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di veronique viriglio

La repressione delle forze di sicurezza non riesce a fermare le proteste dei cittadini in difesa dei propri diritti e per chiedere al governo un cambiamento profondo del sistema ereditato dalla dittatura di Pinochet, causa di gravi ineguaglianze e mancato accesso ai servizi essenziali. Il bilancio umano delle manifestazioni cominciate quasi due settimane fa si aggrava e sulle presunte gravi violazioni dei diritti umani sta indagando un team dell’Onu giunto a Santiago

In Cile la repressione delle forze di sicurezza non riesce a fermare le proteste dei cittadini in difesa dei propri diritti e per chiedere al governo un cambiamento profondo del sistema ereditato dalla dittatura di Pinochet, causa di gravi ineguaglianze e mancato accesso ai servizi essenziali. Il bilancio umano delle manifestazioni cominciate quasi due settimane fa si aggrava e sulle presunte gravi violazioni dei diritti umani sta indagando un team dell’Onu giunto a Santiago.

Rimpasto governo e misure sociali sono insufficienti

Il mea culpa del presidente conservatore Sebastian Pinera sulla mancata percezione della rabbia dei cittadini, la rimozione di otto ministri, la loro sostituzione con una nuova generazione di politici e l’annuncio di provvedimenti sociali non sono bastati a mettere a tacere le proteste. La popolarità del leader di destra 69enne, la cui fortuna personale è stimata da Forbes a 2,8 miliardi di dollari, è ora crollata ai minimi livelli storici, al 14% circa.

Per mantenere la pressione sul governo, i cileni stanno portando avanti le manifestazioni al centro di Santiago, nelle città di Valparaíso e Concepción, ancora segnate da distruzioni, scontri con le forze di sicurezza e violazioni dei diritti umani.

Dopo la marcia pacifica del milione e mezzo di venerdì scorso e i provvedimenti adottati da Pinera, i cileni avevano cominciato a festeggiare: il clima di forte tensione sembrava potersi allentare, la situazione normalizzarsi per arrivare a conclusione del un movimento di proteste sociali senza precedenti.

Ma poi gli ultimi sviluppi sul terreno e le notizie diffuse da società civile e difensori dei diritti umani cileni indicano il contrario: da una parte la volontà dei cittadini di portare avanti fino in fondo la loro battaglia per abbattere un sistema anacronistico e profondamente iniquo e dall’altra un ulteriore indurimento della repressione da parte delle forze dell’ordine.

Come autoproclamato da loro stessi negli slogan delle ultime manifestazioni, i cileni intendono “fare la storia” e ora il loro obiettivo è quello di ottenere le dimissioni di Pinera. Dal 18 ottobre il Paese è quasi del tutto fermo con scuole e uffici che lavorano in modo sporadico, supermercati che aprono e chiudono, nella capitale trasporti pubblici sono in via di normalizzazione. In sole due settimane è nettamente cambiato il Cile presentato ancora di recente da Pinera come una “oasi di tranquillità” in una regione instabile.

Crisi gravissima, Santiago rinuncia a organizzare conferenza mondiale clima

È un brutto colpo d’immagine per il Paese e a tempo stesso un’altra piccola vittoria delle piazze la decisione annunciata ieri dal presidente Pinera di dover rinunciare “con profondo senso di dolore per il Cile” all’organizzazione della conferenza mondiale sul clima Cop 25 – in agenda dal 2 al 13 dicembre – e al vertice dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), che doveva svolgersi a Santiago il 16 e il 17 novembre.

Le oceaniche manifestazioni e le proteste contro le disuguaglianze economiche sono quindi riuscite a spazzare via l’intensa agenda internazionale del governo cileno prevista per la fine dell’anno. Il capo dello stato ha detto che si è trattato di una scelta “difficile”, ma obbligata per poter concentrare gli sforzi del governo a ristabilire l’ordine pubblico e implementare l’agenda sociale necessaria per cercare di decomprimere la tensione nelle piazze: “Quando un padre ha problemi, deve sempre dare priorità alla sua famiglia rispetto ad altre opzioni. Lo stesso vale per un presidente: deve sempre mettere i propri connazionali al primo posto, prima di qualsiasi altra considerazione”. Ma lungi dal placare il malcontento, è probabile che la cancellazione dei due incontri dia un segno di indebolimento del governo e di incapacità di affrontare la crisi.

