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Il 15 maggio 2019 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nell’ambito delle cosiddette Procedure Speciali, meccanismi di monitoraggio e promozione dei diritti umani, ha inviato una comunicazione al nostro governo, in particolare al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi, tramite il Rappresentante Permanente italiano presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Il documento, in lingua inglese e reso pubblico dal quotidiano Avvenire, riporta osservazioni e preoccupazioni sui diritti umani nonché 5 domande riguardanti: le due recenti direttive del Ministero dell’Interno sulla sicurezza delle frontiere e l’immigrazione clandestina, la bozza del cosiddetto “decreto sicurezza bis”.

Per noi dell’Associazione onData meritava ampia diffusione e comprensione e abbiamo lanciato una campagna di traduzione in italiano di gruppo, che ha portato al testo che riportiamo a seguire.

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La traduzione in italiano della comunicazione

Premessa

15 Maggio 2019

Eccellenza

Abbiamo l’onore di rivolgerci a voi nel nostro ruolo di Relatore Speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani; Esperto indipendente in materia di diritti umani e solidarietà internazionale; Relatore speciale sui diritti umani dei migranti; Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza; Relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; e relatore speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini, ai sensi delle risoluzioni 34/5, 35/3, 34/21, 34/35, 34/19 e 35/5 del Consiglio per i diritti umani.

A questo proposito, vorremmo portare all’attenzione del Governo di Sua Eccellenza, le informazioni che abbiamo ricevuto in merito alla recente “Direttiva per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 286/1998 “, nota anche come Circolare Ministeriale n. 14100/141 (8) (di seguito: Direttiva) indirizzata al Capo della Polizia, al Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, al Comandante Generale della Guardia di Finanza, al Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, al Capo di Stato Maggiore della Marina Militare e al Capo di Stato Maggiore della Difesa ed emanata il 18 marzo 2019 dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini. La presente Direttiva, che invita le autorità marittime e militari italiane a impedire l’accesso alle acque territoriali e ai porti italiani alle navi private che hanno svolto attività di ricerca e soccorso in acque internazionali – presumibilmente riferendosi al nord della Libia -, ha il potenziale di compromettere seriamente i diritti umani dei migranti, compresi i richiedenti asilo e le vittime o potenziali vittime di detenzione arbitraria, tortura, tratta di persone e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Sulla criminalizzazione delle organizzazioni della società civile che effettuano operazioni di ricerca e soccorso

La direttiva stabilisce che “le navi, con bandiera italiana o straniera, che salvano i migranti in acque al di fuori della responsabilità dell’Italia e senza il coordinamento dell’autorità riconosciuta a livello internazionale come competente per coordinare le attività di salvataggio, e che successivamente entrano nelle acque territoriali italiane, danneggiano il buon ordine e la sicurezza dello Stato italiano “, poiché in questo caso mancano i “prerequisiti per la designazione di un luogo sicuro nei porti italiani “. Nella direttiva si ritiene che tali navi private conducano le loro operazioni” allo scopo di eludere la legislazione nazionale in materia di controllo delle frontiere e della migrazione regolare”, costituendo “una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale dello Stato costiero”. Viene inoltre menzionato nella direttiva un caso specifico in cui “la condotta di salvataggio e navigazione costituiva una manifestazione concreta di un modus operandi di un’attività di salvataggio condotta in modo improprio, in violazione delle norme internazionali sul diritto del mare”.

Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che la direttiva, dovuta anche al momento del suo rilascio, sia stata emessa allo scopo di mirare direttamente alle operazioni di ricerca e soccorso della nave ONG Mare Jonio, cioè prevenendone l’accesso alle acque territoriali e ai porti italiani. Mare Jonio è una nave, gestita da una ONG, sotto bandiera italiana che agisce per la piattaforma Mediterranea e che ha salvato 50 migranti al largo della costa libica durante la notte del 19 marzo 2019 e che successivamente si è diretta verso il porto italiano più vicino di Lampedusa, in condizioni meteorologiche difficili a mare. In base alle informazioni ricevute, il 9 maggio 2019, la Marina militare italiana ha soccorso 36 persone; allo stesso tempo, Mare Jonio ha salvato 29 persone da un gommone in avaria in acque internazionali, a 40 miglia dalla Libia e ha chiesto al Centro di coordinamento marittimo italiano un porto sicuro. Il ministro dell’Interno aveva presumibilmente ordinato che l’autorità militare impedisse alla nave di accedere ai porti italiani. Tuttavia, a Mare Jonio è stato successivamente permesso di sbarcare a Lampedusa dall’autorità competente e la nave è stata immediatamente sequestrata dalla Guardia di Finanza, poiché sospettata di favorire “l’immigrazione illegale”. Tuttavia, al momento di questa lettera, lo staff di Mare Ionio non è stato formalmente incluso nel registro delle persone indagate dal pubblico ministero di Agrigento.

