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I timori del capo grillino. La fronda si allarga: altri due senatori pronti a lasciare i 5S

ROMA. Con chi gli è vicino, Luigi Di Maio parla al passato delle future elezioni in Emilia Romagna e in Calabria, come se nulla potesse cambiare rispetto a quel suo «no» a un’alleanza strutturale con il Pd. O almeno, «così sarà fino a quando Conte non deciderà di esporsi davvero», è il ragionamento del leader M5S, stanco di incassare colpi da tutti i lati. Se però il premier fosse in prima linea in campagna elettorale, trascinando dietro di sé gli altri leader di governo, da vero cardine di questa maggioranza, «allora si potrà tornare a ragionare di patti civici». Ed è un pensiero, questo, che il capo politico del Movimento non sembra intenzionato a smussare. Nemmeno di fronte alle pressioni del suo gruppo parlamentare che si agita contro di lui, tra chi come il deputato Giorgio Trizzino si dice pronto a raccogliere le firme per chiedere un congresso e diluire i poteri del capo, e chi invece è in procinto di lasciare il gruppo, come i senatori Ugo Grassi e Elena Fattori.

Di Maio non crede all’improvvisa necessità avvertita dal segretario Pd, Nicola Zingaretti, e dal suo capo delegazione, Dario Franceschini, di costruire con i Cinque stelle un progetto politico in cui ci sia spazio per la crescita di entrambi. È convinto, al contrario, che la reale volontà dei dirigenti dem sia quella di «trasformare il Movimento in un partito del 2 per cento» e di relegarlo in un angolo della coalizione di governo. «Non possiamo lasciare che ci facciano diventare quello che fu il Nuovo centrodestra di Alfano per i governi di Renzi prima e di Gentiloni poi», è lo spauracchio intorno al quale ragionano ai piani alti del partito. Ecco perché, sventolando i risultati del disastro umbro, Di Maio ha imposto il suo «no» a future alleanze con il Pd in Emilia Romagna e Calabria. Una decisione presa dopo aver consultato Beppe Grillo e aver ricevuto il placet del fondatore. Ma con la convinzione – questa tutta personale – di poter «riposizionare politicamente il M5s», lontano sia dalla Lega che dal Pd.

Il rischio che Di Maio possa minare il progetto di un’alleanza di più ampio respiro con i dem è percepita chiaramente dal gruppo parlamentare. Il presidente della Camera, Roberto Fico, da tempo uno dei principali terminali del pensiero di Grillo, mette in chiaro che «le questioni nazionali sono diverse da quelle territoriali», e dunque si può anche evitare di correre insieme alle prossime regionali, ma «resta la necessità di continuare l’esperienza di governo con il Pd». E il deputato Luigi Gallo è ancora più netto: «È irresponsabile azzerare la strada indicata da Grillo, che è quella di continuare il dialogo con il centrosinistra».

Le spinte all’interno del Movimento, in aperto contrasto con Di Maio, sono sempre più forti. E anche sulla Calabria c’è chi chiede con forza di riprovarci con il Pd convergendo – come in Umbria – su un civico, l’imprenditore Pippo Callipo, ex presidente della Confindustria calabrese. «Ma Di Maio – si lamenta un parlamentare calabrese – ha prima deciso che non ci saremmo alleati con il Pd, e poi il giorno dopo ci ha chiesto che ne pensavamo».

Sorgente: Di Maio: “Il Pd vuole portarci al 2%” – La Stampa

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