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fotografia da jacobin italia

Ugo Magri

Piccoli segnali di tregua politica in un mare di turbolenze. Fino a pochi giorni fa, l’interrogativo dei palazzi era sempre lo stesso: che cosa trattiene Matteo Salvini dal passare all’incasso? Pareva a molti strano che, dopo un trionfo come quello delle Europee, il leader leghista si accontentasse di sonnecchiare sugli allori, rinviando la conta finale con i Cinque stelle. Per cui qualunque scintilla tra i partner della maggioranza veniva interpretata come prova che la crisi stava precipitando. Ma certi nuovi indizi, maturati nelle ultime ore, suggeriscono prudenza nelle previsioni. Di che cosa si tratta? Anzitutto delle ricadute italiane della battaglia in corso sulle nomine Ue. È una zuffa da cui si è percepita l’assenza di leadership continentali degne di questo nome. Il risultato è che finora l’Italia, paradossalmente, ha potuto ricavare un certo vantaggio tattico dalla confusione generale. Nel senso che è riuscita almeno in parte a mascherare l’isolamento in cui ci ha cacciato la propaganda sovranista. Non solo: con una mossa dettata dalla disperazione, Giuseppe Conte si è spinto là dove mai nessun primo ministro italiano aveva osato. Cioè ha alimentato l’idea che un paese fondatore dell’Unione, qual è il nostro, potesse unirsi alla fronda degli scontenti mossi dalle ragioni più diverse fino a costituire una minoranza di blocco. In particolare il premier ha cercato (salvo poi diplomaticamente negarla) qualcosa più di una semplice interlocuzione con i quattro del cosiddetto gruppo di Visegrad.

Presto scopriremo se questa strategia, perlomeno spregiudicata, avrà dato i suoi frutti. Che si misureranno in base alle posizioni di rilievo nella prossima Commissione europea e negli altri organismi su cui si regge l’Unione. Una cosa tuttavia appare certa: collocandosi fuori dal giro che conta, il premier altro non ha fatto che eseguire alla lettera i dettami politici di Salvini. Il quale tutto potrà rimproverargli tranne che di avere adottato una linea remissiva nei confronti di Francia e Germania, contravvenendo alle direttive strategiche del governo. Se per qualcuno l’Europa doveva costituire il «casus belli», la causa scatenante del divorzio tra M5S e Lega, quel qualcuno dovrà scegliersi un altro pretesto. È addirittura possibile l’imprevedibile, che dai fumi della battaglia sulle nomine Ue possa emergere una coalizione meno sfilacciata dell’attuale.

L’altro indizio che contraddice l’inerzia della crisi chiama direttamente in causa Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica non ha avuto alcun ruolo, né avrebbe potuto, nelle trattative tra Roma e Bruxelles sulla manovra correttiva. Ma non c’è dubbio che le sue parole forti di lunedì da Vienna, con l’affermazione politicamente impegnativa che una procedura d’infrazione non sarebbe giustificata, siano cadute proprio nel momento più critico, quando bastava poco per far pendere da una parte o dall’altra la bilancia delle decisioni Ue. Il Colle ha offerto una mano generosa a fare sistema, anche in questo caso levando ogni possibile movente per rovesciare il tavolo e bagnando le polveri ai tanti dinamitardi di casa nostra. Se poi questa disponibilità istituzionale sarà sufficiente a traghettare il governo fino alla fine della legislatura, o anche solo alla primavera prossima, è presto per dirlo: dai nostri eroi ci si può attendere veramente di tutto.

Sorgente: Quella confusione generale che maschera l’isolamento dell’Italia sovranista – La Stampa

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