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Perugia, indagato per corruzione l’ex presidente Anm Palamara. Trema il Consiglio Superiore della Magistratura, la sostituzione del procuratore di Roma Pignatone è diventata una congiura

di Carlo Bonini

Il Consiglio Superiore della magistratura, il cuore dell’ordine giudiziario, i suoi ventiquattro consiglieri, otto laici e sedici togati, balla sull’orlo di un abisso che si chiama Procura di Roma. Di cui, forse, ha intuito troppo tardi la profondità. E che si prepara a inghiottirlo. Con una fretta indiavolata, dividendosi e mandando in pezzi ogni forma di galateo istituzionale, lasciando dunque cadere ogni richiesta di trasparenza arrivata dal capo dello Stato e presidente del Csm Sergio Mattarella, il Consiglio ha trasformato la successione del procuratore Giuseppe Pignatone (ha lasciato l’incarico l’8 maggio scorso per raggiunti limiti di età) in un mercato dei pani e dei pesci prima, in una cruenta congiura di palazzo, poi, che ha mandato in pezzi correnti, alleanze. In ragione di un domino che, nelle intenzioni dei suoi architetti, deve (ma forse sarebbe più giusto dire “doveva”) riscrivere la geografia degli uffici giudiziari chiave del Paese, i rapporti tra la magistratura e gli “uomini nuovi” della Politica italiana. Ma che, paradossalmente, non ha fatto i conti proprio con il lavoro della magistratura. Con un’inchiesta della Procura di Perugia che, per quanto Repubblica è in grado di ricostruire, da palla di neve quale era, si è fatta valanga. Di cui, come vuole la legge, la Procura di Perugia ha informato il Consiglio. E che annuncia ora di travolgere tutto e tutti.

L’ombra della corruzione

Una storia che comincia nell’autunno dello scorso anno, senza strepiti, con qualche trafiletto di cronaca bene informato, quando dalla Procura di Roma vengono trasmessi alla Procura di Perugia, competente per le indagini sui magistrati della Capitale, gli atti relativi a una serie di circostanze che documentano una disinvolta amicizia tra Luca Palamara, magistrato della Procura, già consigliere del Csm ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone. Un lobbista arrestato nel febbraio di quell’anno per frode fiscale, vicino agli ambienti del Pd e in affari con Piero Amara, avvocato travolto dall’inchiesta della Procura di Roma per il suo ruolo nelle sentenze “aggiustate” della magistratura amministrativa.

Affidata al pm Gemma Miliani e al Gico della Guardia di Finanza, l’indagine sulla segnalazione arrivata da Roma procede per corruzione, perché nell’amicizia tra Palamara e Centofanti c’è qualcosa — viaggi e regali diciamo “galanti” — che viene ritenuto vada molto al di là dell’opportuno. È un’inchiesta delicata che, per mesi, si inabissa in un segreto a tenuta stagna. Palamara viene iscritto nel registro degli indagati per corruzione. E questo mentre a Roma, dentro e fuori il Consiglio superiore, i giochi per definire gli equilibri del nuovo Consiglio e quella che sarà la sua prima decisione di peso — la successione di Giuseppe Pignatone — entrano nel vivo. Con un protagonista: proprio Luca Palamara, leader di Unicost (la corrente centrista) e, appunto, magistrato indagato a Perugia.

L’asse con Ferri

Come riferiscono oggi diverse e qualificate fonti del Consiglio Superiore, Palamara, a Roma, si muove di concerto e con grande disinvoltura con un altro magistrato e gran tessitore della politica giudiziaria del Paese, Cosimo Maria Ferri (figlio dell’ex ministro socialdemocratico della prima Repubblica, passato alla storia per il limite dei 110 chilometri in autostrada), deputato renziano, già sottosegretario Pd alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, legato a Niccolò Ghedini e Denis Verdini e da sempre pontiere con quel mondo di marca berlusconiana, non fosse altro perché capace di portare in dote l’ala conservatrice e moderata della magistratura, la sua corrente Magistratura indipendente, di cui è stato anche segretario.