Il tentativo di mirare alla nave Mare Jonio per le sue operazioni di ricerca e soccorso è ulteriormente enunciato in un’altra Direttiva – anche la n. 14100/141 (8) -, emanata dal Ministro degli Interni il 15 aprile 2019 e diretta al Capo di Polizia italiano, al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, al Comando Generale della Finanza, al Comando Generale dell’autorità Portuale e al capo di stato maggiore delle forze armate. La presente direttiva riprende quella emessa in precedenza – che è l’oggetto principale della lettera attuale – ma in aggiunta a ciò, accusa esplicitamente Mare Jonio di aver svolto attività volte a favorire la “migrazione illegale” e di essere disposta a continuare a farlo nel futuro.

Siamo profondamente preoccupati per l’approccio adottato dal Ministro degli Interni contro la nave Mare Jonio attraverso queste direttive, che non sono basate e non sono state confermate da alcuna decisione dell’autorità giudiziaria competente. Riteniamo che ciò rappresenti l’ennesimo tentativo politico di criminalizzare le operazioni di ricerca e soccorso svolte dalle organizzazioni della società civile nel Mediterraneo. Inoltre rafforza ulteriormente il clima di ostilità e xenofobia nei confronti dei migranti, come già denunciato in due lettere inviate al governo di Sua Eccellenza rispettivamente il 19 ottobre 2018 (ITA 4/2018) e il 12 novembre 2018 (ITA 2/2018), per le quali siamo ancora in attesa di una risposta.

Sebbene ci siano motivi per ritenere che le direttive sopra menzionate si rivolgano principalmente alle navi ONG, abbiamo anche preoccupazioni per gli effetti di tali politiche su altri navi (ad esempio commercianti, pescatori) che potrebbero diventare sempre più riluttanti a salvare i migranti.

Desideriamo inoltre esprimere serie preoccupazioni sulla bozza del “Decreto sicurezza bis”, che presumibilmente introdurrà sanzioni a coloro che “mentre svolgono operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali non rispettano gli obblighi sanciti dalle convenzioni internazionali”. Secondo le informazioni ricevute, l’importo delle sanzioni potrebbe variare da 3.500 a 5.500 euro per ciascun migrante trasportato sulla nave e, in caso di violazioni ripetute con insistenza, se la nave è sotto la bandiera italiana, potrebbe portare alla sospensione o al ritiro della licenza da 1 a 12 mesi.

Sul diritto alla vita e sulla mancanza di riferimenti nella Direttiva alle norme internazionali sui diritti umani

La Direttiva tenta anche di giustificare la restrizione delle operazioni di ricerca e soccorso da parte di navi private, invocando il diritto del mare, come la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR), la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (SOLAS) e la Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 1982.

Pur apprezzando il riferimento alle norme internazionali contenute nella Direttiva, desideriamo richiamare l’attenzione sul governo di Sua Eccellenza alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. L’articolo 98 della Convenzione prevede che ogni Stato “abbia il dovere di a) prestare assistenza a chiunque si trovi in mare rischiando di perdersi; (b) procedere quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene (NdR: il capitano) a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”. Obblighi simili sono ulteriormente specificati nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (SOLAS) e nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR). Desideriamo ricordare al governo di Sua Eccellenza che l’articolo 98 è considerato legge consuetudinaria; che si applica a tutte le zone marittime e a tutte le persone in pericolo, senza discriminazioni; e che si applica a tutte le navi, comprese le navi private e ONG sotto una bandiera dello Stato.

