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Il ministro dell’Economia punta a recuperare 14 miliardi per evitare gli aumenti dell’Iva. Nel 2020 previsti 3-4 miliardi di euro di minori spese per pensioni e reddito di cittadinanza

alessandro barbera
roma

Il governo cadrà davvero il giorno dopo le elezioni? Il resoconto del Consiglio dei ministri di lunedì notte ci offre una narrazione diversa dalle urla della campagna elettorale: tre nomine cruciali (Inps, Ragioneria, Guardia di Finanza), nove minori, quattro spostamenti di prefetti. Stessa cosa si può dire per l’attivismo mediatico di Giovanni Tria, che ieri ha adombrato l’abolizione del bonus Renzi da 80 euro a partire dal 2020. Più che l’influente ministro di un governo al capolinea si è mostrato nuovamente garante di una nazione che rischia grosso.

Per riepilogare: lo spread coi Bund tedeschi si è stabilizzato attorno ai 270 punti base, cento in più di un anno fa, il doppio del livello a cui era stato lasciato dal governo Gentiloni. Siamo a ottanta punti dallo spread che pagano i titoli greci, tuttora i più rischiosi dell’area euro. Il Pil quest’anno crescerà di uno striminzito +0,1 per cento, con conseguenze nefaste sul debito. Nonostante questo, sulla testa degli italiani incombono due aumenti dell’Iva da oltre cinquanta miliardi nei prossimi diciotto mesi; senza coperture alternative, il primo gennaio dovranno essere onorati i primi ventitré. Con sprezzo del pericolo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio promettono di tutto: tassa piatta, aiuti alle famiglie numerose, allargamento del reddito di cittadinanza. In fondo la promessa del leader leghista di sforare il tre per cento nel rapporto deficit-Pil è la più veritiera delle ipotesi, purtroppo i mercati la giudicano una prospettiva infausta. L’iceberg è sotto gli occhi di tutti, ma sul Titanic Italia si continua a ballare.

Il timoniere non ha molto tempo a disposizione per aggiustare la rotta della nave. I problemi inizieranno subito dopo il voto: con molta probabilità il 5 giugno la Commissione europea aprirà la procedura per debito eccessivo nei confronti dell’Italia. Di qui la necessità del ministro di mettere le mani avanti: intervistato da Agorà, conferma di essere «accademicamente favorevole» all’aumento dell’Iva, nega l’esistenza di coperture per un decreto di aiuti alle famiglie, invita a non parlare con leggerezza di sforamento del deficit oltre il tre per cento, infine lancia una bomba sul bonus Renzi che scatena la reazione Pd: «Un provvedimento fatto male, che verrà riassorbito nell’ambito di una riforma fiscale».

Poco importa qui spiegare la tecnicalità della misura – si tratta effettivamente di maggior spesa, non di uno sconto – e la promessa di trasformare quel bonus in una detrazione fiscale. Fonti di governo spiegano che l’uscita di Tria è un messaggio molto preciso, dentro e fuori Palazzo Chigi: se la maggioranza reggerà le conseguenze del voto, e se sarà determinata ad evitare gli aumenti Iva, allora occorrerà sacrificare l’eredità più popolare del governo Pd. I tecnici del governo hanno già iniziato a fare i conti: gli 80 euro di Renzi costano alle casse dello Stato la bellezza di dieci miliardi. A questi si potrebbero aggiungere i tre-quattro di risparmi che nel 2020 dovrebbero essere garantiti dal fondo per reddito di cittadinanza e «quota cento». Due le ragioni: perché si esauriranno le richieste di pensione dei sessantaduenni, e perché è previsto un calo fisiologico delle domande per il sussidio, soprattutto da parte di chi ha diritto ad assegni inferiori ai cento euro mensili.

Ipotizzando il solito aiuto della politica, tredici miliardi potrebbero essere sufficienti a evitare lo scontro in autunno con la nuova Commissione europea. «Da qualche parte i soldi dovremo farli uscire», ammette la fonte che chiede di restare anonima. Inutile dire che sia la Lega sia i Cinque Stelle negano che tutto questo accadrà. Eppure pochi credono che il governo si possa permettere altro deficit. Molto dipenderà da chi sarà alla guida dell’Unione, e gli equilibri politici grazie ai quali nascerà la probabile maggioranza antisovranista. Se saranno decisivi i liberali nordici, sui conti pubblici il nuovo esecutivo comunitario potrebbe essere persino più rigido dell’attuale. Le probabilità di tenuta del governo giallo-verde dipendono in fondo da questo: difficile immaginare Salvini e Di Maio chiedere indietro agli italiani i soldi distribuiti a pioggia qualche mese prima.

Sorgente: Tria vuole sacrificare gli 80 euro per salvare i conti pubblici. I timori sul giudizio Ue a giugno – La Stampa

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