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Non è facile dialogare con qualcuno che può invertire la rotta in 24 ore senza l’incomodo di dover spiegare la svolta. Gli basta pronunciare la formula magica, sapendo che tutti gli pseudo-dirigenti la ripeteranno a pappagallo, come fanno adesso con «2050». Cautela

Il 27 marzo 2013 Enrico Letta era lì, proprio accanto a Pier Luigi Bersani, al tempo del primo streaming con i grillini, guidati dai capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, che a favore di webcam, replicando al discorsetto introduttivo del segretario del Pd, scandiva: «Mi sembrava di stare ad ascoltare una puntata di Ballarò, sono vent’anni che ascoltiamo queste parole».

Proprio lei che oggi, quasi dieci anni dopo, fa ingresso nella giunta di Nicola Zingaretti, ovviamente come assessore alla «Transizione ecologica».
Enrico Letta era di nuovo lì, appena qualche settimana dopo, davanti agli stessi Crimi e Lombardi, nel tentativo di convincerli a sostenere il suo governo, dopo il fallimento del tentativo di Bersani. Ma come spesso accade, il seguito non sarebbe stato all’altezza del primo episodio. Ugualmente insensato, solo più noioso e ripetitivo.

Il neosegretario del Pd dovrebbe avere dunque le idee piuttosto chiare sul grado altissimo di aleatorietà, diciamo così, di qualsiasi dialogo con i grillini. Non per niente nel suo discorso all’Assemblea nazionale Letta ha parlato di un centrosinistra da ricostruire autonomamente da un lato, dall’altro di un nuovo Movimento 5 stelle a guida contiana con cui, dopo, il centrosinistra andrebbe a discutere.

Un’impostazione chiara, lineare, razionale, che rischia però di rivelarsi impotente dinanzi a un magma politico-umoristico che si fa beffe del principio di non contraddizione, che può passare dal mai con Draghi al sempre con Draghi in ventiquattro ore, e sulla base di formule magiche, come la «transizione ecologica», una delle ultime arrivate nel vasto campionario delle parole-fuffa con cui il grande Imbonitore di Bibbona decide la linea del partito senza l’incomodo non dico di dover spiegare la svolta, ma nemmeno di doverla enunciare in parole coerenti.

Gli basta pronunciare la formula magica, sapendo che tutti gli pseudo-dirigenti la ripeteranno a pappagallo, come fanno adesso con «2050». Come fa ad esempio il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che oggi, dopo aver sostenuto che il Pd «toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock per venderseli», augura buon lavoro al nuovo segretario con queste non meno surreali parole: «Superiamo questa fase così dura e guardiamo avanti, al 2050, puntando sulla #TransizioneEcologica del Paese». Seguito dal sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano («…Gli faccio quindi gli auguri con l’auspicio che imprima al #PD la stessa visione orientata al futuro, al 2050, del #M5S»).

Seguito dal ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli («…Il @Mov5Stelle sarà leale, nella consapevolezza di guardare finalmente al 2050 come prospettiva politica da costruire in questi anni di transizione»). Seguito dal deputato Francesco Berti («…Serve rafforzare la collaborazione M5S-PD-LEU guardando al 2050, lasciando fuori chi vuole solo sabotare»).

Se adesso vi state chiedendo che diavolo succede nel 2050, e perché proprio il 2050, e non, chessò, il 2049 o il 2051, ritornate all’inizio dell’articolo e rileggete da capo. E non costringetemi a ripetere sempre le stesse cose cento volte, per piacere.

Se invece intendevate domandare semplicemente cosa abbia scatenato questa curiosa tempesta di auguri futuristi nei confronti di Letta, simili a quelle più rudimentali forme di spam mal tradotto che ogni tanto intasano la posta elettronica, la risposta è nell’immagine mandata online da Beppe Grillo poco prima: i sei simboli dei partiti della maggioranza che sostiene il governo Draghi – comprese dunque Lega e Forza Italia – ciascuno con scritto «2050» nel simbolo, e appena due righe di commento: «Transizione politica – differenti sì, ma con lo stesso futuro».

Di nuovo, se ora vi aspettate che io perda anche solo trenta secondi del mio e del vostro tempo a far finta di analizzare il presunto significato di una simile boiata, non avete capito niente (e a questo punto forse è pure inutile che ricominciate a leggere da capo: dedicatevi a qualcos’altro, se possibile cercate solo di evitare la politica).

Il fatto che il fondatore di un partito nato gridando che bisognava spazzare via tutti gli altri partiti, a cominciare da Forza Italia e dal suo leader, possa ora come se niente fosse celebrare il grande abbraccio governativo con il partito dello «psiconano», semplicemente perché ci ha scritto sopra «2050», non è, tecnicamente, una contraddizione. Non è qualcosa di cui si possa discutere seriamente. Non è una questione che abbia nulla a che vedere con la logica, e tantomeno con la politica.

Al massimo, è pensiero magico. L’idea cioè che apponendo un segno su un simbolo io possa produrre un cambiamento sostanziale in ciò che quel simbolo rappresenta, trasformando il piombo in oro e il fango in cioccolata. Ma questo forse lo possono credere i più accecati tra i sostenitori del santone di Bibbona, non certo lui, e tantomeno gli altri esponenti del Movimento 5 stelle, che si sono dimostrati da tempo assai smaliziati. La verità è che è semplicemente un numero da circo, una trovata da mangiafuoco per lasciare a bocca aperta i bambini e tirare avanti in qualche modo.

È pensabile, seriamente, che un grande partito o addirittura una coalizione di partiti possa avviare una trattativa politica su queste basi? Tentare è forse necessario, specialmente se la legge elettorale continuerà a imporre le coalizioni precostituite, come dice di volere anche Letta. Ma un certo grado di cautela e di scetticismo sulle possibili involuzioni di un dialogo nato su simili premesse, e sulle più che probabili sorprese dell’ultimo minuto, è doveroso. Prima di scoprire che lo slogan scelto dallo strategico alleato è una qualche variazione sul tema «Bibbiano 2050».

Sorgente: Il Pd non si lasci incantare dalle parole-fuffa dell’Imbonitore di Bibbona – Linkiesta.it

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