Siamo anche preoccupati del fatto che la Direttiva non tenga debitamente conto degli obblighi internazionali degli Stati in materia di diritti umani che sorgono nel corso di operazioni di ricerca e soccorso, tra cui l’obbligo non derogabile di rispettare e proteggere il diritto alla vita, come sancito dall’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato dal governo di Sua Eccellenza nel 1978, è di primaria importanza. Il diritto alla vita costituisce un diritto fondamentale, la cui protezione efficace è il prerequisito per il godimento di tutti gli altri diritti umani e il cui contenuto può essere ispirato ad altri diritti umani e non dovrebbe essere interpretato in modo restrittivo. (CCPR/C/GC/36, punti 2-3).

Alla luce dei summenzionati standard internazionali sui diritti umani, le operazioni di ricerca e salvataggio volte a salvare vite umane non possono rappresentare una violazione della legislazione nazionale sul controllo delle frontiere o sulla migrazione irregolare, in quanto il diritto alla vita dovrebbe prevalere sulla legislazione nazionale ed europea, accordi bilaterali e protocolli d’intesa e ogni altra decisione politica o amministrativa diretta a “combattere l’immigrazione irregolare”. Ciò è ulteriormente espresso nelle clausole di salvaguardia dell’articolo 19 del Protocollo contro il traffico di migranti per terra, mare e aria, invocato dalla Direttiva, nonché nelle clausole di salvaguardia dell’articolo 14 del Protocollo di prevenzione, repressione e punizione della Tratta di persone, in particolare di donne e bambini, entrambi a integrazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e ratificata dal governo di Sua Eccellenza il 2 agosto 2006. Entrambe le clausole di salvaguardia recitano: “Nulla nel presente Protocollo avrà effetto su altri diritti, obblighi e responsabilità di Stati e individui secondo il diritto internazionale, compresi il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale dei diritti umani e, in particolare, ove applicabile, sulla Convenzione del 1951 e sul Protocollo del 1967 relativo allo status dei rifugiati e al principio di non respingimento come in esse contenuto”.

Mentre elogiamo la Marina militare italiana per gli sforzi sostenuti per salvare vite umane, desideriamo sottolineare che, dal momento che il governo italiano non fornisce costantemente meccanismi di salvataggio per proteggere la vita e la dignità, gli attori umanitari sono indispensabili nella fornitura di tali servizi. Lo Stato ha l’obbligo positivo di cercare e facilitare l’azione umanitaria (attraverso un atto di delega) e un obbligo negativo di non intraprendere azioni che metterebbero a repentaglio il godimento del diritto alla vita.

Desideriamo inoltre insistere sul fatto che le leggi e le politiche volte a cercare di impedire la fornitura di servizi salvavita e di sostentamento alle popolazioni a causa della loro appartenenza etnica, religiosa o di status di immigrato costituiscano una violazione dell’articolo 6 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.

L’Italia non può non assolvere al proprio obbligo di rispettare e proteggere il diritto alla vita e quindi esacerbare e aggravare tale insuccesso impedendo ad altri di intraprendere attività volte a fornire quell’obbligo principale, in particolare se le azioni o l’inattività dello Stato sono motivate da motivi discriminatori o comportare una discriminazione (A / 73/314).

Sulla stigmatizzazione dei migranti in difficoltà in mare e sulla negazione del loro diritto a chiedere asilo e ad essere identificati come vittime della tratta di persone.

La Direttiva inoltre giustifica la chiusura dei porti italiani invocando “la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero”, la cui valutazione dovrebbe essere interamente lasciata alla discrezione delle autorità nazionali alla luce della lotta contro spacciatori e trafficanti così come ricorda lo “status irregolare” dei migranti in mare e che “esiste un concreto rischio che dei potenziali terroristi o individui diversamente pericolosi che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico possano nascondersi tra i migranti”, senza tuttavia fornire alcuna informazione fattuale o alcun dato qualitativo o quantitativo per supportare queste rivendicazioni. In questo contesto, sottolineare tali rischi equivale ad una criminalizzazione indiscriminata di tutti i migranti che si trovano in condizioni di vulnerabilità.

