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Il vuoto affluente. Con l’«occasione» della pandemia proprio nulla dovrebbe tornare come prima, e il lavoro dovrebbe essere garantito e sottratto alle logiche del mercato

Tommaso Di Francesco

Con le finestre aperte nelle sere d’estate ecco che arriva l’urlo lancinante: «Chi ha fatto palo». Dunque torna la stagione fantozziana sospesa tra subalternità, disperante comicità della diffusa solitudine, il tutto dentro un vuoto affluente dove il «palo» altro non è che la realtà mancante, la rete segnata che non viene…ma basta il palo per entrare nella magnificenza della verità televisiva. Si dirà che il goal poi è arrivato e arriverà a soddisfare l’empito di massa. Ma il vuoto resta. È quello del presente e del futuro del Paese.

Dove, a pandemia non ancora finita, gli appetiti dei privati sulla sanità pubblica tornano all’arrembaggio; mentre dovrebbe esser chiaro una buona volta per tutte che siamo vivi e salvi solo perché nonostante tutto è rimasto in piedi, grazie a lotte dimenticate, il servizio sanitario pubblico; e invece nei sistemi sanitari differenziati, quelli regionali – il modello Lombardia p.s. -, è un corri corri a spartirsi l’immensa torta che si prepara. Dov’è il misfatto? Che i privati nella sanità esistono quasi esclusivamente solo grazie ai finanziamenti pubblici sottratti alla salute collettiva.

E il vuoto resta sulle condizioni di sfruttamento del lavoro. Nei quattro giorni seguenti alla firma dell’accordo sullo sblocco dei licenziamenti, con tanto di « avviso comune» e «raccomandazioni», due aziende, una di Assolombarda e l’altra una multinazionale, hanno licenziato via mail 150 persone nel primo caso, 422 nel secondo.

Confindustria licenzia appena può. Tanto la «penale» sarà il soccorso integrativo dello Stato. Ormai il salario dei lavoratori è di fatto pagato dalla collettività anche per sostenere – questo è il paradosso – l’esistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione. Eppure in piena pandemia 20 milioni di persone hanno continuato a lavorare ogni giorno, in presenza e/o in telelavoro da più di un anno e mezzo. Meriterebbero riconoscimenti, invece sono minacciati dal «ritorno alla normalità», la nuova ideologia che sostiene gli interessi del finanz-capitalismo e che è il pane quotidiano dell’onnivoro governo di tutti, il governo Draghi, che rappresenta una rendita di posizione della destra: dalla residua Fi, alla sovranista Lega fino all’estrema destra di Fd’I che infatti fa – premiata – l’opposizione di sua maestà. E che dire della rendita di Matteo Renzi che, sicuro del «contributo» del principe assassino saudita bin Salman, decide che è «diseducativo» il pur modesto e povero reddito di cittadinanza e lancia un referendum per abolirlo?

Invece, con l’«occasione» della pandemia proprio nulla dovrebbe tornare come prima, e il lavoro dovrebbe essere garantito e sottratto alle logiche del mercato. Il sindacato con quell’accordo ha voluto giustamente misurato la sua forza contrattuale, ma stavolta è in gioco il rapporto di forze tra le classi. E se, come appare ormai evidente, nessuna raccomandazione è obbligo e vincolo e quell’accordo rischia di essere stracciato, non può fare altro che riaprire i tavoli della trattativa con il governo – non solo caso per caso, come sta accadendo – cominciando a chiamare alla lotta i protagonisti, i lavoratori stessi.

Nel frattempo si squaglia la principale forza del Parlamento, il M5S per effetto di un conflitto quasi familiare, sembra un Edipo non risolto, preparando una deriva a destra ancora peggiore. Il Pd che agita il cacciavite non dà segnali di alterità, a sinistra ci sono pietruzze non di un mosaico da ricomporre – solo pochi lavorano a comporlo – ma di un malmesso acciottolato. E così, sarà pure bello far l’amore da Trieste in giù, ma la democrazia italiana è perfino incapace di decidere su un importante e pur modesto ddl che enuncia e denuncia la libertà di amare chi si vuole e l’omofobia correlata all’integralismo legato a ogni religione.

Ma il vuoto affluente è macroscopico per quel che riguarda la crisi internazionale, in particolare l’Unione europea. Di Maio ha brindato nell’ambasciata Usa con il segretario di Stato Blinken sul «profiquo partenariato» con la Nato e gli Stati uniti. Ma gli fosse scappata una parola sul disastro afghano che si consuma sotto i nostri occhi, dove abbiamo impegnato in guerra per 20 anni migliaia di soldati e montagne di danaro al seguito della vendetta americana per l’11 Settembre 2001, contro un nemico che fino a poco prima era interlocutore degli interessi di Washington. E dove gli «effetti collaterali» dei raid atlantici hanno provocato tante vittime civili favorendo i talebani; ora, alla chetichella, ci ritiriamo senza «vittoria», com’era annunciato, mentre i talebani riconquistano il Paese e l’esercito da noi addestrato fugge. E fuggono in massa gli afghani. Che chiameremo poi «rotta balcanica». Ora l’Italia viene minacciata dall’Isis, che in Afghanistan combatte contro i talebani nostri nemici, mentre il governo corre ad aprire basi militari nel Sahel che la Francia in questi giorni sta chiudendo. Surrogata dalla Nato, non ha abbiamo una politica estera ma un «ottimo» import export di armi.

Il fatto è che Di Maio si accontenta, come ha denunciato Angela Merkel all’ultimo Consiglio europeo fallito su migranti e vertice con la Russia. «Penso – ha denunciato Merkel – che tra le prerogative della sovranità ci debba essere quella di rappresentare e difendere i propri interessi invece quello che è stato deciso qui è che ci dobbiamo accontentare di informazioni di seconda mano dagli Stati uniti».

Perdipiù in un vertice dove nessuno ha avuto il coraggio di chiedere al segretario di Stato Blinken le ragioni dello spionaggio americano ai danni di Merkel e Macron da poco svelato. Per una Ue che vedrà a settembre l’addio di Merkel, l’unico baluardo «social democratico-cristiano», nonostante l’ordoliberismo, di una realtà comunitaria che resta, dopo la Brexit e l’insidia dei sovranismi reazionari dei Paesi dell’Est, solo una grande deposito di carta moneta stampata da distribuire. Tanto che Mattarella – che, con rievocazione pertiniana, sarà presente alla finale di Wembley (il ciclo si chiude) – è corso da Macron per un «asse» vista l’incerta Unione che verrà (non è dato sapere se abbia chiesto o meno di Ustica al presidente francese).

Tranquilli. Ai profughi, alla grande migrazione epocale aggravata dalla pandemia, che origina da scarsità di risorse, clima al precipizio, miseria, diseguaglianze e nostre guerre «umanitarie», continueranno a pensarci la criminale «guarda costiera» libica e il Sultano atlantico Erdogan. È una notte magica. Chi ha fatto palo?

Sorgente: Chi ha fatto palo? | il manifesto

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