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Il capitalismo ha trionfato, e siamo in un presente senza storia? A questa prospettiva si oppone Luciano Canfora nel suo “La schiavitù del capitale”.

L’esito del Novecento appare come il trionfo finale del capitalismo su ogni esperimento rivoluzionario che abbia provato a modificare il corso della storia. L’impressione di «fine della storia» susseguente alla caduta dell’Unione sovietica è stata esplicitata da Fukuyama fin dal titolo della sua opera più famosa. Al di là del suo impianto filosofico, ampiamente criticato, significativo è il valore ideologico-polemico di un simile concetto. Che dire, inoltre, del processo di apparente assorbimento delle alternative nell’uguale che si ripete, come nel caso delle sinistre che hanno adottato scelte politiche liberiste, quasi fosse impossibile fare altrimenti? Il capitalismo ha trionfato, e siamo in un presente senza storia?

A questa prospettiva si oppone Canfora: La schiavitù del capitale è una riflessione critica, sia pure in un’agile veste editoriale, sull’idea della definitività di tale vittoria. Che il capitalismo abbia vinto la guerra del Novecento è evidente; ma ciò ha potuto farlo modificando se stesso e i suoi avversari, e in definitiva tutto il contesto globale, aprendo la via a nuovi scenari e nuove lotte, ancorché oggi difficilmente delineabili. Il percorso argomentativo di Canfora prende le mosse da una storia a volo d’uccello del concetto di Occidente (e del suo uso polemico e ideologico), tesa a confutare l’idea che esso sia l’approdo ultimo e la realizzazione della storia (“Occidente”, secondo la sua visione encomiastica, è uguale a democrazia, libertà, diritti, etc.). L’Occidente non è un concetto geografico ma un valore, contrapposto al suo disvalore che è l’Oriente. La Grecia classica, ad esempio, era Occidente rispetto alla Persia, e la sua storiografia considera l’Oriente il dispotismo per eccellenza; ma diventò essa stessa Oriente rispetto al mondo successivo. L’Occidente è concetto non pacifico: è evidente che chi ne fa uso ne sceglie la definizione più adatta a combattere il proprio nemico. La seconda guerra mondiale è stata una guerra totale tra diverse visioni dell’Occidente, con un esito paradossale: è stata vinta da una coalizione comprendente gli Stati Uniti (“estremo Occidente”, criticato da certa pubblicistica fascista) e l’Unione Sovietica, che nel dopoguerra è tornata nel ruolo dell’Oriente nemico. Quel conflitto, con tutto il suo contorno geopolitico (influenza socialista sui paesi post-coloniali), è ormai terminato; ma anche l’Occidente ne è uscito mutato: lo sviluppo del welfare state sarebbe stato impensabile, come notava Hobsbawm, senza l’Urss.

Oggi non si dà più un conflitto semplificato in due campi contrapposti. Esistono contraddizioni, guerre, ribellioni, ma non alternative di sistema. Esistono risposte irrazionali, come i gruppi armati del cosiddetto fondamentalismo islamico, nati sul terreno dei vecchi e falliti socialismi arabi e dai controversi rapporti con l’Occidente e i suoi alleati, quali l’Arabia Saudita. Più che altro la dicotomia pare essere tra Nord e Sud del mondo, tra mondo ricco e mondo povero, col secondo presente anche nelle periferie delle nostre città.

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Sorgente: “La schiavitù del capitale” di Luciano Canfora – Pandora Rivista

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