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La scoperta del vaccino negli anni 50 fu accolta dall’entusiasmo di tutti. Soprattutto dei genitori

di Giuseppe Remuzzi

«Perché poliomielite sì e Covid-19 no?». Se lo chiede in questi giorni, in un bellissimo articolo pubblicato sul Washington Post, Ashish Jha che è rettore della Brown University School of Public Health. Il virus della poliomielite circolava in forma endemica da millenni. Le prime epidemie importanti si sono registrate in Europa fin dagli inizi del 1900, subito dopo il virus ha fatto la sua comparsa negli Stati Uniti e ha raggiunto il suo picco negli anni ’40 e ’50: in quel periodo la malattia paralizzava o uccideva più di mezzo milione di persone nel mondo ogni anno.

La popolazione era in preda al panico: i genitori temevano per i loro bambini, il virus immobilizzava i muscoli e c’era l’incubo del «polmone d’acciaio», una macchina dentro la quale bambini, e qualche volta adulti, venivano rinchiusi: fuori solo capo e collo, era la macchina che respirava per loro e avrebbe continuato a farlo per il resto della vita.

Ma per il virus della poliomielite, come per quello del Covid, non è che tutti quelli che si infettavano dovessero per forza ammalarsi, i tre quarti non avevano sintomi e la gran parte degli altri aveva disturbi trascurabili, simili all’influenza, che guarivano da soli nel giro di pochi giorni. Solo lo 0,1 per cento di quelli che si infettavano sviluppava complicazioni.

Adesso, a tanti anni di distanza, a quali conclusioni ci porta il confronto tra la poliomielite e il Covid-19?

I bambini sono meno suscettibili degli adulti al coronavirus, questo lo sanno tutti ed è la ragione per cui non li si vorrebbe vaccinare, ma a pensarci bene era un po’ così anche per la polio: è vero che colpiva specialmente i piccoli, ma si andava incontro a un decorso più grave quando la malattia si manifestava in età adulta. In ogni caso, nonostante solo una piccola parte di coloro che contraevano l’infezione si ammalasse gravemente di polio o morisse — la più grave epidemia di polio ha colpito gli Stati Uniti nel 1952 causando oltre 21 mila casi e tremila vittime — tutti accolsero con entusiasmo il vaccino messo a punto da Jonas Salk.

Fu annunciato ufficialmente al mondo il 12 aprile 1955. Le famiglie ricevettero un vademecum: «Genitori, questo messaggio riguarda voi e i vostri bambini». Tutti leggevano quelle istruzioni e le seguivano. Il vaccino fu reso obbligatorio e lo è rimasto fino a oggi. Con una differenza fondamentale: quello di Salk era un virus inattivato, il processo per rendere innocuo il virus non riesce sempre alla perfezione, per cui capitava, anche se raramente, che fosse proprio il vaccino a causare la polio. «Non potrebbe succedere la stessa cosa per il vaccino contro il Covid-19?», si chiedono oggi molti genitori.

La risposta è no, non può proprio succedere: il vaccino di oggi non è fatto con un virus, che per quanto inattivato è sempre un virus intero; con il vaccino contro il Covid-19 il processo è completamente diverso, per cui è assolutamente impossibile che chi si immunizza contragga la malattia. Non solo: i vaccini contro il Covid-19 — infinitamente più affidabili di quello di Salk contro la polio — sono già stati somministrati a più di quattro miliardi di persone nel mondo (tra cui decine di milioni di bambini; in tutto oltre 7,6 miliardi di dosi) e risultano essere i più efficaci e anche i più sicuri della storia della medicina.

Negli anni delle epidemie di polio più severe non c’era la capacità di fare screening tra la popolazione, si testava solo chi aveva già i sintomi della malattia e stava sviluppando una forma severa dell’infezione. Un po’ come se oggi si dovesse aspettare a fare il tampone ai nostri bambini quando il Covid li ha già costretti a un ricovero in ospedale.

La polio alla fine non c’è più, sarà così anche per il Covid-19? Penso proprio di no. Questo virus è troppo contagioso per essere vinto con il solo vaccino, sapremo tenerlo sotto controllo, causerà forme più lievi, ma starà con noi per un bel po’. A patto che si vaccinino i bambini, se no potrebbero essere proprio loro a essere più colpiti dal virus — e sta già succedendo — e a sviluppare forme più gravi di quelle che abbiamo visto finora.

La vittima più illustre della polio fu il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt: a 39 anni fu colpito da una severa forma della malattia, così prima lanciò una fondazione e poi una vera e propria campagna per debellare la polio: con la cosiddetta «March of Dimes» si chiedeva ai cittadini di mandare monetine alla Casa Bianca per raccogliere fondi destinati a sconfiggere la paralisi infantile.

Quando arrivò il vaccino di Salk, il mondo intero tirò un sospiro di sollievo. «Ma cosa sarebbe successo — chiede il dottor Ashish Jha — se negli anni ‘50 ci fossero stati movimenti contrari al vaccino? Avremmo avuto lo stesso livello di copertura contro la polio? Ci avrebbero detto che la maggior parte dei bambini non rischiavano niente e che i più erano asintomatici? E che quelli che morivano erano di fatto pochissimi?». Vacciniamoli i bambini, contro Sars-CoV-2, oggi come abbiamo fatto con la polio.

Sorgente: La lezione dimenticata della Polio- Corriere.it

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