0 5 minuti 2 anni

Siamo in guerra.

Siamo entrati come co-belligeranti dentro un conflitto dagli esiti incerti e che ha preso una spirale molto pericolosa. Questo è avvenuto senza che nessuno – tra l’altro – abbia dichiarato guerra al nostro paese.

L’Unione europea ha, di fatto, dichiarato guerra alla Russia, mentre alcuni strateghi di Washington non nascondono che vorrebbero fare dell’Ucraina un nuovo “Afghanistan” per Mosca.

Il grado di pericolosità che stiamo affrontando è dato principalmente da due fattori.

Innanzitutto non vi è una cornice condivisa all’interno della quale possano trovare risoluzione le frizioni scaturite dall’iper-competitività tra differenti attori geopolitici, e coloro che prendono decisioni sembra non tengano conto delle possibili conseguenze delle loro scelte, il più delle volte scellerate, come nel caso dell’invasione ucraina.

É una tendenza che vediamo in atto da tempo, ma che non era mai degenerata neanche nei momenti di più critici della storia recente, probabilmente a causa del persistere della reciproca deterrenza atomica; deterrenza che all’oggi vediamo piuttosto relativizzata.

Ora siamo ad un gioco “a somma zero” dove, per ciò che riguarda i decision makers, la strategia e la tattica da scacchisti sembra essere stata sostituita dall’improvvisazione di chi gioca a dadi.

Tra le grandi potenze fa eccezione la Cina, ma anche lei ha tracciato alcune “linee rosse” molto precise, su cui non esiterebbe a muoversi, se necessario.

Chiariamoci subito: il vecchio equilibrio delle forze aveva prodotto uno stallo, che non era immobilità ma un equilibrio precario.

Ma ora la situazione sembra precipitare in un rapido susseguirsi di punti di non ritorno, in cui l’espressione “nulla sarà come prima” assume ogni giorno una maggiore stratificazione semantica, e certo non di segno positivo.

Anche i discorsi dei singoli statisti hanno abbandonato i toni diplomatici tipici del “tempo di pace” per assumere quelli bellicosi dei tempi di guerra.

Siamo di fronte ad una rottura.

Due fatti relativamente recenti sembravano far supporre che il dado fosse già stato tratto e che ci stavamo avviando ad una imponderabile escalation militare. Ma poi le cose sono sostanzialmente rientrate, producendo un nuovo riassetto di relazioni senza che la piega degli eventi risultasse catastrofica.

Stiamo parlando dell’abbattimento dell’aereo Su-24 russo avvenuto il 24 novembre 2015 ad opera di due F-16 turchi, ai confini della Siria, e l’uccisione di Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti, il 3 gennaio del 2020.

Due fatti macroscopici, anche se gestiti con l’antico “equilibrio”. Era infatti dall’inizio degli anni Cinquanta che un aereo russo – allora sovietico – non veniva abbattuto da un paese NATO; e, per ciò che concerne il leader militare iraniano – di fatto il “numero 2” del regime degli ayatollah -, non era mai successo che gli Stati Uniti rivendicassero apertamente l’uccisione extra-giudiziale di un ufficiale di alto profilo di un paese con cui formalmente non sono in guerra.

In entrambi casi, si era in presenza di un cocktail di fattori esplosivi per attori di peso assoluto, che moltiplicava l’instabilità dell’area.

Ma lo shock fu riassorbito, alzando comunque pericolosamente l’asticella, in entrambi i casi con reazioni relativamente limitate rispetto da parte dei “danneggiati”, mentre i vari attori coinvolti cercavano di capitalizzare ciò che era successo.

Se ora diamo uno sguardo all’atlante dei conflitti tutt’ora irrisolti, ci accorgiamo che la forma della guerra è entrata sempre più come mezzo di risoluzione di questioni politiche che non hanno trovato soluzione.

In Ucraina siamo di fronte ad un conflitto iniziato nella parte finale del 2013 – ma che possiamo retrodatare, nei suoi fattori scatenanti, al 2004 con la “rivoluzione arancione” – che non ha trovato una soluzione diplomatica. Una conflitto che come tanti altri sembrava “congelato”, ma è diventata guerra a tutti gli effetti e ci sta trascinando verso l’imponderabile.

A voler tagliare con l’accetta, è stata la fine dell’URSS a creare le condizioni in cui ci troviamo ora.

Sorgente: Tempi di guerra – Contropiano

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20