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Il caso. Il primo bollettino Inail del 2020 sugli infortuni e i decessi sul lavoro sono inquietanti: 52 persone hanno perso la vita in incidenti con esito mortale solo a gennaio, otto in più rispetto alle 44 registrate nel primo mese del 2019 (+18,2%). Storia di un’emergenza tragicamente e orrendamente concreta, ma invisibile agli occhi dei media e della politica. Come si costruisce la percezione del rischio e il suo impatto sui mercati finanziari, dell’informazione e della politica

Roberto Ciccarelli

Il primo bollettino Inail del 2020 sugli infortuni e i decessi sul lavoro è inquietante: 52 persone hanno perso la vita in incidenti con esito mortale solo a gennaio, otto in più rispetto alle 44 registrate nel primo mese del 2019 (+18,2%). Sono aumentate soprattutto le denunce di incidenti mortali avvenuti in itinere (da 13 a 19) mentre quelle per infortuni in occasione di lavoro sono passati da 31 a 33. Si muore più nel Nord Est (da 9 a 14 casi mortali), tre al Centro (da 9 a 12) , uno al Sud (da 8 a 9) e Isole (da 4 a 5). Calano gli infortuni sul lavoro: 46.483, meno 1.400 casi. Ma è solo gennaio. Se il 2019 è stato l’anno più traumatico da dieci con 1089 morti, il 2020 sarà peggiore?

Al tempo dell’«infodemia», epidemia mediatica, da Coronavirus c’è un’emergenza lampante ma invisibile: i morti e gli infortuni sul lavoro e per raggiungere i posti di lavoro. È un’emergenza tragicamente e orrendamente concreta, che miete vittime tra chi esce di casa e non torna più per sempre. Con la metà dell’energia che ha schizofrenizzato i media per il virus si potrebbe almeno dimezzare la velocità di questa strage, veicolare fondi e facilitare politiche strutturali, creare una protezione contro la violenza del lavoro precario che porta a morire a 75 anni mentre cerchi di sopravvivere perché la tua vita, e quella dei tuoi cari, agonizza. Solo l’intelligenza collettiva e la sanzione sociale contro l’organizzazione del capitale possono fermare questa corsa verso l’annientamento della forza lavoro per di più sfruttata.
E invece non accade niente. La mancanza di verifiche tecniche nella costruzione e manutenzione delle infrastrutture, la scarsa adozione di misure collettive ed individuali di protezione, la carenza di ispezioni e controlli nei luoghi di lavoro non scuote l’economia dell’attenzione. Ed è alienante constatare lo strabismo che porta l’economia dell’attenzione a visualizzare più la possibilità percentuale di una morte da virus e non la realtà delle morti causate dal lavoro. Ed è umiliante soppesare la diversa visibilità attribuita dal capitalismo informazionale alla contabilità degli scomparsi per l’una o per l’altra tragedia. Non ci sono morti più importanti degli altri.

È lo stesso strabismo che non vede le conseguenze del riscaldamento globale. Gli effetti mortali del capitalismo sulle vite che lavorano, o sulla natura che distrugge, restano invisibili rispetto alla sovraesposizione dell’emergenza indeterminata di un virus e le sue conseguenze sui mercati finanziari. L’impotenza raddoppia. È il prodotto di un unico sistema.

Sorgente: Cinquantadue morti: non è il Coronavirus, ma la strage del lavoro | il manifesto

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