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«Non ci sono dati che dimostrino che il virus si sia indebolito, per questo non ha senso parlarne. La scienza che si divide su questi temi disorienta ulteriormente i cittadini, aumenta la loro diffidenza; per questo dicono no al test sierologico e all’app Immuni, che è stata scaricata da troppe poche persone per essere utile». Il professor Stefano Merler, matematico, ricercatore della Fondazione Kessler, sta seguendo da vicino per l’Istituto superiore di sanità l’andamento della diffusione del coronavirus. È l’uomo, per capirci, che ogni settimana calcola l’Rt di Sars-CoV-2, l’indice di trasmissibilità, facendo arrabbiare di volta in volta qualche regione («ma solo perché non si comprende il reale significato dell’Rt che è uno strumento di lavoro e sorveglianza»).

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Perché molti italiani rifiutano di partecipare alla indagine nazionale con i test sierologici e poche persone installano la app Immuni che traccia eventuali contatti con persone positive?
«Temo che ci sia una correlazione con una diminuzione dell’attenzione rispetto al Covid visto che le cose stanno andando meglio. Le persone si sentono meno a rischio».

Secondo il professor Walter Ricciardi conta anche il pessimo rapporto tra gli italiani e la scienza.
«Questo di sicuro. C’è una certa diffidenza, non siamo anglosassoni. E le discussioni di questi giorni di certo non aiutano. Se è la scienza che si mette a discutere di scienza ma senza il metodo scientifico, allora è chiaro che i cittadini vanno ancora più in confusione. Parlo del dibattito che c’è in corso tra chi sostiene che il virus si sia indebolito e chi no. Virus indebolito? È una ipotesi, da prendere in considerazione, per carità, però non è commentabile perché le ipotesi si commentano solo se vi sono dati in un senso o nell’altro. Ad oggi non ce ne sono. Ci si limita a dire “il virus si è indebolito perché vediamo meno casi”, qualcuno risponde “ma guardate il mattatoio in Germania”, “ma guardate Djokovic”. Ci si attarda in una discussione stucchevole, senza basi scientifiche e i cittadini perdono fiducia».

Cosa bisognerebbe fare?
«I metodi per andare a verificare se quella ipotesi ha fondamento esistono, monitorando i contatti di chi è positivo oggi, vedendo quanti si infettano e confrontando con quanto avveniva tre mesi fa. Questo bisognerebbe fare per capire se il virus si trasmette meno facilmente. Probabilmente è anche vero che i pazienti sono meno gravi. Ma anche su questo: non sarà che semplicemente i pazienti arrivano prima in ospedale? Secondo i nostri calcoli, a marzo un paziente veniva ricoverato solo dopo 8-10 giorni i primi sintomi; oggi passa un giorno perché si è riusciti a svuotare gli ospedali. Però cosa succederebbe se, in caso di una seconda ondata, il sistema sanitario andasse di nuovo in difficoltà? Ripeto: io non dico che le ipotesi che fanno siano sbagliate, dico che per parlare servono studi e dati dimostrati. Altrimenti diventa uno scontro tra tifosi di calcio».

Evitare divisioni, messaggi chiari, continuare a fare attenzione.
«Esempi in cui il virus riparte ci sono: la Germania, che pure è stato un modello, ora è costretta a nuove chiusure. Io sono convinto che oggi siamo più preparati, sappiamo intervenire anche in Italia tempestivamente quando si manifestano nuovi focolai, lo abbiamo visto a Roma. Il vero ottimismo, più realistico, viene dal fatto che si sta vedendo capacità di individuare focolai, intervenire e contenerli».

Questo ci deve aiutare anche a essere più razionali nel valutare ogni settimana il numeretto dell’Rt delle varie regioni.
«Capisco siano concetti complicati, ma deve essere chiaro che anche se Rt va sopra 1, per due o tre settimane, perché è stato trovato un piccolo focolaio, non è un problema, è da mettere nel conto. Il problema c’è se quel focolaio lo troviamo tardi».

Si aspettava un risultato migliore dall’app Immuni?
«Sì. L’hanno scaricata 3,5 milioni di persone. E non è neppure detto che tutti la stiano usando, perché magari uno la scarica per vedere come funziona, poi rinuncia. Se i numeri sono questi, rasenta l’inutilità. Siamo al 5 per cento della popolazione, non serve a nulla. È un peccato. Anche in questo caso, con la trasmissione del virus più bassa, la gente è meno propensa a installarla. Ma se dovesse ripartire il contagio, un minimo di utilità potrebbe averla. Anche se la cosa più importante sono i dipartimenti di prevenzione e la capacità di fare contact tracing».

Cosa ci stanno dicendo gli ultimi dati?
«Le tendenze sono le stesse dal 25 marzo, con una costante decrescita. L’Rt, da quel giorno, a parte qualche piccolo picco regionale, sta sempre a livello nazionale tra 0,5 e 0,8. Da tre mesi sistematicamente l’epidemia sta arretrando. Cosa succederà? Difficile rispondere. Non esistono studi affidabili sulla stagionalità del coronavirus, ad esempio. Certo, se ci fosse questo fattore, vuole dire che ad ottobre terminerà l’effetto favorevole della stagionalità. Non sappiamo quali saranno le conseguenze delle riaperture delle scuole. Quanto trasmettono i bambini? Mancano veri studi scientifici. In sintesi: ci sono punti interrogativi, prendiamoci questo pezzo di estate che sembra andare bene, ma prepariamoci a tutti gli scenari, come è sempre giusto fare».

Sorgente: Covid, il matematico: «Virus più debole? Niente prove, la scienza divisa disorienta»

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