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Zaia: «La frase sui cinesi che mangiano topi vivi? Mi è uscita male»

Il governatore leghista veneto: «Sull’isolamento ci stanno dando ragione. Ora proponiamo un allentamento. Le mie parole sono state infelici»

Zaia: «La frase sui cinesi che mangiano topi vivi? Mi è uscita male»

Presidente Zaia, indietro tutta?
«Noi proponiamo di allentare la stretta. Ma non decidiamo da soli. E senza l’approvazione del mondo scientifico, non lo facciamo».

Cosa è cambiato rispetto a una settimana fa?
«Abbiamo un quadro scientifico più definito. E gli altri Paesi hanno già cominciato ad approfittare di questo momento di debolezza dell’Italia per occupare i nostri spazi. Bisogna uscirne velocemente».

Altrimenti?
«Senta, io qui ho il turismo e 600.000 partite Iva che da soli valgono 150 miliardi di Pil. Se vanno in fumo, altro che recessione, è Medio Evo. Se ci sono i presupposti bisogna dare un segnale di ripartenza».

E la salute?
«Io ho sempre messo davanti la salute dei miei cittadini. Se si ammalano, l’economia va male lo stesso. Per questo il mondo scientifico non si deve chiamare fuori. Altrimenti sembra che abbiamo fatto tutto da soli, quando invece non è mai stato così».

Abbiamo esagerato con le ordinanze che chiudono tutto?
«Anche se non c’è più il Totocalcio, l’Italia rimane un Paese pieno di gente che gioca la schedina con il 13 vincente di lunedì. In verità i protocolli dell’Oms ci consigliavano un approccio ancora più pesante».

Quand’è che ha visto un cinese mangiarsi i topi vivi come ha detto in tv?
«È tutto il giorno che vengo massacrato per quel video. Nella migliore delle ipotesi sono stato frainteso, nella peggiore strumentalizzato».

Non è lei che quello che parla?
«Sì, certo. Quella frase mi è uscita male, d’accordo. Se qualcuno si sente offeso, mi scuso. Non era mia intenzione fare il qualunquista e tanto meno generalizzare. Intendevo fare una riflessione più compiuta».

L’hanno criticata quasi tutti, da Calenda all’ex ministra Grillo. Cosa voleva dire?
«Volevo parlare delle fake news e dei video che hanno girato prima che l’epidemia arrivasse da noi. Hanno preparato la culla per il neonato. Qui non è arrivato il virus, ma il virus della Cina. Prova ne sia l’aumento esponenziale della diffidenza nei confronti dei cinesi, creata dai social».

Nel video incriminato le sue considerazioni sulla loro igiene sono una terapia d’urto?
«Volevo solo dire che le certificazioni sul fronte della sicurezza alimentare e sanitaria variano da Paese a Paese. Era una riflessione a 360 gradi su un Paese che ha metropoli moderne e altre zone che sono il loro esatto opposto».

Il video è diventato subito virale.
«Mi dispiace profondamente. Questo è uno dei problemi principali. A differenza della Sars che è del 2003 e dell’aviaria che è del 2006, questo è il primo virus dell’era digitale. L’informazione in tempo reale, vera o falsa che sia, coinvolge tutti noi, condiziona le nostre scelte e i nostri comportamenti. Dobbiamo abituarci a creare modelli diversi di approccio, anche comunicativo».

Due mesi fa lei ha proposto l’isolamento per chi rientrava dalla Cina.
«No. Ho parlato di isolamento fiduciario non dalla Cina, ma dalle zone infette. In questo Paese sembra che ogni limitazione della libertà personale sia un atto di razzismo. Invece ci sono norme di polizia sanitaria che purtroppo impongono determinati atteggiamenti».

La popolazione si è rivelata meno apprensiva delle istituzioni?
«È come stare su un pullman. Chi è al volante deve guardare la strada e preoccuparsi di tutto. I passeggeri possono fare le foto e chiacchierare. Solo uno ne risponde. In questo caso sono io».

Ieri chiedevate misure forti, oggi meno. Non si rischia di creare confusione?
«Avrei molto da ridire su chi banalizza quel che facciamo. La mia ordinanza scade domenica. Prima si chiarisce ogni aspetto con i tecnici del governo, meglio è. Non possiamo andare avanti in ordine sparso. E lo scaricabarile non mi ha mai appassionato».

Intanto l’economia piange.
«Le nostre imprese sono devastate da questa emergenza che prima è sanitaria e poi mediatica. Il governo deve intervenire mettendo in campo un budget da centinaia di milioni per una campagna di riposizionamento della reputazione del nostro Paese».

Non ci sono le ambasciate per questo?
«Con tutto il rispetto, davanti a un danno di immagine mostruoso, con la concorrenza mondiale che è pronta a mangiarci, serve qualcosa di più incisivo».

Sorgente: corriere.it

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