il fiume di acqua salata – la Repubblica

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