I motivi del malcontento dei cileni

A scatenare la rabbia dei cittadini l’aumento del 3,7% del prezzo del biglietto della metro a Santiago del Cile, poi cancellato dal governo. In realtà la peggiore crisi sociali degli ultimi decenni in Cile affonda le sue radici in un sistema socio-economico ereditato dalla dittatura di Pinochet (1973-1990), neoliberale: bassi livelli di salari e pensioni, scarsa assistenza sanitaria pubblica e istruzione, divario sempre più ampio tra ricchi e poveri, con un quinto della popolazione che vive con meno di 140 dollari al mese.

Inoltre, un percento della popolazione realizza il 33% del Pil, facendo del Cile il paese più iniquo del Ocse. Una disuguaglianza sociale multidimensionale: il tasso di impiego non supera il 55%, il mercato del lavoro è così precario che la metà dei lavoratori non riesce ad accumulare sufficienti risparmi per aver diritto alla pensione minima, anche perché il 30% è assunto con contratti a termine della durata di 10 mesi, poi seguita da lunghi periodi di disoccupazione.

Così la maggioranza dei cileni si sente esclusa, ignorata dai politici e dalle élite, sfruttata da aziende e negozianti che fissano i prezzi dei beni di consumo sempre più al di sopra delle loro capacità economiche. Discriminazione e umiliazione sono i sentimenti più diffusi tra chi è sceso in piazza anche per denunciare il mancato accesso a servizi di base come sanità e istruzione, il crescente indebitamento delle famiglie e dei giovani per poter studiare oltre ad una mobilità sociale quasi inesistente.

Come conseguenza si è progressivamente erosa la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, che oggi hanno perso del tutto la loro credibilità, specie agli occhi dei più giovani, scesi in piazza numerosi per rivendicare un futuro migliore.

Per i cileni quindi non bastano i provvedimenti varati da Pinera nei giorni scorsi, che prevedono un aumento del salario minimo e delle pensioni, nonché misure per alleviare gli alti costi sanitari e una razionalizzazione degli uffici pubblici. Per loro è giunta l’ora che le forze politiche operino in modo consensuale cambiamenti strutturali coraggiosi.

Anche le variazioni all’interno della squadra di governo – terzo rimpasto della presidenza Pinera, cominciata nel marzo 2018 – sono state valutate dai cittadini come insufficienti. Oltre all’inquisito capo degli Interni, Andrés Chadwick, volevano vedere cadere altre teste, soprattutto dopo la cattiva gestione delle manifestazioni e le gravi violazioni dei diritti umani perpetrare dalle forze dell’ordine.

“Il rimpasto avrebbe dovuto coinvolgere anche il ministro della Difesa, che ha dato l’ordine di uccidere, il ministro della Sanità, sul quale incombe il peso dei morti, e quello della Giustizia, che ha giustificato repressione e violazioni”, ha riferito una fonte della società civile, contattata a Santiago, anonima per motivi di sicurezza. Strategica, secondo la stessa fonte, la scelta di Pinera di nominare “facce nuove che ancora non si sono bruciate politicamente, molto giovani, tra i 30 e i 47 anni”.

Non è neanche piaciuto ai manifestanti l’aumento retributivo tra il 20 e il 30% in favore di carabinieri e forze armate, confermato dalla Gazzetta Ufficiale pubblicata il 26 ottobre, pur essendo riferito ad un provvedimento risalente allo scorso luglio. Aver confermato questo ‘premio’ è stato accolto dalla società civile cilena come un “gesto insolito, una provocazione, un riconoscimento per aver lavorato bene durante le proteste”.

A generare malumore anche l’intercettazione telefonica della moglie di Pinera, Cecilia Morel, che parlando con un’amica ha definito i manifestanti di “alieni”, dicendo che “bisogna mantenere la calma” e “abituarsi all’idea di dover ridurre i nostri privilegi per condividerli con la massa”. Alcuni media cileni hanno confermato l’autenticità dell’audio incriminante senza precisare le modalità con cui se lo sono procurato, mentre per altre fonti è un falso.

Altro fattore di rabbia e sgomento sono gli abusi commessi dai militari, che hanno ricevuto carta bianca dai vertici dello Stato.

