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Il vertice governo-sindacati sull'addio di Arcelor Mittal

L’Addio di Mittal. Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato 24 ore di astensione in tutti gli stabilimenti del gruppo. Vertice a palazzo Chigi. Landini: serve l’ingresso pubblico subito I commissari diffidano Mittal: non potete recedere dal contratto

Massimo Franco

Il piano B ancora non c’è. Ma la nazionalizzazione si fa strada, anche perché fra 28 giorni i commissari straordinari torneranno padroni di Ilva. Contro l’addio di Mittal il governo naviga a vista ma almeno fa fronte comune con i sindacati e fissa paletti precisi: proseguimento del piano ambientale e difesa di tutti i posti di lavoro.

CONVOCATI A PALAZZO CHIGI in fretta e furia, le delegazioni di Cgil, Cisl e Uil rafforzate dai propri metalmeccanici arrivano puntuali. In ritardo è il padrone di casa Conte che è a Porta a Porta ad anticipare la strategia e cercare di fugare le critiche.

Alla vigilia dello sciopero generale di 24 ore che bloccherà dalle 7 di stamani tutti gli stabilimenti del gruppo ex Ilva da Genova a Taranto, il governo è presente nella Sala Verde al gran completo. Arriva anche Di Maio – che sottoscrisse l’accordo con Mittal l’anno scorso – di ritorno dalla Cina a dar man forte a Patuanelli.

La prima certezza è la lotta giudiziaria alla richiesta di recesso dal contratto da parte degli indiani. Se Arcelor Mittal ha chiamato in causa il tribunale civile di Milano, il governo diffida gli indiani e la ad Morselli da qualsiasi iniziativa di cessione.

LA GUERRA LEGALE PARTE con le tre pagine di lettera firmata dal direttore delle risorse umane di Ilva spa in Amministrazione straordinaria Claudio Picucci. Che manifesta a Arcelor Mittal Italia «profondo dissenso» per «la decisione di retrocedere all’Ilva i rami di azienda e i suoi dipendenti» – la «procedura relativa all’ex articolo 47». È una iniziativa «improvvida e improvvisa in palese contrasto con le dichiarazioni di intenti collaborativi e le azioni comunicateci qualche giorno addietro», accusa Picucci. «Non possiamo far altro che contestare ogni presunto, anche ipotetico, presupposto di fatto e di diritto, da voi asseritamente dedotto» e «vi diffidiamo dal voler desistere e, comunque, cessare i comportamenti sino ad oggi posti in essere e quelli preannunciati e, in particolare, dall’adottare qualsivoglia ulteriore azione di pregiudizio della tutela occupazione e reddituale dei dipendenti e dello strato degli impianti, riservandoci di agire in ogni sede competente a tutela dei nostri diritti», si conclude la missiva.

Intanto Conte annuncia che quando ci sarà il disimpegno da parte di ArcelorMittal, «il primo step sarà la gestione commissariale al Mise». In pratica si torna a prima dell’arrivo di Mittal, il lungo commissariamento partito nel 2012 quando i Riva furono arrestati.

LA SITUAZIONE RISCHIA di essere esplosiva non solo a Taranto. Ai 8.200 addetti diretti si aggiungono quelli dell’indotto e i circa 1.200 di Genova, di Alessandria, di Novi Ligure e via via lungo la penisola per arrivare a quota 20mila.

L’appello di Conte alle «istituzioni locali per essere parti civili», viene accolto subito da Michele Emiliano, che nel frattempo rilancia la decarbonizzazione di Taranto: «Come Regione Puglia sosterremo il contenzioso in atto e cercheremo di fornire al governo elementi di prova per dimostrare il dolo e forse anche la premeditazione di questo recesso da parte di Arcelor Mittal».

Poi tocca a Landini parlare. «Abbiamo cominciato a discutere di Ilva in questa sal a nel 2012. Sono passati 7 anni e 6 governi – esordisce il segretario Cgil -. Anni molto difficili per le persone che rappresentiamo, il nostro obiettivo è sempre stato di produrre acciaio di qualità, sennò il nostro paese fatica a dirsi industriale. Senza che muoia nessuno né dentro né fuori, visto che tutti i nostri iscritti hanno un parente malato», ricorda.
Lo scudo penale rimane sullo sfondo. Anche se i sindacati chiedono di rimetterlo tanto che nella nota per lo sciopero Fim, Fiom e Uilm chiedono al governo «non concedere nessun alibi alla stessa per disimpegnarsi».

ALLO STESSO MODO NESSUNO è disposto a sedersi al tavolo con Mittal con «la pistola alla tempia» di «il ridimensionamento produttivo a quattro milioni di tonnellate e la richiesta di licenziamento di 5 mila lavoratori, oltre alla messa in discussione del ritorno al lavoro dei 2 mila in amministrazione straordinaria».

LANDINI SPINGE PER L’INGRESSO di una «presenza pubblica per avere la certezza che gli investimenti come la copertura dei parchi per affrontare il problemi delle polveri: perché dovrei regalarlo a qualcuno visto che adesso sotto non c’è niente?». «L’idea che decide il tribunale e poi vediamo se troviamo qualcun altro è sbagliata. Lo sciopero è per fare questa battaglia per imporre a Mittal di rispettare gli accordi. Non solo far scioperare i lavoratori Ilva ma essere aperti a qualsiasi decisione», chiude Landini.

Per Annamaria Furlan della Cisl «è condivisibile l’appello del governo a rimanere uniti, ma è importante che tutti remiamo dalla stessa parte perché la via legale sarebbe troppo lunga ed alla fine ci ritroveremmo la fabbrica chiusa».

Sorgente: ilmanifesto.it

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