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di Luigi Ippolito

Il fracasso parte a qualsiasi ora. Non c’è weekend, pausa pranzo o siesta pomeridiana che tenga: i vicini impugnano i tosaerba e si lanciano a piallare i loro giardini, manco non l’avessero fatto solo qualche giorno prima. Con l’arrivo della primavera è un vero inferno: eccoli lì, magari di prima mattina, al primo sole, incuranti del freddo che ancora fa da queste parti, abbarbicati in canotta a quelle macchine infernali che sputano fumo e decibel. Perché per l’inglese medio è questa la vera mania: l’accurata manicure del proprio giardino di casa — che ogni abitazione al pianoterra si ritrova sul retro, anche nel centro di Londra. È una battaglia quotidiana combattuta contro felci ed erbacce: con l’obiettivo di raggiungere il prato perfetto, livellato, aggiustato, simmetrico.


 

La campagna #NoMowMay

Ma adesso, a sorpresa, è partita la reazione a quello che potremmo definire una sorta di “conformismo erbaceo”: a darle voce è stato il popolare conduttore del programma di giardinaggio della Bbc, Monty Don, che si è scagliato contro l’”ossessione” falciaprati degli uomini britannici, che a suo dire «consuma un sacco di carburante fossile, fa un sozzo rumore ed è la cosa più dannosa che si può infliggere alla natura». Monty Don non è solo, in realtà, perché ha portato a galla una tendenza, quella al prato incolto, che sta prendendo piede un po’ dovunque in Inghilterra. Già l’anno scorso una larga parte del Black Lawn, il celebre spazio verde del King’s College, simbolo dell’università di Cambridge, era stata riconvertita a campo “selvaggio”; la stessa cosa è avvenuta in numerosi cortili dei college di Oxford e per questo mese è stata lanciata una campagna nazionale, #NoMowMay, che invita a lasciar stare il tosaerba nel deposito degli attrezzi durante tutto il mese di maggio. Addirittura, il National Trust, ossia l’ente per la tutela del paesaggio, ha invitato a installare degli spaventapasseri nei giardini allo scopo di dissuadere dall’uso della malefica falciatrice. (continua a leggere dopo i link e la foto)

 Wyken Hall, la casa e i giardini nello Suffolk (Getty Images) Wyken Hall, la casa e i giardini nello Suffolk (Getty Images)

 

Natura addomesticata

La prima motivazione dietro l’appello del conduttore della Bbc è di tipo ambientalista: «Lasciar crescere l’erba» spiega «che è, dopo tutto, una cosa abbastanza passiva da fare, è probabilmente la cosa più efficace che si possa adottare in qualsiasi giardino per incoraggiare la vita degli insetti, ma anche di piccoli mammiferi, rettili, invertebrati». Ma poi c’è un aspetto “politico”, se vogliamo: «È un’ossessione» dice Monty Don «che tende a essere maschile, che punta a controllare invece che ad accogliere. Ottenere un prato che è pura erba, senza piante estranee che lo invadono, che è curato e a strisce: è un altro aspetto della vita che viene messo sotto controllo». Insomma, la mania del giardinaggio tradirebbe un atteggiamento maschilista, autoritario e anche un po’ xenofobo. D’altra parte, la moda del “giardino all’inglese” nasce nel Settecento e si accompagna all’Illuminismo. È vero che prende forma come reazione al giardino alla francese del Seicento, quello geometrico e “architettonico”, ma è pur sempre un paesaggio idealizzato, una natura addomesticata, resa conforme a un idillio pastorale che non esiste nella realtà. È una razionalizzazione del “selvaggio”, che include la ricreazione di elementi classici e altre architetture “pittoresche” in un insieme che comprende elementi romantici, ma sempre in un quadro di compostezza.

Una coppia di coniugi lavora e si gode il giardino in uno scatto d’epoca (Getty) Una coppia di coniugi lavora e si gode il giardino in uno scatto d’epoca (Getty)

 

Il giardino del Principe

Il giardino all’inglese si era diffuso rapidamente in tutta Europa, ma è al di là della Manica che ha sempre trovato la sua più alta espressione. Un grande fautore ne è il principe Carlo: il parco della sua residenza privata, a Highgrove, è stato disegnato con l’aiuto di importanti naturalisti, che hanno messo mano a quei giardini che dopo il Settecento erano stati lasciati praticamente incolti. Il risultato è una tenuta che ospita alberi e piante rare, coltivati con tecniche di giardinaggio organico, che producono un habitat ideale per uccelli e fauna: un giardino di cui Carlo va orgoglioso e che, non a caso, esibisce come fiore all’occhiello delle sue credenziali ambientaliste. Ma il rapporto stretto con la natura non è segno distintivo solo della upper class, per quanto il suo archetipo sia quello del gentiluomo di campagna che vive nella sua tenuta, lontano dal frastuono della città: è l’inglese in quanto tale che, seppur urbanizzato, non ha mai smesso di anelare al countryside. E dunque Londra ha più spazi verdi di qualsiasi altra città, piantati per altro nel pieno centro del tessuto urbano: da Hyde Park a Kensington Gardens, da Regent’s Park a Hampstead Heath, la capitale britannica è tecnicamente classificata come “foresta”.

Il cuore dell’identità british

La natura spesso si affaccia per le strade: capita a volte, rincasando la sera, di imbattersi in una volpe che si aggira davanti casa, magari la stessa che di prima mattina si affaccia sul ciglio del proprio giardino. E l’inglese ricrea la campagna in città dedicandosi anima a corpo al suo fazzoletto d’erba. Adesso però attorno a questi prati si è accesa la disputa. «Penso che una delle cose che va facilmente perduta nella vita moderna» argomenta Monty Don nella sua battaglia contro gli eccessi da tosaerba «è la connessione col ritmo del mondo naturale. Nove volte su dieci, se l’erba sta bene tutto il resto si sistemerà da solo. Per quanto tu voglia tosare il prato, l’erba crescerà al suo ritmo». Ma è un ritorno alla natura e alla sua spontaneità che non mette tutti d’accordo. «La cattiva educazione di certi giardinieri celebri è insopportabile», ha ribattuto David Hedges-Gower, che è a capo della Lawn Association, l’associazione per i prati creata di recente e mobilitata a difesa del tradizionale giardino inglese. «I prati hanno una parte importante da svolgere nel nostro mondo», sostiene, respingendo le accuse di mancato rispetto per l’ambiente. Ma è un Kulturkampf destinato a continuare, perché va al cuore dell’identità dell’Inghilterra: che negli ultimi tempi, non si sente più tanto a suo agio col mondo.

Sorgente: La «battaglia dei prati»: l’erba degli inglesi è sempre più alta

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