La coppia Palamara-Ferri coltiva un grande progetto. Assumere il controllo degli equilibri e delle maggioranze del Consiglio e stracciare, riscrivendolo, l’accordo già “fatto” che vuole tutte le correnti — a cominciare da Magistratura indipendente ed Unicost — pronte ad appoggiare per la successione a Pignatone il procuratore di Palermo, Franco Lo Voi, per altro sin lì candidato di bandiera della stessa Magistratura indipendente (di cui anche Pignatone fa parte). Per sostituirlo con il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, magistrato per bene, a sua volta espressione della corrente di Magistratura indipendente e ritenuto dalla coppia caratterialmente controllabile.

È un progetto che ha il suo esordio nel voto — in cui diventa decisivo l’appoggio assicurato da Palamara con la sua corrente Unicost — che nomina vicepresidente del Consiglio David Ermini, laico del Pd ed ex responsabile giustizia del partito. Le cui mosse, fuori da Palazzo dei Marescialli, sono telecomandate politicamente da un convitato di pietra che risponde al nome di Luca Lotti, l’ex sottosegretario renziano alla Presidenza del Consiglio ed ex ministro, travolto politicamente dall’indagine Consip nella stagione di Pignatone. Nel racconto che ne fanno oggi fonti diverse e qualificate del Consiglio è l’inizio di una partita infernale in cui ognuno degli attori che lavora alla successione di Pignatone gioca una partita che è, insieme, animata da interessi propri e da un obiettivo comune. Azzerare negli uomini, nelle prassi, nella cultura investigativa, nel rapporto con la Politica e il Palazzo, l’eredità “giudiziaria” lasciata da Pignatone a Roma. E disarticolare il network virtuoso di collaborazione cui lo stesso Pignatone ha lavorato nel tempo mettendo in sintonia uffici giudiziari chiave del Paese. Come Milano, Napoli, Palermo.

Ritorno alla “ tradizione”

Il nuovo procuratore di Roma, insomma, deve essere un ritorno alla “tradizione”, alla magistratura capace di stare un passo indietro, e la prova generale di ciò che toccherà ad altri uffici vacanti come la Procura di Torino, quella di Brescia (competente per i reati commessi dai magistrati di Milano) e Perugia, dove Luigi De Ficchy si prepara a lasciare.

Palamara ha una promessa. L’appoggio al tradimento di Lo Voi e il consenso della sua Unicost alla nomina di Viola gli garantiranno un posto da Procuratore aggiunto a Roma, dove lo accoglierebbe un altro grande “nemico” di Pignatone, l’aggiunto Antonio Racanelli, e dove concorrono in 14. Una promessa che vale per lui e Giancarlo Cirielli, fratello dell’Edmondo oggi deputato di Fratelli d’Italia e firmatario della famosa legge ad personam che, nel 2005, manomise le norme sulla prescrizione per andare in soccorso di Berlusconi. E questo, facendo fuori magistrati concorrenti come Sergio Colaiocco, il pm del caso Regeni, o Ilaria Calò, la pm che ha coraggiosamente rivoltato Ostia come un calzino associando, per la prima volta, il nome dei suoi clan alla parola “mafia”. Palamara sa anche che diventare kingmaker su Roma gli darà una parola sul futuro Procuratore di Perugia, dove cammina l’inchiesta su lui e Centofanti. In Consiglio, del resto, sembra poter indirizzare agevolmente le mosse della corrente.

Di Pignatone non deve rimanere neppure l’ombra. Né, nel gioco delle correnti, vanno fatti “prigionieri”, come l’aggiunto Michele Prestipino (che nell’ipotesi di Lo Voi a Roma sarebbe destinato a Palermo), o altri “cani senza padrone” come l’aggiunto Paolo Ielo, competente per i reati della pubblica amministrazione, o il sostituto Mario Palazzi (il pm che con Ielo ha istruito Consip) o il pm Giovanni Musarò (il pm che svela i depistaggi del caso Cucchi). Questa è la posta in gioco nei mesi tra la fine del 2018 e i primi quattro di quest’anno. Fino all’incrocio con l’inchiesta di Perugia. Che ora che ha smesso di essere un segreto, annuncia una nuova storia e pone una domanda: cosa ha scoperto in questi mesi?

Sorgente: Il mercato delle toghe: un patto per prendere la procura di Roma | Rep

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