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Il M5S spaccato sulla scelta per il secondo turno. Ma nel Pd si guarda con sospetto agli apparentamenti

ROMA – Cominceranno a pensarci davvero da stanotte. Perché finora, nelle segreterie di partito, è stato difficile anche solo immaginare cosa rimarrà di sogni, ambizioni e speranze al secondo turno di queste amministrative. C’è però quasi una certezza. Nelle grandi città, a meno che non ci siano vantaggi davvero risicati dei candidati favoriti per la vittoria, è difficile che si facciano apparentamenti formali al secondo turno. Ci sarà, molto più probabilmente, un appello agli elettori dei rivali in nome di intese future. Anche se, nel Movimento 5 Stelle, c’è tutta un’area – che va da Laura Castelli a Torino fino a Roberta Lombardi a Roma – che spingerà perché, in caso di sconfitta, M5S e Pd siglino un’intesa. Questo significherebbe entrare in giunta, avere più posti in consiglio comunale. In definitiva, contare di più. Oltre che saldare l’alleanza con i dem, obiettivo che dovrebbe interessare più Giuseppe Conte di altri, ma che l’ex premier non pensa possa passare dai ballottaggi.

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Per capire cosa si sta muovendo in queste ore, bisogna ricordare cosa successe più di 5 anni fa, quando Chiara Appendino ribaltò il risultato del primo turno contro Piero Fassino: al ballottaggio partiva svantaggiata, al 30,92 per cento contro il 41,83 dell’avversario. Ma il centrodestra sconfitto fece convergere i suoi voti su di lei. Fu lo stesso Matteo Salvini a dirlo chiaramente: “Laddove non ci sia la Lega e non ci sia il centrodestra al ballottaggio, io voterei il Movimento 5 Stelle. I sindaci uscenti del Pd vanno puniti”. E così fu. Appendino vince con il 54,56 % contro il 45,44 di Fassino.

 

 

Qualcosa di analogo successe a Roma. Virginia Raggi era già in vantaggio sul rivale Roberto Giachetti, 35,26 contro il 24,91. Giorgia Meloni si era fermata al 20,62% e anche qui, Salvini disse: “Io un uomo del Pd non lo voto nemmeno sotto tortura”. Dando modo all’attuale sindaca di Roma di strafare con il 67,15%. Erano i tempi in cui il leader leghista corteggiava i 5 stelle e in cui la cosa – per dirla con Carlo Verdone – era reciproca. Tanto da portare due anni dopo al primo governo Conte. Adesso però, almeno da questo punto di vista, è tutto diverso.

Al Nazareno ripetono che il Pd è fermo a quanto l’ex premier ha detto in campagna elettorale: “Dove i dem e i 5 stelle corrono divisi sono “concorrenti”, l’avversario però, il nemico, resta la destra”. E quindi, quel che ci si aspetta dall’avvocato è almeno un discorso di incoraggiamento per Roberto Gualtieri, nel caso arrivi al ballottaggio. È stato il suo ministro dell’Economia, ha fatto una campagna elettorale senza torcere un capello alla sindaca, anche incassando colpi bassi. L’incubo 2016 potrebbe ripetersi però, per i dem, se al ballottaggio con Gualtieri andasse Carlo Calenda, sorpassando Enrico Michetti all’ultimo miglio. Non è un’ipotesi probabile, è però considerata un’ipotesi possibile. E in questo caso, i voti di destra – e non solo della destra tendenza Giorgetti – potrebbero portarlo alla vittoria.

 

 

A Torino il favorito in caso di ballottagio è invece Paolo Damilano – il candidato di centrodestra – per via del suo profilo moderato, quasi civico, che potrebbe attirare tutti coloro arrabbiati per qualche motivo con il Pd. Perfino i 5 stelle, alleati sul piano nazionale, ma infuriati con il candidato Stefano Lo Russo: è colui che è andato in procura a denunciare Appendino, ha impostato tutta la sua campagna – dalle primarie in poi – sull’esclusione del M5S e sulla fine di quel percorso, cercando invece il centro di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Se la candidata M5S dell’ultimo momento Valentina Sganga facesse un risultato migliore delle aspettative, e il Pd ne facesse uno appena sufficiente, la necessità di un apparentamento a Torino ci sarebbe eccome.

 

 

Ma non sarebbe affatto facile, perché bisognerebbe superare anni di rancori, attacchi personali, battaglie campali che in pochi – tra i 5 stelle torinesi – sono disposti a dimenticare. Anche lì, come a Roma, dovrebbe imporsi forse Giuseppe Conte. Ma se per Gualtieri la tentazione ci sarà, per Lo Russo è molto più complicato. Anche perché Chiara Appendino – per altro convinta più di altri della necessità di porre stabilmente il Movimento nel campo del centrosinistra – dovrebbe essere una delle vicepresidenti della squadra che l’ex premier è ormai pronto ad annunciare. Farle uno sgarbo del genere, non sarebbe un buon inizio.

Sorgente: Elezioni comunali 2021: a Roma e Torino i ballottaggi saranno un test nazionale – la Repubblica

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