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La campagna elettorale per le presidenziali in Afghanistan (Epa)

Alle presidenziali hanno votato meno di due milioni di elettori su nove e mezzo registrati, tuttavia anche gli osservatori più pessimisti concordano almeno su un punto: il Paese non tornerà allo sfascio di venti o trent’anni fa

di Lorenzo Cremonesi

È evidente che le presidenziali afghane di sabato sono state un fallimento clamoroso. Il Paese vacilla, la violenza talebana impera. Però sarebbe un errore esagerare nei catastrofismi. Anche se paiono ovvi. I primi dati riportano una partecipazione inferiore al 20%. Avrebbero votato meno di due milioni sui nove e mezzo dei registrati. Solo cinque anni fa erano stati oltre otto milioni. «Vince l’astensione, assieme a paura, alle accuse di corruzione contro i politici. È la delegittimazione non solo del governo attuale, ma anche del futuro, dei candidati e in realtà dell’intero sistema democratico così come costruito con l’aiuto dei Paesi Nato dalla fine del regime talebano», commenta tra i 18 candidati alla presidenza lo stesso Wali Massoud, fratello di Shah Massoud, l’eroe della resistenza anti-talebana assassinato da Al Qaeda al tempo degli attentati dell’11 settembre 2001. La crescita del peso dei Talebani, di Isis e la crisi economica renderanno ancora più incerta la prossima fase politica, già avvelenata dai sospetti di brogli.

Tuttavia, anche gli osservatori locali più pessimisti concordano almeno su di un punto: l’Afghanistan non tornerà allo sfascio di venti o trent’anni fa. Li capisce bene chi vide il Paese ridotto in macerie. Un mondo primitivo, sprofondato indietro di secoli, le strade impassabili, ospedali inesistenti, no acqua, no elettricità, Kabul semivuota con i profughi a bruciare pattumiere per riscaldare e cuocere i cibi in ricoveri senza finestre. «Anche grazie a voi occidentali è cresciuta una società civile assertiva, la gente sa protestare, è collegata col mondo, conosce i media, ci sono donne pronte a morire per le libertà civili», dicono in tanti. Gli stessi talebani sono divisi tra moderati ed estremisti. Il passato resta un fantasma, la prossima crisi sarà diversa.

Sorgente: corriere.it

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