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Faccia a faccia di tre ore tra Conte e la proprietà dell’azienda. Il dialogo non si ferma, l’obiettivo è arrivare a un nuovo piano industriale. Il premier non esclude un ruolo pubblico con Cdp e il Tesoro. E per facilitare le trattative non si esclude un rinvio dell’udienza sul ricorso d’urgenza contro il recesso presentato dai commissari.

Mittal resta a Taranto, per ora. Il governo e il gruppo franco-indiano della siderurgia hanno avviato un percorso condiviso che per salvare l’ex Ilva ha come obbiettivo un nuovo piano industriale e prevede l’intervento dello Stato. In che forma ancora non è stato chiarito, ma per gli interventi sul territorio tarantino Cassa Depositi e Prestiti ha fatto intendere che le sue partecipate sono a disposizione. Ma non sono escluse anche altre forme di intervento, anche perché sull’argomento il premier non ha fornito dettagli. Gli sviluppi per il futuro della più grande acciaieria d’Europa sono stati delineati in oltre tre ore di vertice tra l’esecutivo e la proprietà. Da una parte del tavolo il premier Giuseppe Conte assieme ai ministri Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri. Dall’altra i Mittal, padre e figlio, Lakshmi ceo e presidente della multinazionaei e Aditya direttore finanziario.

“E’ stata valutata anche la possibilità di un coinvolgimento pubblico nel nuovo progetto. Abbiamo messo subito sul tavolo il pieno coinvolgimento del sistema Italia. Abbiamo assicurato in questa prospettiva la disponibilità di un coinvolgimento anche pubblico”, ha detto Conte parlando con la stampa al termine dell’incontro con i vertici Arcelor Mittal”, “L’obiettivo è un nuovo piano industriale con nuove soluzioni produttive con tecnologie ecologiche e massimo impegno nel risanamento ambientale”. Inoltre l’esecutivo è pronto a mettere in campo misure sociali, se necessarie, in accordo con le associazioni sindacali. Conte ha fatto sapere che il gruppo indiano sarebbe “disponibile all’interlocuzione” ma lo scenario sembra ancora di breve periodo e il braccio di ferro giudiziario tra Stato e Mittal.

La giornata campale per il disgelo sull’ex Ilva non era partita con i migliori auspici. A rischio di rompere il clima di fiducia sull’incontro tra il governo e ArcelorMittal , venerdì 22 novembre sono arrivati in sequenza prima una nuova ispezione dei carabinieri nello stabilimento siderurgico di Taranto per verifiche sulle bonifiche e sulla sicurezza e più tardi l’atto con il quale la procura di Milano si è insinuata nella causa civile, sostenendo che la richiesta di recesso dal contratto presentata dalla multinazionale non ha niente a che fare con la cancellazione dello scudo penale, ma piuttosto è legata alle difficoltà dell’azienda, senza risorse da destinare alla più grande acciaieria d’Europa.

A sostegno di questa ipotesi le dichiarazioni di un dirigente di ArcelorMittal. L’approvvigionamento delle materie prime era stato fermato. Quindi anche con la sospensione dello spegnimento degli altiforni annunciata dall’azienda a martedì 19 novembre, l’impianto non avrebbe tutto quanto necessario per proseguire.

Già nei documenti per una recente emissione obbligazionaria nell’ambito del programma Emtn la multinazionale evidenziava come l’ex Ilva sia stata una costante fonte di perdite sin dall’inizio dell’affitto degli stabilimenti e dal consolidamento nei conti del gruppo a novembre 2018. Nel 2019 si parla di 700 milioni di euro di perdite, come da previsioni del direttore finanziario di ArcelorMittal Italia, Steve Wampach, sentito dalla procura lo scorso 20 novembre.

Ma ora in attesa di aperture per facilitare il dialogo potrebbe anche essere rinviata l’udienza prevista per il 27 novembre, la prima nell’ambito del ricorso d’urgenza avanzato dai commissari straordinari contro la richiesta di recesso dal contratto. Condizione affinché il governo inviti i commissari ad acconsentire a un rinvio è però il mantenimento del normale funzionamento degli impianti e la continuità produttiva anche durante la fase negoziale.

Sorgente: Mittal resta, entra lo Stato. Per ora – MilanoFinanza.it

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