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M5S e LeU difendono autonomi e imprese: “Non sono loro il vero problema”, ma i dati li smentiscono: non pagano il 70% dell’Irpef

di Marco Ruffolo

Il governo Conte-bis non ha fatto in tempo ad annunciare la guerra all’evasione, con la manovra appena approvata “salvo intese”, che la maggioranza si spacca. I 5 Stelle, in particolare, ci vanno giù duri e sembrano fare eco alle invettive di Salvini: «La lotta all’evasione si fa colpendo i pesci grossi, le multe per chi non ha i Pos non fanno recuperare risorse, così come il tetto al contante.

I nostri bersagli non sono i commercianti e professionisti che lavorano ogni giorno», scrive il blog del movimento. E all’offensiva aderisce la sinistra di Leu: «Non vogliamo crociate moralistiche e discriminatorie — dice Stefano Fassina — esiste anche un’evasione di sopravvivenza, la revisione del regime forfettario pregiudica il senso stesso dello strumento». Dunque, lotta all’evasione sì, ma solo quella dei pesci grossi. Idraulici ed elettricisti, artigiani e professionisti stiano tranquilli. Non sono loro i motori dell’illegalità fiscale. Ma è veramente così?

Quando i dati del Tesoro ci dicono che i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori in media evadono il 69,6% dell’Irpef dovuta, mentre le società non pagano il 23,8% dell’Ires, diventa arduo sostenere che l’evasione fiscale riguarda principalmente le grandi aziende. Quando scopriamo che solo il 18% dell’evasione ha a che fare con impreviste difficoltà finanziarie (tasse dichiarate ma poi non versate al fisco), mentre il restante 82% è tutta omessa dichiarazione, è difficile sostenere che le imposte non si pagano principalmente per ragioni di “necessità” o di “sopravvivenza”.

Eppure, ora che comincia a prendere corpo il pacchetto anti-evasione del governo, si moltiplicano, sia a destra che a sinistra, le obiezioni che tendono ad accreditare proprio queste due tesi: che l’evasione non riguarda i piccoli ma solo i grandi contribuenti e che gran parte di quanti non pagano le tasse è costretta a farlo per le avversità economiche. I dati raccontano una storia diversa. Dal complesso delle imprese individuali, dei liberi professionisti e dei lavoratori autonomi dovrebbero teoricamente arrivare ogni anno 46,1 miliardi di Irpef. Ne arrivano invece soltanto 14. Dunque, un’evasione di 32,1 miliardi, che in percentuale sul dovuto sono appunto il 69,6%, come ci spiega l’ultima Relazione pubblicata sul sito del Tesoro.

Questa è l’evasione dei “piccoli”, limitatamente all’Irpef. Il problema è che non necessariamente grandi evasori fanno una grande evasione. E infatti, quando passiamo dalle ditte individuali alle società, la propensione ad evadere (ossia il rapporto tra quanto si evade e quanto bisognerebbe pagare) scende dal 69,6 al 23,8%. Dovrebbero arrivare sulla carta 34,4 miliardi di Ires, ne arrivano 26,2, con un’evasione di 8,2 miliardi. Ma solo in modestissima parte stiamo parlando di “grandi” contribuenti: su quasi un milione di società, quelle che hanno più di 250 occupati (e quindi definite “grandi”) sono solo 3.900, lo 0,39%.

I dati, tuttavia, non scalfiscono la mitologia politica costruita sulla illegalità fiscale tutta concentrata sui colossi. «In realtà — sostiene Raffaello Lupi, ordinario di diritto tributario all’Università di Tor Vergata — quasi mai le ispezioni sulle grandi società trovano imponibili non registrati. Quel che si recupera è dovuto quasi interamente a contestazioni interpretative. Eppure le ispezioni continuano a concentrarsi sui grandi coprendo la loro intera platea, mentre la vera ricchezza sottratta al fisco resta nascosta». Certo, come ricorda la Cgia di Mestre, la maggiore imposta accertata in media nelle maggiori imprese si aggira sul milione di euro, contro i 63 mila euro delle piccole aziende. Ma nel primo caso i contribuenti sono poche migliaia, nel secondo tra i 3 e i 4 milioni.

Milioni tra i quali, si dice, ci sono tanti piccoli imprenditori che non ce la fanno più, che magari dichiarano ma poi non versano le tasse dovute perché travolti da difficoltà finanziarie. Il problema sicuramente esiste, come testimoniano i casi di disperazione che hanno purtroppo riempito le pagine di cronaca. Ma quanto è diffusa questa “evasione di necessità”? L’unico modo di stimarla è andare a vedere quanta parte è dovuta non a “omesse dichiarazioni” ma ad “omessi versamenti”.

Le prime equivalgono alla precisa volontà di non pagare le tasse, le seconde, probabilmente, alla impossibilità di farlo. Ebbene, per l’Irpef dei lavoratori autonomi e delle imprese, la percentuale dell’evasione “di necessità” è del 5,6%: 1,8 miliardi su 32,1. Decisamente più alte, ma sempre minoritarie, le quote per l’Iva (27,1%) e per l’Ires (20,7). Nel complesso delle principali imposte, siamo al 18%. Si potrebbe obiettare che c’è anche chi non potrebbe neppure avviare un’impresa senza evadere in qualche misura, ma qui non stiamo più parlando di “necessità”, ed entra invece in gioco lo squilibrio strutturale di un sistema imprenditoriale ancora pervicacemente aggrappato alla piccola dimensione.

Sorgente: Le colpevoli evasioni dei piccoli | Rep

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