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(A cura di Alessandro Morelli, professore di Diritto pubblico all’Università di Messina)

Nei risultati del referendum costituzionale c’è qualcosa di nuovo. Un dato importante, già colto dal direttore Mattia Feltri ma che merita un ulteriore approfondimento: in una consultazione dal risultato largamente scontato, quasi un terzo dei votanti, in contrasto con le indicazioni provenienti da pressoché tutti i partiti, si è espresso in senso contrario. E lo ha fatto a conclusione di un dibattito intenso, sviluppatosi in poche settimane, a ridosso del voto.

Il No al taglio dei parlamentari non può essere inteso semplicemente come espressione della pervicace resistenza di una classe dirigente che non vuole rinunciare ai propri privilegi di casta. Sono i numeri a smentire questa lettura. Ma soprattutto il tono e i contenuti del confronto pubblico che si è svolto e, non ultimo, l’identikit di molti partecipanti al dibattito stesso, che si sono fieramente schierati per il No: giovani studiosi che, per la prima volta in modo così deciso, hanno inteso far sentire la propria voce.

L’appello dei costituzionalisti per il No, di cui ho avuto l’onore di essere tra i promotori, ha raccolto un numero di adesioni mai registrato per iniziative analoghe: 266 studiosi di diritto costituzionale, 149 altri accademici, tra giuristi e cultori di varie discipline scientifiche, ai quali si sono aggiunti 185 altri sostenitori. Tra questi certamente nomi autorevoli, importanti, ma anche moltissimi giovani, tra cui tante donne. All’appello dei costituzionalisti si è poi affiancato quello dei filosofi e dei sociologi del diritto, con le sue 260 adesioni.

Il dibattito al quale questa nuova generazione d’intellettuali ha dato vita (nei partecipatissimi webinar, sui social e nei confronti in presenza, non molti purtroppo, a causa dei tempi) ha messo in luce, laddove vi fossero, le visioni della democrazia che stavano dietro gli slogan propagandistici, mostrando come in ballo non ci fosse soltanto una questione di numeri.

Anche grazie al loro contributo, i promotori della riforma hanno dovuto chiarire le proprie posizioni. E così si è scoperto che, nel fronte del Sì, ad affiancare i sostenitori oltranzisti della democrazia diretta, nemici di un parlamento inteso come un’istituzione ormai obsoleta, c’erano diversi fautori della democrazia maggioritaria, decidente, dell’alternanza, che vedevano nella riforma e nell’effetto “ipermaggioritario” che essa avrebbe prodotto un’occasione di rivincita, forse l’ultima. E ancora promotori di una democrazia “giudiziaria”, animati da un profondo risentimento nei confronti delle istituzioni rappresentative, convinti che giudici e corti siano i soli attori istituzionali legittimati a decidere sulle questioni pubbliche fondamentali. E, infine, sostenitori di una democrazia partecipativa localistica che reputa sufficienti le assemblee regionali e locali, svalutando il ruolo politico e istituzionale delle Camere nazionali. Un’alleanza che finiva con il trovare il proprio comune nemico nel parlamento, il cui “snellimento” era sostenuto sulla base di diverse e non sempre conciliabili argomentazioni.

Anche il fronte del No ha offerto un panorama variegato di concezioni della democrazia, che hanno trovato il punto di convergenza nella difesa del parlamento come luogo istituzionale di espressione del pluralismo politico e culturale.

Chi ha dato ragioni al taglio dei parlamentari, promettendo l’avvio di una nuova stagione di riforme, si è assunto una grande responsabilità. Ma anche chi ha fermamente opposto il proprio No è chiamato oggi a una responsabilità non minore: quella di esercitare un controllo vigile sui prossimi sviluppi istituzionali e soprattutto di dare il proprio contributo in termini di idee e proposte.

Da decenni il dibattito sulle riforme ruota intorno a un progetto di democrazia maggioritaria, che non ha mai attecchito e prodotto effetti positivi, poiché mancano nel nostro paese i presupposti culturali e politici indispensabili al suo funzionamento. Il “popolo del No” ha al proprio interno risorse potenti, che non chiedono semplicemente di essere rappresentate in parlamento, ma che possono dare tanto allo sviluppo delle istituzioni democratiche di questo paese. Ovviamente a condizione che ci sia la volontà di farlo.

Non si tratta soltanto di trovare le soluzioni tecniche migliori ma di riscoprire i valori di fondo del sistema istituzionale, tra cui il pluralismo, in tutte le sue declinazioni, e quel senso di solidarietà sociale e politica sulla quale i Costituenti intesero fondare la vita delle istituzioni repubblicane

Sorgente: Il senso di un No responsabile (di A. Morelli) | L’HuffPost

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