0 3 minuti 3 anni

Per dimenticare devi essere giovane, nel pieno delle forze, con le speranze intatte. Ma se a 23 anni t’impicchi, vuol dire che lo sfregio è irrimediabile. Non è qualche ematoma, e neanche un osso rotto che ti farà più male; sarà la faccia piena di disprezzo di chi te l’ha rotto, l’essere stato trattato come una cosa, come uno sgradevole rifiuto, che t’ha condannato. Prova tu, che vorresti giudicare, a essere preso a sprangate con inarrestata violenza, con la connivenza della popolazione, l’inimicizia delle autorità, l’inattivazione della legge. Prova a vedere il tuo corpo calpestato, la tua immagine ingiuriata, i diritti inconsistenti; prova a sentirti meno di un fastidioso niente, di essere solo, respinto come nemico dal tuo amico, che ti fa pensare di essere di troppo, di essere sbagliato, proprio nel mondo che hai amato.

E invece dicono che “eri provato e stanco”, dicono che “non sei stato ascoltato dagli inquirenti dopo che ti hanno calpestato”. E come si può non essere stanco dopo chissà quale viaggio dalla tua Guinea? Chi si toglie la vita non sopprime solo se stesso siccome si reputa incapace di realizzare il progetto minimo dei miti dominanti. Chi si uccide ormai la vita la disprezza, se la vita è questa. Il suo suicidio è un’accusa: il rifiuto di questo gioco di bambini disperati, di questa legge di rettili ammaestrati. Le forze dell’ordine – come i giudici guardiani della proprietà – hanno giustificato il pestaggio col presunto furto del telefono di uno degli aggressori. Gli aggressori (tre meridionali a cui forse era stato sottratto il giocattolo, il bene ultimo dell’ordine sociale), tre vittime, tre cani: perché “lo cane mozzeca à lo strazzato”.

E allora capisci che sei nato male, capisci l’inutile fuga da un mondo ingiusto ad un mondo impazzito. Capisci che l’unica libertà l’avrai lontano da qui, lontano dai sogni, lontano dal bel paese, dall’agognata Europa. E non vi permettete, voi, schiavi legati alla catena, di giudicare debole la psicologia di Balde Moussa. Voi che siete allevati nell’infamia, che siete capaci di colpire solo alle spalle, di nascosto dall’autorità, dalla legge. Non vi permettete di bollare come un incidente il suo assassinio, voi che mentite senza pudore, che non avete più rispetto per niente, che non avete amore. Non dimenticate, voi, che avete ucciso un uomo.

E tu ragazzo nero non perdonarci, non aver pietà di noi, morti viventi, serpi che dilaniano per poche lire, schiavi di una società senza onore, destinati a sprofondare nell’ingiustizia che hanno creato. Stacci lontano, passa, e scuotiti i calzari.

(Giuseppe Di Maio)

Sorgente: La società del disonore – infosannio

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20