Riguardo ciò, desideriamo attirare l’attenzione del vostro Governo sul paragrafo 2.1.10 della Convenzione Internazionale sulla Ricerca ed il Salvataggio Marittimo del 1979, a cui ci si è riferiti nella Direttiva. Riguardo il coordinamento della cooperazione di ricerca e salvataggio, afferma che ‘le parti devono assicurarsi che sia fornita assistenza a qualunque persona in mare che si trova in difficoltà e devono farlo indipendentemente dalla nazionalità o status della persona o dalle circostanze nelle quali la persona ‘viene trovata”. Nella sua delibera sul diritto alla vita, il Comitato sui Diritti Umani delle Nazioni Unite considera che dal diritto alla vita concerne un ‘diritto degli individui ad essere liberi dagli atti e dalle omissioni che sono intesi a, oppure, ci si aspetta che causino la loro morte innaturale o prematura. Il Comitato aggiunge che “l’Articolo 6 garantisce questo diritto a tutti gli esseri umani, senza distinzione di qualunque tipo, incluse le persone sospettate o giudicate di aver compiuto i crimini più seri” (CCPR/C/GC/36 para 3)

Siamo anche preoccupati che la Direttiva si concentri eccessivamente sulla sicurezza e sulla lotta contro i trafficanti, mentre fraintende gli obblighi alla base dei diritti umani stabiliti nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e i suoi due protocolli (Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria e Protocollo per Prevenire, Reprimere e Punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini).

La Direttiva afferma che, attraverso l’esternalizzazione avanzata del controllo alla frontiera, ‘una più efficiente lotta contro la tratta di persone sarà condotta, per evitare che i migranti siano sfruttati dalle reti di trafficanti e per ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare.’ Tuttavia, questo approccio fa sì che la lotta contro la tratta di persone sia strumentalizzata, dal momento che le politiche restrittive della migrazione contribuiscono ad esasperare le vulnerabilità dei migranti e, di conseguenza, a favorire la tratta di persone, anziché prevenirlo e proteggere le sue potenziali vittime.

Vogliamo anche ricordare che stando all’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tutti hanno diritto a fare richiesta e a vedersi riconosciuto asilo. La valutazione di una richiesta di asilo non può essere effettuata in mare. Secondo il principio della solidarietà in mare, stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in particolare nell’articolo 98, qualunque imbarcazione che si imbatta in persone in pericolo, è tenuta a soccorrerle e a trasportarle in un porto sicuro, indipendentemente dalla loro identità.

In aggiunta, un’operazione di ricerca e salvataggio non finisce fino a che le persone recuperate non abbiano raggiunto un posto sicuro. E’ stato ampiamente documentato in diverse relazioni delle Nazioni Unite e delle ONG che i migranti in Libia sono soggetti a vari abusi dei diritti umani, inclusa la tratta di persone, la detenzione arbitraria prolungata in condizioni disumane, la tortura e il maltrattamento, ad uccisioni ingiustificate, a stupro e ad altre forme di violenza sessuale, lavoro forzato, estorsione e sfruttamento. Di conseguenza, la Libia non può essere considerata un posto sicuro per lo sbarco dei migranti. Questo è chiaramente dimostrato in una relazione recente preparata sia dall’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani sia dalla Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia il 20 dicembre 2018 (‘Disperata e Pericolosa: Relazione sulla situazione dei diritti umani dei migranti e rifugiati in Libia’).

Alla luce del ben documentato andamento degli abusi sui diritti umani e del traffico di persone subito dai migranti in Libia, ci sono ragionevoli basi per credere che, dal momento in cui i migranti entrano in territorio italiano o sono soggetti alla giurisdizione dello stato Italiano, essi debbano essere già identificate come vittime o potenziali vittime del traffico di esseri umani. Pertanto, la lotta al traffico di esseri umani dovrebbe non solo consistere nel ricercare e perseguire penalmente i trafficanti ma dovrebbe anche tener conto in maniera completa dell’obbligo degli Stati di proteggere e dare assistenza alle vittime del traffico, come indicato nell’articolo 6 del Protocollo sulla Prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini, che integra la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale (da qui in poi Protocollo di Palermo)

Secondo le linee guida e raccomandazioni su diritti umani e tratta di esseri umani dell’OHCHR, gli Stati hanno l’obbligo internazionale non solo di identificare i trafficanti, ma anche le vittime della tratta, poiché “fallire nell’identificazione di una vittima della tratta è come negare ancora i diritti di quella persona”. L’identificazione è possibile quando vengono creati ambienti sicuri e relazioni di fiducia, per permettere alle vittime di condividere le esperienze traumatiche. È perciò necessario stabilire procedure di identificazione dedicate e riservate nelle aree di arrivo, in cooperazione con le organizzazioni della società civile, in modo di assicurare il rispetto dei diritti delle vittime della tratta (A/HRC/38/45) e per identificare vulnerabilità e bisogni di protezione, che includano le vittime della tratta.

