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Sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie spesso difficili, poche precauzioni. Una situazione, comune a molte carceri europee, che sembrava essere il preludio alla trasmissione del coronavirus anche dietro le sbarre. Eppure, come evidenzia il report del Parlamento Europeo, in questo periodo i Paesi dell’Unione Europea hanno cercato di tutelare in ogni modo gli oltre 491 mila carcerati (dati del 2018 del rapporto sullo stato delle carceri europee dell’Osservatorio Antigone) dal rischio di contagio.

Non sono mancati i focolai, nati soprattutto in Spagna, Francia e Italia, ma le misure adottate hanno cercato di alleviare lo stato di reclusione per molti detenuti, spesso privati delle loro attività di svago e di interazione con gli altri durante l’epidemia. Sull’argomento si è espresso anche il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, stabilendo che le misure restrittive adottate devono essere «necessarie, proporzionate, rispettose dei diritti umani e limitate nel tempo» e raccomandando pene alternative alla detenzione, come richiesto anche dall’Alto Commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet.

L’epidemia di Covid-19 ha obbligato i Paesi europei ad adottare una serie di misure per tutelare sia la polizia penitenziaria sia i carcerati dal rischio di contagio. Tra le precauzioni prese ci sono l’utilizzo di mascherine e guanti, obbligatorie per detenuti e staff come previsto in Belgio, Repubblica Ceca e Baviera, e il controllo della temperatura per i visitatori, come in Bulgaria e in Ungheria.

Sorgente: Come gli Stati europei hanno gestito le carceri durante la pandemia – Linkiesta.it

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