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Il Nyt ricostruisce la missione segreta del ministro Usa Barr a Roma con politici e intelligence, allargando il sospetto sul comportamento di Washington e di Palazzo Chigi. Renzi attacca Conte: “Lasci la delega ai Servizi”

Una visita preparata aggirando i protocolli. È ancora il New York Times a tornare sul coinvolgimento italiano nel Russiagate svelando come diplomatici e dirigenti degli 007 americani presenti nell’ambasciata Usa a Roma non sapessero le ragioni per cui l’attorney general – il ministro della Giustizia dell’amministrazione Trump – William Barr andò nella capitale italiana a settembre. La visita si sarebbe quindi svolta aggirando i normali protocolli per questo genere di incontri ai quali, ha appurato ancora il quotidiano newyorchese, avrebbero partecipato esponenti dell’intelligence italiana e anche politici. In particolare, i vertici dei servizi segreti italiani dopo aver visto il capo del Dis Gennaro Vecchione che li coordina.

I due viaggi di Barr in Italia, quello di due venerdì fa e quello di Ferragosto, sarebbero volti a cercare le prove in Italia di un complotto organizzato ai danni del presidente americano Donald Trump sul Russiagate.  Quelli di Barr sarebbero stati quindi dei tentativi di scovare qualsiasi abuso di potere da parte delle forze dell’ordine o dei funzionari dell’intelligence, e al tempo stesso una mossa politica di reazione allo scandalo delle interferenze russe nella campagna elettorale volte a favorire Trump nella corsa alla presidenza contro Hillary Clinton, al centro dell’inchiesta nota come Russiagate e condotta dal procuratore speciale Mueller. Inchiesta che, com’è noto, non ha prodotto prove sufficienti a incriminare il tycoon.

L’ipotesi da cui parte la contro-inchiesta condotta da Barr è quella che una parte dei servizi di intelligence di alcuni Paesi, Italia e Gran Bretagna in primis, abbia avuto un ruolo centrale nell’organizzare un complotto ai danni dell’inquilino della Casa Bianca. Tuttavia, i viaggi di Barr stanno dirompendo anche sul comportamento di Palazzo Chigi nel gestire la vicenda, e sulle dinamiche interne alla maggioranza.

Il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha chiesto oggi al premier Giuseppe Conte di chiarire in Parlamento, davanti al Copasir, cosa è realmente avvenuto. Al tempo stesso, lo ha invitato a cedere la delega sui Servizi segreti che, solitamente ma non per forza, viene attribuita all’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Con Renzi premier, ad esempio, la delega era in capo a Marco Minniti, con Paolo Gentiloni a Luciano Pizzetti, con Mario Monti a Gianni de Gennaro. Il premier Conte, sia nel governo gialloverde che in quello attuale di segno opposto, ha invece tenuto per sé la delega. Non solo: né gli ex alleati di Governo, la Lega, né quelli attuali hanno mai saputo delle visite di Barr in Italia. Il sospetto è che quindi Palazzo Chigi abbia tenuto all’oscuro le forze alleate sulle interlocuzioni con l’amministrazione Trump.

Alle richieste di Renzi non è arrivata alcuna replica da Palazzo Chigi. Ma è chiaro che dopo la questione delle tasse, l’ex segretario dem non ha esitato a usare anche la vicenda del Russiagate per pungolare il presidente del Consiglio e aprire un altro fronte. Ospite a In Mezzora in più, Renzi respinge come una “barzelletta” il presunto complotto di Obama ai danni di Trump, cui lui stesso avrebbe preso parte (“Ho querelato e chiesto un milione di danni”). Ma sulle visite in Italia del ministro della Giustizia Usa William Barr chiede a Conte di “chiarire”: “Perché è venuto segretamente a incontrare il capo del Dis?”. Da Palazzo Chigi viene ribadito che “il presidente chiarirà dapprima nella sede istituzionale appropriata, il Copasir, tutta la vicenda e poi chiarirà anche pubblicamente. Quanto alle indiscrezioni, il presidente non commenta”, viene sottolineato. “Il compito dell’intero comparto di intelligence è lavorare con il massimo riserbo e nel rispetto dei vincoli di legge alla sicurezza nazionale. Così si dimostra lo spirito di servizio, non certo alimentando fughe di notizie o frammenti di parziali informazioni sui giornali”.

Secondo la stampa americana, le visite di Barr mettono a rischio i rapporti tra le intelligence di Usa e Vecchio Continente. Non a caso, scrive il Wall Street Journal, il comportamento dell’attorney general William Barr ha suscitato reazioni non solo in Italia ma anche in Australia e Gran Bretagna “uscendo dai canali usuali per cercare aiuto nell’esaminare le origini” del Russiagate e incontrando “direttamente leader stranieri, piuttosto che affidarsi ai canali tra investigatori”.
A Londra, riporta il Wsj, le richieste personali di Barr avrebbero irritato i dirigenti della contro intelligence per la sensazione che abbia eluso le norme procedurali. Dirigenti dell’intelligence britannica, sempre secondo il quotidiano, hanno espresso privatamente fastidio perché il Dipartimento di giustizia Usa è sembrato aggirarli per parlare con leader politici. A Canberra invece le autorità hanno detto che stanno cooperando con Barr, ma hanno messo in discussione l’accusa che uno dei diplomatici australiani abbia agito in modo inappropriato nel 2016. Si prevede, scrive il Wsj, che l’opposizione interroghi il governo sulle telefonata tra il premier Scott Morrison e Donald Trump sulla contro inchiesta relativa al Russiagate.

Il caso Mifsud in Italia.