Sulla mancanza di considerazione verso il principio di non respingimento.

Desideriamo esprimere serie preoccupazioni sull’esplicita delega di responsabilità alla Guardia Costiera libica durante le operazioni di ricerca e salvataggio presente nella Direttiva, considerando i porti libici come “in grado di fornire ai migranti adeguata assistenza medica e logistica”.

A questo proposito, concordiamo con la relazione pubblicata dall’OHCHR e dall’UNSMIL nel Dicembre 2018, che esortava l’Unione Europea e i suoi stati membri, inclusa l’Italia, a riconsiderare le proprie politiche sulla gestione della migrazione nel Mediterraneo Centrale. La relazione documenta chiaramente un modello largamente diffuso di violazione dei diritti umani nei confronti di migranti, nonché nei confronti di organizzazioni umanitarie coinvolte nelle attività di ricerca e soccorso incluse nella guardia costiera libica, con il supporto finanziario del Governo italiano e dell’Unione Europea, come già precedentemente denunciato in una lettera congiunta spedita da 9 relatori speciali delle Nazioni Unite al Governo di Sua Eccellenza il 28 Novembre 2017 (ITA 4/2017).

A differenza di migranti e rifugiati soccorsi dall’Unione Europea e da imbarcazioni straniere in acque internazionali, che vengono portati in Italia o in altri porti europei, coloro i quali vengono assistiti dalla guardia costiera libica in acque libiche e sempre più anche in acque internazionali, vengono portati in Libia.

Nell’Aprile 2019, in seguito all’intensificazione delle azioni militari in Libia, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha ribadito che la Libia non è un porto sicuro e ha esortato l’Unione Europea e i suoi stati membri a implementare collettivamente una risposta coerente e basata sui diritti umani per quanto riguarda la migrazione marittima dalla Libia. Il Direttore Generale della IOM ha inoltre recentemente espresso preoccupazione per la sicurezza dei migranti in detenzione, sottolineando che ‘la Libia non è un luogo sicuro in cui far ritornare i migranti che hanno provato, fallendo, a entrare in Europa’ (IOM Esprime Allarme per la Sicurezza dei Civili Libici e dei Migranti in Detenzione, Conferenza Stampa, 4 Maggio 2019). Allo stesso modo, l’UNHCR ha denunciato come l’incremento di intercettazioni e operazioni di salvataggio condotte dalla Guardia Costiera Libica abbia portato a un maggior numero di persone sbarcate e detenute. Ha evidenziato inoltre come, durante i soccorsi e le intercettazioni in mare, la Guardia Costiera Libica sia stata accusata di cospirare con reti di trafficanti e sia stata più volte coinvolta in una serie di violazioni dei diritti umani, incluso ‘il deliberato affondo di imbarcazioni mediante l’uso di armi da fuoco’. Ha inoltre aggiunto che la restrizione di attività critiche svolte da organizzazioni non governative quali navi di soccorso ha portato a una più alta percentuale di persone morte in mare rispetto a prima (Posizione dell’UNHCR sui rimpatri in Libia — Aggiornamento II, Settembre 2018).

Come indicato in precendenza e considerando il corrente deterioramento della situazione sulla sicurezza in Libia e dell’intensificazione delle violenze a causa del conflitto armato interno tuttora in corso, la Libia non può essere considerata un luogo sicuro ai fini dello sbarco, soccorso o intercettazione in mare.

