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di Stefano Folli

“Può darsi che gli vada bene”. Il viatico di Romano Prodi a Conte, nel momento in cui lo invita ad andare in Parlamento e lì verificare la sua maggioranza, non è dei più rassicuranti, come sa chi conosce le vicende italiane, ma è quello che fotografa meglio la situazione.

Il premier non ancora dimissionario spera di trovare tra i cosiddetti “responsabili” i voti che Italia Viva gli toglie – benché ora si stia imponendo il termine “costruttori”, derivato da Mattarella. Ma fino a ieri il nuovo gruppo era ancora avvolto nel mistero, in particolare al Senato dove si gioca su numeri esigui. Come l’Araba Fenice della filastrocca: tutti dicono che esiste, ma dove sia nessun lo sa. A questo punto l’effetto sorpresa non avrebbe ragion d’essere. Quello che serve è proprio il contrario: un processo in piena luce, così da nobilitare una mera operazione di trasformismo. Procedura peraltro del tutto legittima in un sistema parlamentare.

Su questo punto ha ragione Dario Franceschini, che ha chiesto proprio di illuminare la nascita dell’eventuale gruppo dei Costruttori.

Invece si tende a procedere nella penombra, il che è un segno di ulteriore debolezza. Il meno che si possa dire è che i tempi stringono. Avendo scelto la strada del braccio di ferro in Parlamento, il presidente del Consiglio ha bisogno che il nuovo gruppo prenda forma il più presto possibile. Dopo aver informato Mattarella della sua intenzione di confrontarsi in aula, Conte sa di avere un margine stretto. Il Quirinale, lo si è scritto più volte, ha bisogno di vedere un vero e strutturato gruppo parlamentare, non un piccolo manipolo di scontenti pescati qui e là. Anche perché stiamo parlando della maggioranza che dovrà riprendere in mano il Recovery plan e gestirlo in modo convincente agli occhi dell’Unione.

Ieri la Frankfurter Allgemein Zeitung, autorevole quotidiano tedesco, ha evitato di condividere l’argomento secondo cui è riprovevole aprire una crisi in Italia nel pieno della pandemia: “Purtroppo questo governo, oltre alla gestione del coronavirus, non ha prodotto alcunché in grado di guardare al futuro. Conte voleva distribuire i soldi di Bruxelles in base a calcoli politici e clientelari. Così facendo l’Italia mancherebbe gli obiettivi del fondo Recovery, volto a favorire le riforme e una maggiore crescita”.

Ne deriva – secondo questo osservatore – che la crisi avrebbe un senso se servisse a correggere una tendenza negativa e autolesionista, mentre non ne avrebbe alcuno se si risolvesse con la conferma dei vecchi errori.

La domanda che molti si pongono è se la sopravvivenza del Conte-2 grazie all’eventuale pattuglia “responsabile” darebbe il messaggio giusto all’Europa e anche ai mercati finanziari. Sarebbe in ogni caso una navigazione tormentata per il premier e i suoi collaboratori, al di là del piacere d’essersi liberati di Renzi. Una vittoria di Pirro, a dir poco. O magari invece una sconfitta disastrosa con conseguenze poco brillanti sul futuro di Conte. Ecco perché un vecchio esperto delle aule parlamentari come Bruno Tabacci ieri – sulla testata online Formiche – consigliava al premier di alzare la posta: ossia di rivolgersi a viso aperto a tutti coloro che si riconoscono in un Centro progressista da assemblare e da guidare poi verso la battaglia elettorale (quando sarà).

Franceschini vuole un po’ di luce, Tabacci intravede un soggetto politico. Entrambi sono scettici verso manovre al ribasso condotte con il rancore ma senza acume politico.

Sorgente: Un premier nella penombra | Rep

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