Si aggrava il bilancio, repressione sempre più dura

In base all’ultimo bilancio diffuso dall’Istituto Nazionale dei Diritti Umani (Indh), dal ministero dell’Interno e la procura, finora le vittime delle manifestazioni sono 25, tra cui un bimbo di 4 anni; 14 civili sono stati assassinati e 11 sono morti carbonizzati. I feriti attualmente ricoverati  sono 1233, di cui 282 da arma da fuoco non identificata – 41 sono gravi –  140 con ferite oculari e 25 con altre ferite gravi. Dal 18 ottobre, in tutto i detenuti sono stati almeno 5485, di cui 343 minori e quasi 600 donne. Le denunce formali a carico dello Stato sono finora 138, di cui 18 per violenza sessuale, 92 per altre torture (fratture) e 5 per omicidio.

Il sito Chv Noticias ha riferito di più di mille civili feriti per “abusi di potere e repressione smisurata da parte degli uomini in diviso che commettono indisturbati arresti arbitrari, torture e violazioni dei diritti umani, anche ai danni di minorenni”.

A riprova del pugno duro con il quale il governo vuole schiacciare le proteste cittadine, facendo leva sullo stato di emergenza e il coprifuoco, è il numero record del dispositivo di sicurezza mobilitato: in tutto 19.461 agenti sono stati dispiegati tra poliziotti, militari in attività e riservisti, investigatori.

E secondo il sito d’informazione Bío Bío Cile, tra lo scorso 20 e 21 ottobre, nel pico delle manifestazioni, in 24 ore l’esercito cileno ha speso 50 milioni di dollari per acquistare 56.275 cartucce antisommosse.

Nei giorni scorsi il Canale 2 della regione di San Antonio ha fatto circolare l’informazione – confermata dall’ex deputato demo cristiano Sergio Velasco de la Cerda – secondo la quale il governo è tornato a utilizzare ‘Tejas Verdes’ dove i detenuti vengono rinchiusi. Un’accusa gravissima in quanto ‘Tejas Verdes’ è stata una delle peggiori “case della tortura” sotto la dittatura di Pinochet.

La Commissione interamericana dei diritti umani ha denunciato un “bagno di sangue”, diffondendo nei giorni scorsi un bilancio più alto di 42 morti.

Molte delle testimonianze dei cittadini fatte circolare sui media stranieri e sui social sembrano indicare che sia effettivamente in atto una “violenza di Stato” con i militari che aprono il fuoco indiscriminatamente sui manifestanti, arresti arbitrari, sparizioni forzate e donne stuprate.

Inchieste in corso su presunte violazioni diritti umani

L’Indh sta indagando sulla presunta esistenza di un centro clandestino di tortura nei sotterranei della fermata di metro Baquedano, in Plaza Italia, fulcro delle manifestazioni a Santiago. Rodrigo Bustos, avvocato dell’Indh ha constatato alcuni casi di violenza sessuale ai danni di donne detenute, dopo essere state obbligate a spogliarsi davanti a militari e poliziotti.

Il 28 ottobre sono arrivati in Cile tre esperti di diritti umani dell’Onu incaricati di indagare su presunte violazioni dei diritti umani, come richiesto dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, l’ex presidente cilena Michelle Bachelet. La loro missione di verifica dovrebbe protrarsi fino al 22 novembre.

Ad indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani e i possibili crimini di diritto internazionale commessi dalle forze dello Stato è anche Amnesty International. In loco l’unità regionale di crisi dell’ong sta raccogliendo testimonianze ed esaminando informazioni che possano corroborare le denunce di violazioni dei diritti umani e di possibili crimini di diritto internazionale, con l’obiettivo di aiutare le vittime a pretendere giustizia, verità e riparazione da parte dello Stato.

Gruppi della società civile fanno notare che l’allentamento dei provvedimenti più restrittivi – la rimozione del coprifuoco notturno dal 25 ottobre e dello stato di emergenza il giorno successivo – è stato deciso dal governo anche in vista dell’arrivo della missione Onu.

La crisi cilena raggiunge il Parlamento italiano

Da Santiago la crisi cilena ha raggiunto Roma, alla quale ieri è stata dedicata un’audizione in Commissione Affari esteri della Camera, con un lungo intervento della Vice Ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale, Marina Sereni (Pd), che ha espresso la posizione del governo.