Nella contorta spy story che lambisce Italia, Gran Bretagna e Australia, c’entra anche un enigmatico professore maltese che ha insegnato alla Link Campus University, l’università con sede a Roma fondata dall’ex ministro Dc Vincenzo Scotti e dalla quale provengono alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, considerato il motore del “Russiagate” e al tempo stesso una spia di cui si sono perse le tracce. In particolare, secondo uomini vicini al presidente Trump, il docente sarebbe un agente dell’intelligence occidentale probabilmente sotto il controllo dell’FBI o della CIA che i funzionari del cosiddetto Deep State hanno inviato come trappola di controspionaggio per la campagna di Trump.

Nel marzo del 2016, Joseph Mifsud ‘agganciò’ George Papadopoulos, il consulente della campagna Trump poi finito nei guai per l’inchiesta del procuratore Robert Mueller sul Russiagate, a Roma.  Luogo dell’incontro fu proprio la Link Campus University. Ad introdurre i due, il fondatore e presidente della Link, Vincenzo Scotti. Questa quantomeno è la ricostruzione accreditata dallo stesso Papadopoulos in un’intervista alla Verità e dalla moglie Simona Mangiante, in un’intervista a Repubblica.

L’ateneo romano, del resto, è citato anche nel Rapporto Mueller sulle interferenze russe nella campagna presidenziale Usa del 2016. Eppure, secondo una ricostruzione alternativa, Mifsud e Papadopoulos potrebbero essersi conosciuti ben prima, in un’altra capitale europea, Londra, anch’essa al centro di quello che viene ormai definito lo ‘spygate’. Anche se, secondo le rivelazioni giornalistiche delle ultime settimane, è su Roma che si sta concentrando la ‘contro-inchiesta’ sul Russiagate condotta dall’Attorney General (il ministro della Giustizia Usa) Barr e dal procuratore John Durham, che qualche imbarazzo starebbe creando al premier italiano Giuseppe Conte, per il coinvolgimento dei nostri servizi di intelligence.

Secondo questa ricostruzione alternativa, suffragata da evidenze riscontrabili anche online oltre che da una lettura attenta delle dichiarazioni di Papadopoulos e della moglie, Mifsud e Papadopoulos potrebbero essersi conosciuti prima, a Londra, frequentando un’altra organizzazione, il London Centre of International Law Practice (Lcilp).

Secondo la moglie di Papadopoulos, la Mangiante, che pure ha frequentato il Centro per un breve periodo, si trattava di un posto “finto, una copertura”. Una copertura per cosa, non viene specificato, ma solo sottinteso. Papadopoulos nel 2016 era membro dell’Lcilp, come da lui stesso confermato.

Anche Mifsud era un frequentatore dell’Lcilp, del quale diventerà addirittura direttore, nell’autunno del 2016, come ha riferito la moglie di Papadopoulos, Simona Mangiante, nella sua intervista a Repubblica.

La Mangiante racconta che un per breve periodo, tra il settembre e il dicembre del 2016, andò a lavorare proprio per la Lcilp, stessa organizzazione del marito e di Mifsud. Va ricordato che, come dichiarato dalla stessa Mangiante, casertana, ex avvocatessa, in passato assistente all’Europarlamento e oggi modella, fu lei la prima in famiglia a incontrare il professore maltese (prima di conoscere il futuro marito).

Eppure, è da Roma e non da Londra, secondo le ricostruzioni contenute nel Rapporto Mueller e confermate dello stesso Papadopoulos e dalla moglie, che avrebbe avuto inizio il ‘Russiagate’, con il primo incontro tra Mifsud e Papadopoulos. Fu dopo quel primo ‘ufficiale’ contatto romano nel marzo del 2016, che Mifsud avrebbe infatti proposto a Papadopoulos, da poco nominato dall’allora candidato repubblicano Donald Trump consulente per “l’energia e il petrolio” della sua campagna, materiale “sporco” sulla candidata democratica, Hillary Clinton: migliaia di email compromettenti, in possesso del governo russo.

Da qui sono nati i guai di Papadopoulos e, soprattutto, quelli della Presidenza Trump. La contro-inchiesta che Trump, tramite Barr e Durham sta conducendo per smontare il ‘Russiagate’, punterebbe invece a dimostrare che l’offerta di materiale compromettente sulla Clinton, altro non era che una ‘polpetta avvelenata’ impastata dall’Amministrazione Obama e da governi amici dell’epoca, come quelli britannico e italiano, per ‘azzoppare’ fin dall’inizio un’eventuale Presidenza Trump.

La tesi è appoggiata dallo stesso Papadopoulos, che per questo si è visto annunciare una querela dall’ex premier Matteo Renzi e anche dalla Link University. Sul presunto ruolo della sua università nel Russiagate-Spygate oggi in un’intervista a Repubblica è tornato lo stesso Scotti, che senza mezzi termini parla di “sciocchezze”.

Per l’ex ministro dell’Interno, nella sua università “vengono i dirigenti dell’Intelligence italiana a parlare di questioni accademiche. Non vengono gli operativi incaricati di raccogliere informazioni o arruolare agenti. Quanto ai russi, lo abbiamo spiegato noi quattro anni fa agli americani che esisteva una campagna globale di disinformazione russa e cinese”.

Per aver mentito all’Fbi sui suoi contatti con agenti russi mentre lavorava per la campagna di Trump, Papadopoulos nel 2017 scontò 12 giorni di carcere in una prigione federale e fu poi soggetto a 12 mesi di libertà vigilata. Di Mifsud si sono perse le tracce da tempo.

 

Sorgente: Una visita preparata aggirando i protocolli | L’HuffPost

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