Le pratiche in cui i paesi di destinazione cooperano gli uni con gli altri per prevenire l’arrivo di migranti e rifugiati sono stati definiti come “richiami” e come violazioni del principio di non-respingimento, che costituisce parte integrate dell’assoluto e inderogabile divieto di tortura e di altri maltrattamenti, inseriti nell’articolo 3 del CAT e negli articoli 6 e 7 del PIDCP (A/HRC/37/S0, paragrafi 56-59)

Dinanzi a queste osservazioni e preoccupazioni, esortiamo l’Eccelso Governo a revocare la ‘Direttiva per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 286/1998 , alias Circolare Ministeriale n. 14100/141(8), la Direttiva — altresì n. 14100/141(8) — emessa il 15 Aprile 2019, rivolta specificatamente a Mare Jonio e di fermare la procedura che porterebbe eventualmente all’approvazione del ‘Decreto Sicurezza-bis’. Incoraggiamo inoltre le autorità giudiziarie competenti a prendere in considerazione questa comunicazione congiunta. Sollecitiamo inoltre l’Italia e gli altri stati membri dell’Unione Europea affinché implementino collettivamente e rapidamente una risposta coerente e basata sui diritti umani alla migrazione marittima dalla Libia. In particolare, vi è un bisogno di garantire una capacità di ricerca e soccorso adeguata nel Mediterraneo e di dare priorità all’obbligo primario di salvare vite in mare, sostenendo al tempo stesso il principio di non respingimento nel quadro del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale del rifugiato e del diritto internazionale umanitario.

Richieste al governo e conclusioni

In relazione ai suddetti fatti e preoccupazioni, si prega di fare riferimento all’allegato sul Riferimento al diritto internazionale in materia di diritti umani incluso nella presente lettera, che cita gli strumenti e le norme internazionali in materia di diritti umani relativi a tali affermazioni.

Poiché è nostra responsabilità, nell’ambito dei mandati che ci sono stati conferiti dal Consiglio dei diritti umani, cercare di chiarire tutti i casi portati alla nostra attenzione, saremmo pertanto grati per vostre osservazioni sui seguenti argomenti:

  1. Si prega di fornire vostre informazioni aggiuntive e/o vostri commenti sui decreti sopra menzionati.
  2. Si prega di indicare in che modo il suo governo stia pianificando l’adempimento dei propri obblighi circa la prevenzione della perdita di vita dei migranti nel Mar Mediterraneo e rispettando il principio di non respingimento nel coordinare le operazioni di ricerca e soccorso che coinvolgono la guardia costiera libica, alla luce dei recenti rapporti delle Nazioni Unite che documentano sistematiche violazioni dei diritti umani contro i migranti in Libia, incluse quelle perpetrate dalla guardia costiera libica o dal Dipartimento per la Lotta alla Migrazione Illegale (DCIM), a cui i migranti sono affidati al momento dello sbarco in Libia.
  3. Si prega di indicare quali passi intende compiere il Governo di Sua Eccellenza per allineare le politiche migratorie italiane agli obblighi internazionali in materia di diritti umani richiamati nella presente lettera, in particolare in relazione al diritto alla vita e al divieto di tortura e maltrattamenti ai sensi degli articoli 6 e 7 dell’ICCPR, al principio di non respingimento e all’articolo 6 del Protocollo di Palermo.
  4. Si prega di fornire dati disaggregati sul numero di migranti soccorsi dal Centro di coordinamento marittimo italiano nel 2018-2019 e sul numero di persone perseguitate o condannate per crimine organizzato o altri gravi crimini, trovati tra i migranti salvati nel corso delle operazioni di ricerca e soccorso.
  5. Si prega di fornire informazioni sul numero delle vittime di tratta identificate in seguito a operazioni di ricerca e soccorso condotte con riferimento ai migranti in fuga dalla Libia, in linea con gli obblighi internazionali previsti dal Protocollo di Palermo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini.

Questa comunicazione e ogni risposta ricevuta dal Governo di Sua Eccellenza saranno rese pubbliche tramite il sito web di segnalazione delle comunicazioni entro 60 giorni. Saranno successivamente resi disponibili nella consueta relazione da presentare al Consiglio dei Diritti Umani.

In attesa di una risposta, vi invitiamo a prendere tutte le misure provvisorie necessarie per fermare le presunte violazioni e impedire che si ripetano nuovamente e nel caso in cui le indagini supportino o suggeriscano che le accuse siano corrette, per garantire la responsabilità di qualsiasi persona(e) responsabile delle presunte violazioni.

Potremmo esprimere pubblicamente le nostre preoccupazioni nel prossimo futuro poiché, a nostro avviso, le informazioni su cui si baserà il comunicato stampa sono sufficientemente affidabili da indicare una questione che merita attenzione immediata. Riteniamo inoltre che il pubblico più ampio debba essere allertato sulle potenziali implicazioni delle accuse sopra menzionate. Il comunicato stampa indicherà che siamo stati in contatto con il Governo di Sua Eccellenza per chiarire il/i problema/i in questione.

