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L’idea di tagliare lo stipendio dei parlamentari appare oggi ancora più nitida nella sua inconsistenza

di Stefano Cappellini

Pareva che la pandemia avesse almeno un effetto positivo sulla politica. Si credeva che potesse servire a riscrivere le gerarchie del dibattito nazionale, a centrarlo sulle urgenze e sulle necessità. Si sperava che spazzasse via il più trito stupidario del populismo nostrano. Forse ci eravamo illusi.

Mentre un Paese provato dai lutti e dai sacrifici rischia di finire stritolato dalla più grave crisi economica e finanziaria del dopoguerra, dall’arsenale del Movimento 5 Stelle è riemersa l’arma delle vecchie guerre (guerre che viene da chiamare puniche, tanto appaiono distanti nella cornice di questi giorni sospesi): la proposta di tagliare lo stipendio dei parlamentari. Proposta che, peraltro, il M5S aveva dimenticato nel cassetto dopo aver promesso in campagna elettorale che sarebbe stato il primo atto di governo della nuova legislatura. Di governi ne sono nel frattempo transitati un paio, c’è voluto il Covid 19 perché l’unico partito che ha fatto parte di entrambi si ricordasse della promessa.

L’idea, già discutibile in sé, dato che si fonda sul principio che rappresentare il popolo in Parlamento sia attività da sprezzare e dunque da deprezzare, appare oggi nitida nella sua inconsistenza. Non tanto per l’ovvia sproporzione tra gli effetti dell’eventuale taglio e le risorse che ne deriverebbero – i grillini che hanno imparato a far di conto risponderebbero che si tratta di un fatto simbolico, e il vero simbolo naturalmente è il disprezzo per la politica – quanto per il devastante messaggio di inadeguatezza che trasmette a chiunque in questo momento drammatico non sia a caccia di facili sfoghi e comodi nemici. E la “casta” è sempre il nemico più comodo, persino quando puntare il dito su di essa significa per gli stessi 5S puntarselo addosso.

Abbiamo trascorso mesi e anni, noi e loro, appresso agli scontrini da rendicontare e a quelli spariti, ai bonifici regolari e quelli tarocchi, centinaia di parlamentari della Repubblica italiana hanno inteso come missione prioritaria quella di restituire parte del loro stipendio o intascarsela di straforo, e da fuori non si vede la differenza tra le due attività, sempre di braccia rubate alla politica parliamo. Servirebbe capire come ricostruire il Paese senza strozzarlo di debiti. Gioverebbe impiegare ogni energia per capire come finanziare un welfare straordinario e un meccanismo di crediti alle imprese garantito da uno Stato vivo e non in bancarotta. Bisognerebbe ragionare su come riaprire una nazione al lavoro, ai commerci e in definitiva alla vita sapendo che si dovrà convivere con nuovi limiti e in un mondo le cui regole vanno riscritte. A pensarci dovrebbero essere innanzitutto i rappresentanti del popolo, una buona parte dei quali, trecento e passa, è espressa proprio dal Movimento 5 stelle. Questo è il compito di una classe dirigente.

In Europa torna la peste della dittatura, con un Parlamento come quello ungherese che si consegna legalmente al suo carnefice. E invece i parlamentari del partito tuttora di maggioranza relativa – riemersi dal lungo torpore seguito alle sconfitte elettorali e ai rovesci di consenso – tornano ad alambiccarsi sul modo di picconare quel che resta – non molto, purtroppo – del ruolo e dell’autorevolezza delle nostre Camere. Quanta sintonia con il socio della vecchia gestione, quel Matteo Salvini che in patria si lamenta di quanto poco lavori il Parlamento mentre si rallegra che in Ungheria abbia chiuso i battenti. Una riforma costituzionale approvata con molta fretta in nome delle nuove alleanze ha già ridotto di molto il numero dei deputati e dei senatori senza preoccuparsi di adeguare i numeri, i pesi e i contrappesi. In attesa del referendum, dall’esito abbastanza scontato, che darà l’ultimo via libera al nuovo corso, è lecito supporre che i cittadini italiani non si offenderebbero se i parlamentari si tagliassero lo stipendio. Ma certo, davanti alle sfide che ci attendono, sarebbero più sollevati al pensiero che siano all’altezza di guadagnarselo.

Sorgente: Lo stupidario populista | Rep

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