“Fa effetto vedere i carri armati tornati per strada in Cile per la prima volta trent’anni dopo la fine della dittatura di Pinochet. Specialmente a chi come me quegli anni li ha vissuti – benché molto giovane – e ricorda molto bene cosa abbiano significato per intere generazioni e per la lotta per la democrazia. Un significato particolare anche per i rapporti tra Italia e Cile, perché in quel periodo il nostro Paese fu esemplarmente vicino a chi si opponeva alla dittatura, anche attraverso l’ospitalità data a centinaia di perseguitati nella nostra Ambasciata a Santiago. Si tratta di una storia vera, una testimonianza di vicinanza e solidarietà – recentemente ricordata anche in un docu-film di Nanni Moretti, “Santiago, Italia” – che ha segnato indelebilmente i rapporti tra i due popoli negli anni a venire e posto le basi della ricostruzione delle relazioni bilaterali dopo il ritorno della democrazia nel Paese sudamericano” ha esordito la Sereni, evidenziando la stretta cooperazione bilaterale tra Roma e Santiago.

“Ma il Cile di oggi non è quello di Pinochet. Vorrei essere da subito molto chiara su questo, perché vedo in talune ricostruzioni giornalistiche la tentazione di fare parallelismi che sono fuori luogo, e dai quali il Governo prende le distanze. Il Cile è una democrazia ormai consolidata che ha visto un’esemplare alternanza tra governi di orientamento diverso dopo la fine della dittatura. È un Paese con il quale abbiamo sviluppato intensi rapporti in tutti i settori, sia a livello bilaterale che come Unione Europea. È un attore che svolge un ruolo crescente a livello internazionale. Siamo quindi stati tutti presi di sorpresa, dentro e fuori dal Paese, perché abituati a vedere il Cile come “oasi di stabilità”, un’economia che cresce a ritmi sostenuti, in cui il livello di povertà relativa dopo la fine della dittatura è sceso dal 40% del 1990 all’8% del 2018 e che da allora non è stato colpito dalle turbolenze che hanno caratterizzato altri Paesi del continente” ha proseguito la Vice Ministra, descrivendo ora una situazione in loco che rimane fluida.

“Il Governo italiano ha seguito – e continua a seguire, con grande attenzione, interesse e preoccupazione – gli sviluppi della delicata situazione che sta attraversando il Cile. La protesta sociale all’interno dei dettami della legge è certamente legittima, ma essa deve rimanere pacifica, per cui deploriamo l’escalation di violenze verificatasi nel Paese, in particolare la morte di 20 persone coinvolte nelle proteste. Occorre fare chiarezza sulla perdita di vite umane e su altri abusi che sarebbero stati commessi dalle forze dell’ordine in questi giorni” ha riferito la Sereni, valutando positivamente il fatto che sia stato “lo stesso Governo cileno a invitare l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ad inviare una missione nel Paese di verifica sulle denunce di violazioni dei diritti umani durante le proteste nel Paese, invito che è stato colto immediatamente dall’Alto Commissario Michelle Bachelet”.

Il Governo italiano sostiene il lavoro di questa missione, confidando nella piena collaborazione che presteranno le Autorità cilene oltre che nel lavoro della giustizia cilena. Oltre a “salutare con favore i segnali di apertura giunti dal Governo e dal Congresso a seguito delle proteste per venire incontro alle istanze dei manifestanti pacifici per cercare di attuare un’agenda sociale con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei cittadini cileni” ha aggiunto la Vice Ministra, auspicando che le forze politiche cilene siano unite nel condannare le devastazioni attuate dalle frange violente del movimento di protesta, “che possono togliere legittimità e vigore alle richieste di cambiamento della popolazione.”

Annunciando la sua visita a Santiago la settimana prossima, sia per incontrare interlocutori istituzionali che le realtà italiane presenti in Cile, la Sereni ha dato rassicurazioni sulla sicurezza dei concittadini residenti – 71 mila iscritti all’Aire – e dei turisti. La loro situazione è seguita dall’Ambasciata, in stretto contatto con l’Unità di Crisi, con la messa a disposizione di numeri di reperibilità h24 per l’assistenza consolare oltre alla pubblicazione di aggiornamenti sul portale “Viaggiare Sicuri”. Per il momento l’Ambasciata italiana in Cile ha fornito assistenza diretta ai connazionali che ne hanno fatto richiesta, ma non ha registrato particolari criticità.

Sorgente: Perché in Cile le proteste non si sono fermate, anzi

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