Si informa che una copia di questa lettera è stata anche inviata, per conoscenza, al Governo della Libia e all’Unione Europea.

Allegato – Con riferimento al diritto internazionale sui diritti umani

In collegamento con i presunti fatti e preoccupazioni di cui sopra, vorremmo attirare l’attenzione sul Governo di Sua Eccellenza che queste direttive sembrano essere in contrasto con i principi dei diritti umani così come con i principi fondamentali enunciati nella Dichiarazione sul Diritto e sulla Responsabilità degli Individui, dei Gruppi e degli Organi della Società per Promuovere e Proteggere i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali Universalmente Riconosciute, nota anche come Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani (A / RES / 53/144). In particolare, vorremmo fare riferimento agli articoli 1 e 2 della Dichiarazione i quali affermano che ognuno ha il diritto di promuovere e di lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale e che ogni Stato ha una responsabilità primaria e il dovere di proteggere, promuovere e attuare tutti i diritti umani e le libertà fondamentali.

Vorremmo inoltre ricordare che i servizi umanitari svolgono un ruolo centrale nella prevenzione delle morti illegali di migranti e rifugiati. Scoraggiare i servizi umanitari per i migranti, salvaguardare la vita – prevenire le missioni di salvataggio e trasporto e impedire la fornitura di cibo, alloggio, cure mediche e altri servizi esaspera i rischi per la vita. Pertanto, gli Stati non devono criminalizzare o penalizzare in altro modo la fornitura di sostegno o assistenza ai migranti (A / 73/314). La solidarietà e la cooperazione internazionale sono i principi chiave alla base del diritto internazionale e sono essenziali per garantire che gli Stati rispettino i loro obblighi in materia di diritti umani rispondendo alle sfide condivise. Gli sforzi per impedire lo sbarco di tali navi – e altri atti contro i migranti e contro coloro i quali agiranno per sostenerli – dimostrano un abbattimento della solidarietà internazionale basata sui diritti umani , oltre a costituire una violazione di diritti umani. (A/73/206).

Per quanto riguarda le operazioni di ricerca e soccorso, vorremmo anche fare riferimento al principio 4 dei Principi e Linee Guida dell’OHCHR sulla protezione dei diritti umani dei migranti in situazioni vulnerabili, secondo cui gli Stati dovrebbero proteggere la vita e la sicurezza dei migranti e garantire che tutti i migranti che affrontano rischi per la vita o la sicurezza vengano salvati e venga offerto loro assistenza immediata. Ciò include, tra l’altro, (1) assicurare che i pertinenti quadri giuridici nazionali e le disposizioni per la cooperazione e il coordinamento tra Stati sostengano e rafforzino l’efficacia del regime di ricerca e soccorso, in conformità alla legislazione internazionale sui diritti umani e sui rifugiati, alla legge del mare e alle altre norme pertinenti; (2) istituire, gestire e mantenere servizi adeguati ed efficaci per la ricerca e il soccorso in mare, indipendentemente dalla presunta nazionalità o dallo stato giuridico dei migranti in difficoltà in mare o dalle circostanze in cui si trovano; (3) garantire che i servizi di ricerca e soccorso e le autorità di coordinamento operino nel quadro di un’ampia comprensione del disagio, in modo da fornire assistenza tempestiva e necessaria ai migranti in navi insicure anche se non corrono il rischio immediato di affondare (4) assicurare che tutti gli Stati possibili e altre risorse siano mobilitate, anche attraverso la cooperazione tra Stati ove appropriato, per le risposte di ricerca e soccorso incluso il pattugliamento proattivo quando riconosciute valutazioni del rischio suggeriscano che i migranti che potrebbero aver bisogno di assistenza sono probabilmente presenti lungo una particolare rotta marittima; (5) compiere ogni sforzo per proteggere il diritto alla vita dei migranti, ovunque siano a rischio sull’acqua o sulla terra; (6) garantire che i servizi di soccorso dispongano di risorse adeguate e dispongano di tutte le attrezzature necessarie, come i segnali di soccorso; (7) evitare atti e inattività che possono o potrebbero causare la morte innaturale o prematura dei migranti, o negare loro un’esistenza dignitosa.

