0 8 minuti 3 anni

di Wu Ming

INDICE DELLA PRIMA PUNTATA
0. Introduzione.
1. Il lasciapassare quel che dice non lo fa (e quel che ti fa non lo dice)
■ Come strumento di profilassi il lasciapassare è una presa in giro
■ La gente si stava vaccinando anche senza lasciapassare
■ L’invenzione delle emergenze «medici no vax» e «insegnanti no vax»
■ «No Vax», nemici pubblici e nuclei di verità
2. Il lasciapassare ti convince che la colpa è tua (o meglio: del tuo prossimo)
3. Il lasciapassare non estende l’area del possibile, anzi, la restringe
4. Controllo padronale, invasione della privacy, discriminazione
5. «Tanto verrà applicato all’italiana» e altre belle obiezioni (e benaltrismi)

0. Introduzione

Questa è una miniserie da leggere con lentezza. «Chi è veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. «Se non vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa, noi non la diciamo», dice Barbalbero.

Nelle settimane scorse abbiamo ospitato o segnalato contributi critici sul cosiddetto «green pass», posizioni e analisi altrui che non coincidevano in toto con la nostra.

La nostra posizione l’abbiamo espressa solo tra i commenti, esplicitandola e rifinendola man mano, il che va bene, ma anche sparpagliandola, il che va male. Mancava un testo in cui, sul «green pass» e su questa fase dell’emergenza pandemica, dicessimo come la pensiamo in modo dettagliato e dal principio alla fine.

L’occasione di scriverlo ce l’ha data l’imminente ritorno all’attività on the road. Ci attendono presentazioni all’aperto, presentazioni al chiuso, reading, spettacoli… Volenti o nolenti, col «green pass» avremo a che fare. Ma appunto, che fare?

In questa prima puntata spieghiamo perché secondo noi il «green pass», detta come va detta, è una merda.

A partire dal nome che gli hanno affibbiato, a rigore ufficioso ma usato onnipervasivamente sui media e dagli stessi governanti e amministratori. È lo stesso anglicorum di «Jobs Act», «spending review» e altre nefandezze. È l’inglese usato come dolcificante artificiale, per far sembrare nuovi e “smart” provvedimenti che invece sono abbastanza vecchi da avere un nome nella lingua di Dante. Se il governo Renzi l’avesse chiamata semplicemente «Legge sul lavoro» sarebbe sembrata meno “innovativa”. In effetti, la libertà dei padroni di licenziare in tronco non è poi questa grande innovazione…

Nel caso del «green pass», la parola che già esiste è lasciapassare. Un lasciapassare definito «green», cioè verde, come il semaforo verde, in opposizione alle zone rosse. Ma anche qui l’inglese «green» viene preferito in quanto è l’aggettivo del momento, l’aggettivo che dà un salvacondotto a qualunque politica voglia spacciarsi per ambientalista e quindi al passo coi tempi: è il cosiddetto greenwashing. Tanto per autocitarci: «Nel mondo in cui il vero della devastazione ecologica e climatica diviene un momento del falso del tran tran capitalistico, ogni schifezza va definita “green”, anche provvedimenti come il pass sanitario, che con l’ecologia non ha alcun legame diretto.»

Nella seconda puntata, tra qualche giorno, ragioneremo da lavoratori della cultura e dello spettacolo quali in effetti siamo, esporremo a lettrici e lettori i problemi che abbiamo di fronte, e si capirà bene il perché del titolo.

Prendiamo a prestito le parole da un recente comunicato dei Cobas Scuola di Bologna, che definisce il lasciapassare «uno strumento prima di tutto inefficiente ed illogico in relazione alle pratiche di contenimento della pandemia e della sicurezza nelle scuole in genere […], che contiene sia nella sua definizione che nel prospettare una serie di sanzioni pesantissime, spropositate e ingiustificate, un forte profilo di incostituzionalità, configurandosi, nei fatti, come una sorta di implicito obbligo vaccinale, imposto surrettiziamente e senza alcuna assunzione di responsabilità, che sarebbe doverosa, da parte delle autorità che impongono tale pratica».

