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Intervista a Vincenzo Visco. «Serviva un’aliquota unica, così pochi spazi ma la strada è giusta. Renzi e Di Maio usano slogan di destra»

Vincenzo Visco, chi meglio di lei può commentare la polemica sugli aumenti selettivi dell’Iva.
Non sono mai stato favorevole agli aumenti dell’Iva perché ogni volta che uno aumenta le aliquote, aumenta l’evasione. Si poteva fare una manovra in cui si andava ad una aliquota unica molto bassa – 14 o 15 per cento – che avrebbe consentito di recuperare evasione per 8 o 9 miliardi perché veniva meno l’uso strumentale della differenza di aliquote che i contribuenti fanno. Con quei soldi si potevano compensare abbondantemente gli aggravi – peraltro modesti – in relazione ai consumi necessari.

L’ex ministro Vincenzo Visco

Il disincentivo all’uso del contante funzionerebbe?
Un aumento di aliquota per chi paga cash per essere efficace ai fini del gettito complessivo deve comportare un recupero dell’evasione, e su questo ho molti dubbi. Anche perché l’uso delle carte di credito non aumenta la tracciabilità in quanto la banca dati sui rapporti finanziari prevede che sia inviata al Fisco soltanto la consistenza del conto e non le singole transazioni. Inoltre, il Garante della privacy interpreta in modo stravagante il diritto alla riservatezza impedendo sostanzialmente gli incroci con le banche dati. Per rendere efficace la misura bisognava cambiare queste norme. E comunque l’evasione è spesso a monte delle transazioni.

Ma è una battaglia che ha un suo senso, specie nell’orizzonte triennale che dovrebbe avere questo governo, no?
Secondo me sì. E penso che il governo lo farà nel tempo. Bisogna infatti tenere conto che il nuovo governo ha dovuto preparare la manovra in fretta senza poter impostare una strategia vincente. E quindi sta facendo quello che può fare nella situazione data: di soldi non ce ne sono molti. Ciò detto è evidente l’assoluta strumentalità degli interventi di Renzi e Di Maio. Questi non hanno capito che l’unico modo per recuperare flessibilità di bilancio è recuperare una quota consistente dell’evasione.

Renzi e Di Maio ripetono: «Non aumenteremo mai le tasse, non metteremo le mani nelle tasche degli italiani». Tipico slogan di destra.
Sì, lo slogan delle destre in tutto il mondo che vedono le tasse non come il corrispettivo dei servizi erogati dallo Stato ma come una vessazione del povero cittadino. È vero che le tasse in Italia sono alte, ma io tutto il recupero di evasione record dal 1996 al 2000 che ho fatto l’ho tramutato in riduzione di tasse.

7,2 miliardi di recupero di evasione è una stima eccessiva?
Abbastanza complicata. Ma vedo misure ad hoc che possono dare un certo gettito: l’attenzione alle compensazioni, estensione del reverse charge (l’applicazione dell’Iva da parte del destinatario invece che dal cedente, ndr). Così si possono recuperare diversi miliardi.

Lei conosce Gualtieri. Quanto è importante che torni un politico all’Economia? C’è un parallelo nelle vostre esperienze, quanto meno iniziali?
Ho apprezzato la scelta: è un politico e ha ottimi rapporti internazionali. Detto questo, quando uno arrivo là a XX settembre con solo due o tre collaboratori fa fatica ad entrare nella macchina. La mia è un’esperienza diversa, ero parlamentare da 15 anni, conoscevo tutti e andai prima alle Finanze e solo dopo al Tesoro. Qua Gualtieri arriva subito all’Economia: occorrerà tempo prima che prenda il controllo. Detto questo, il giudizio è positivo.

La struttura della manovra è però chiara: 7 su 30 miliardi sono dalla lotta all’evasione. C’è modo per allargare le entrate?
Una volta esclusa la ristrutturazione dell’Iva, si parte con un dazio da 23 miliardi sulle clausole. I margini di manovra sono trascurabili. Certo, se ci accelerano un po’ gli investimenti – vedo che Provenzano ha delle idee per standardizzare le gare – si può avere più crescita. Sul lato della spesa invece – mettendo da parte la spending review che non funziona – si può abbassare il costo degli acquisti da parte dello Stato e bisognerebbe fare piani industriali in ogni settore della Pubblica amministrazione.

Altro aspetto positivo: la flat tax va in soffitta.
Sì. È vero però che bisognerebbe abolire quella fatta nella scorsa manovra: la flat tax per le partite Iva sotto i 65mila euro l’anno che ha creato una disparità di trattamento tra lavoratori a parità di reddito. Io la toglierei, ma sono tutti anti tasse, nonostante costi almeno 700 milioni. Bisogna che la gente capisca che meno sono le aliquote e – a parità di gettito – più viene tassato il ceto medio. Mentre con molte aliquote, la tassazione è maggiore sui redditi alti.

La critica dei sindacati é: «si cambia strada ma a velocità infinitesimale». Non c’è stato poco coraggio sulle cifre?
Sì. Ma aumentare le cifre significa fare più tasse o più tagli. È chiaro che bisogna cambiare la politica fiscale degli ultimi anni – compresa quella dei governi di centrosinistra – ma questo non si può fare con la bacchetta magica. Forse su questo nel governo dovrebbe esserci maggiore convinzione soprattutto a livello di comunicazione. Noi continuiamo a muoverci su una logica per cui ogni richiesta va soddisfatta. Ma questo non è possibile: governare significa scegliere. E allora suggerisco di focalizzarsi su una misura – mettiamo la riduzione del cuneo sul lavoro – e mettere risorse quasi solo su quello.

Sorgente: «Serviva aliquota unica, pochi spazi ma strada giusta» | il manifesto

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