Riguardo al principio di non respingimento, desideriamo richiamare la vostra attenzione sul fatto che l’obbligo relativo ai diritti umani di non estradare, deportare o altrimenti trasferire ai sensi degli articoli 6 e 7 della Convenzione e dell’articolo 3 del CAT è assoluto e non derogabile e si applica a tutte le persone senza discriminazione e, in particolare, indipendentemente dal loro diritto allo status di rifugiato. Pertanto, gli Stati devono in modo imperativo consentire a tutti i richiedenti asilo che corrono un reale rischio di violazione del loro diritto alla vita o del divieto di tortura e maltrattamenti di accedere come rifugiato o ad altre procedure di determinazione dello status individuale o di gruppo che potrebbero offrire loro protezione contro il respingimento.

Nelle sue recenti osservazioni sull’Italia, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha invitato il Governo di Sua Eccellenza ad assicurare un’applicazione degli accordi bilaterali e multilaterali rispettosa dei diritti sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e dal principio di non respingimento e suggerito la sospensione di ogni accordo privo di protezioni umanitarie effettive (CCPR/C/ITA/CO/6 comma 25 b). Desideriamo inoltre ricordare al Governo di Sua Eccellenza che l’Italia è stata già condannata in passato dalla Corte Europea dei Diritti Umani per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti umani sulla proibizione delle torture, in quanto i richiedenti erano stati esposti al rischio di maltrattamenti in Libia (Hirsi Jamaa e altri contro l’Italia). Questo caso, inoltre, è stato recentemente citato dal Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite nelle sue osservazioni conclusive sull’Italia, esortando il Vostro Governo ad ‘assicurare che, nella pratica, nessuno possa essere espulso, rimpatriato o estradato in un altro Stato qualora siano presenti fondati motivi per credere che lui o lei correrebbero un rischio prevedibile di essere soggetti a tortura’ (CAT/C/ITA/CO/S-6 comma 20-21).

Peraltro, nel ricordare gli obblighi dell’Italia in quanto firmataria della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale — in particolare gli articoli 1, 2, 5 e 6-, il Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) nella Raccomandazione 30 sulla discriminazione contro i cittadini di paesi terzi (2004) ha specificato che il “trattamento differenziale sulla base della cittadinanza o dello status di immigrato costituisce una discriminazione se i criteri per la suddetta differenziazione, giudicata alla luce degli obiettivi e delle finalità della Convenzione, non vengono applicati in conformità a un principio legittimo e non sono proporzionali al raggiungimento di quest’ultimo” (comma 4). In questo contesto, il CERD ha richiesto agli stati firmatari di assicurare che le garanzie legali contro la discriminazione razziale vengano applicate anche ai cittadini di paesi terzi, prescindendo dal loro status di immigrato e che le leggi e politiche relative all’immigrazione, deportazione o altre forme di rimozione di non-cittadini di paesi terzi non discriminino— nelle loro finalità o anche nella pratica—sulla base di razza, colore della pelle, origini etniche o nazionali (c.7,9 e 25). Gli stati dovrebbero garantire a tutti i cittadini di paesi terzi di “[…] avere eguale accesso a mezzi di ricorso efficaci, incluso il diritto di impugnare gli ordini di espulsione, e fare in modo che siano in grado di poter effettivamente raggiungere tali mezzi” (c. 25). Il CERD ribadisce altresì il principio di non respingimento e la legge del diritto internazionale umanitario sulla proibizione di espulsioni collettive (c. 27). Il CERD esorta inoltre gli stati a prendere provvedimenti energici contro la tendenza di colpire, stigmatizzare, stereotipare o profilare membri appartenenti alla categoria dei residenti non cittadini sulla base della razza, del colore della pelle, della discendenza e delle origini etniche o nazionali (c. 12).

Grazie ?

È doveroso ringraziare:

  • Giuseppe Ragusa per avere ideato questo progetto, averci messo l’anima e la voce;
  • Donata Columbro e Andrea Borruso per avere supportato Giuseppe e spinto per fare in modo che si sviluppasse in pienezza;
  • le 26 persone che hanno contribuito alla traduzione del documento.

Sorgente: ONU chiama Italia – La traduzione in Italiano della lettera inviata al governo italiano – Un’iniziativa dell’associazione onData

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