Questa problematizzazione si può facilmente estendere dalla scuola alla società in generale. È quanto faremo, sviluppando le tre principali ragioni della nostra critica al lasciapassare:

1. È incongruo e inutile ai fini dichiarati – o dati per intesi – da chi lo ha introdotto.
2. È l’ennesimo diversivo che serve a scaricare verso il basso le responsabilità della malagestione della pandemia.
3. È presentato come “liberatorio” ma in realtà è restrittivo, discriminatorio, invasivo.

1. Il lasciapassare quel che dice non lo fa (e quel che ti fa non lo dice)

All’osso, i fini del lasciapassare dichiarati – o dati per intesi – dal governo sono:
■ ridurre numero e frequenza dei contagi (il lasciapassare come strumento di profilassi);
■ convincere la gente a vaccinarsi (il lasciapassare come nudge, “spintarella” persuasiva);
■ garantire al maggior numero possibile di persone il diritto al lavoro e alla socialità in sicurezza (il lasciapassare come garanzia che «non si tornerà a chiudere»).

Cerchiamo di procedere con ordine.

Come strumento di profilassi il lasciapassare è una presa in giro

Il lasciapassare non può funzionare allo scopo di ridurre i contagi per la plateale incongruenza e incoerenza degli utilizzi prescritti. Le diverse disposizioni per diversi contesti e diversi comportamenti in diverse giurisdizioni sembrano buttate giù dal Cappellaio Matto e dalla Lepre Marzolina durante una gara di rutti al party di non-compleanno di Walter Ricciardi. Una cosa è certa: il criterio di fondo non è, non può essere sanitario.

Da oggi il lasciapassare viene richiesto per i treni a lunga percorrenza – «Frecce, Intercity, Intercity notte, EC, EN, Freccialink», come si legge sul sito di Trenitalia  – ma non sui treni locali. Peccato che i primi siano usati da una piccola minoranza di viaggiatori, mentre sui secondi si ammassa ogni giorno la gente che va a lavorare. Secondo il Rapporto Pendolaria 2021, nel 2019 «il numero di coloro che ogni giorno prendevano il treno per spostarsi su collegamenti nazionali era di circa 50mila persone sugli Intercity e 170mila sull’alta velocità, [mentre] sui treni regionali e metropolitani […] superano i 6 milioni ogni giorno».

E una volta che ci sei arrivato, al luogo di lavoro? Riprendiamo da una chat su Telegram l’utile riassunto di un compagno della Wu Ming Foundation:

«Al lavoro per accedere alla mensa devi avere il green pass (ma per bagni e docce no, e immagino la disinfezione degli spazi in un’azienda a fine turno) mentre in albergo, sia per soggiornare che per mangiare se sei ospite non è richiesto. Se lavori in trasferta e quindi la tua mensa è il ristorante dell’hotel non hai nessun obbligo, se te ne stai in sede invece ne hai (e in trasferta spesse volte ci stai con dipendenti di altri millemila appaltatori o sub, mandando in vacca qualsiasi possibilità di tracciamento). Al bar prima si poteva stare solo seduti ora seduti al chiuso obbligo di green pass, al bancone (il luogo più a rischio) no […]»

Ancora: il lasciapassare è richiesto per entrare in musei, cinema, teatri, ristoranti al chiuso, mense aziendali, spogliatoi sportivi. In altri luoghi dove la gente si addensa tanto quanto o di più, come shopping mall e supermercati, il lasciapassare non è richiesto, perché intralcerebbe il flusso delle merci e del denaro in settori che il governo vuole tutelare. Né è richiesto per assistere alla messa nelle parrocchie, perché dopo il «lockdown» dell’anno scorso, che ha interferito addirittura con la celebrazione della Pasqua, la Chiesa cattolica deve aver fatto capire a chi di dovere che non sopporterà altre interferenze col culto.

Un ulteriore ginepraio di assurdità lo scopriremo dando un’occhiata a come funzionano eventi artistici e cuturali. Tempo al tempo.

[Continua…]

Sorgente: Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi / Prima puntata – Giap

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