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Parla la sorella del ragazzo tunisino morto a 26 anni al Servizio psichiatrico San Camillo, dopo tre giorni passati legato a un letto. Era arrivato su un gommone in Sicilia, poi è finito in un centro per il rimpatrio a Ponte Galeria

di Romina Marcea

“Non mangerò fino a quando non vedrò il corpo di mio fratello. L’Italia mi dica la verità sulla sua morte”. Rania Abdel Latif ha iniziato lo sciopero della fame quattro giorni fa. Parla un francese stentato al telefono ma è battagliera. È la sorella di Wissem Abdel, il ragazzo tunisino morto a 26 anni al Servizio psichiatrico San Camillo, dopo tre giorni passati legato a un letto. Era arrivato su un gommone in Sicilia, poi è finito in un centro per il rimpatrio di Roma, a Ponte Galeria. Lì avrebbe mostrato segni di aggressività. È stato trasferito in due ospedali prima di morire il 28 novembre in circostanze ancora misteriose. Ieri gli uomini della squadra mobile hanno acquisito le carte su Wissem su disposizione della procura.

Rania, cosa sa sulla fine di suo fratello?
“Ci è stato detto che era morto solo quattro giorni dopo. So che l’hanno preso a botte senza pietà in quel centro, colpito allo stomaco. Forse anche alla schiena”. 

E chi lo avrebbe picchiato?
“C’è il video di un ragazzo che è uscito dal Cpr e denuncia che sia lui sia Abdel sono stati picchiati dalle forze dell’ordine. Mio fratello lo aveva confidato anche a mio cugino Munir, al telefono. Non voleva che ci preoccupassimo per lui. So che ci sono altri testimoni”.

Sono accuse pesanti. Gli agenti di quali forze dell’ordine avrebbero aggredito Abdel?
“Questo non lo so per certo. Aspetto che me lo dica lo Stato italiano. So però che Abdel aveva chiesto aiuto a un’avvocata che non l’ha aiutato”.

 

Abdel a un certo punto è stato curato con farmaci per patologie psichiatriche. Lo sapevate?
“No. L’hanno drogato contro la sua volontà. Mio fratello era un ragazzo tranquillo, stava bene. In quarantena, all’arrivo in Sicilia, si era anche rasato la barba per la contentezza. Sognava di andare a vivere in Francia. Nessuno merita la fine che gli è stata riservata”.

Quando è stata l’ultima volta che l’ha sentito?
“Quindici giorni prima che morisse. Mio fratello non aveva alcuna malattia. Era buono, aveva tanti amici, giocava a calcio”.

Lei verrà in Italia?
“Certo, devo sapere cosa è successo e voglio vedere presto mio fratello, poi tornerò a mangiare. Chi ha partecipato alla morte di Abdel deve essere punito. Lo ripeto, le autorità italiane mi dicano la verità”.

Tre testimoni delle botte al Cpr sono stati già rimpatriati, altri sono stati trasferiti. Il garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma, segue la vicenda. Il gruppo indipendente Lasciatecientrare sta raccogliendo altre testimonianze. “Voci su aggressioni da parte delle forze dell’ordine risultano anche a noi – dice Yasmine Accardo, la portavoce – ma prudenza, aspettiamo il corso delle indagini”.

Sorgente: Abdel, legato al letto e morto a Roma. La sorella: “Preso a botte nel Cpr. Voglio la verità” – la Repubblica

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