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«Noi a garanzia di tutti, Salvini non mi ha mai chiesto nulla di contrario alla legge»

di Giovanni Bianconi

«Stiamo attraversando un momento particolare nella vita del Paese, vigilia di un appuntamento elettorale importante e caratterizzato da qualche tensione politica. Proprio per questo credo sia interesse di tutti non contribuire ad alimentarle, né coinvolgere nelle dispute quotidiane istituzioni di garanzia come la nostra, tirandole da una parte o dall’altra». Il capo della polizia Franco Gabrielli è consapevole del rischio che la struttura da lui guidata, alle dirette dipendenze di un ministro dell’Interno come Matteo Salvini divenuto uno dei maggiori protagonisti delle tensioni quotidiane, venga trascinata nelle polemiche. E se ne vuole sottrarre: «Noi siamo la polizia di Stato, non una polizia privata al servizio di questo o quel ministro».
Però lo striscione contro la Lega rimosso a Salerno, con la polizia che entra in una casa privata, ha dato un segnale diverso.
«Si sbaglia. Ci sono decine di precedenti a tutela di esponenti politici di tutti i governi del passato, in cui sono stati tolti striscioni o simboli che potevano provocare turbative durante le manifestazioni di partito. Per i comizi elettorali c’è addirittura una norma posta a garanzia del loro svolgimento senza provocazioni di sorta».
Significa che non si può manifestare dissenso?
«Ma che dice? Mi pare che in questi giorni non ci sia comizio di Salvini senza contestazioni, e non mi risulta si sia impedito di manifestare. Ma quando si verificano situazioni di potenziale turbativa, spetta al funzionario in strada fare le valutazioni del caso ed evitare che possano provocare conseguenze».
Il questore di Prato voleva addirittura denunciare quelli dell’Associazione partigiani che protestavano contro il ministro…
«Siamo subito intervenuti per precisare che non c’erano elementi per denunciare alcunché».
E il telefonino sequestrato a Salerno alla ragazza che s’è ripresa con Salvini mentre lo apostrofava sui «terroni»?
«Dopo aver visto quel video ho valutato che potessero esserci profili di illiceità nel comportamento dei poliziotti, e ho dato disposizione al questore e all’ufficio ispettivo di avviare accertamenti, attivando una procedura disciplinare. Vedremo quale sarà l’esito, ma l’ho fatto prima che alla polizia venissero mosse accuse false e fuori luogo».
Però nel video si sente Salvini che ordina di cancellare il video dal telefonino della ragazza.
«Io non ho il potere di censurare l’azione del ministro. Se ravviso comportamenti scorretti dei miei uomini agisco di conseguenza. Senza attendere le reprimende di chicchessia».
Si riferisce al tweet di Roberto Saviano sulla polizia ridotta a servizio d’ordine di un partito?
«Si è trattato di accuse ingiuste e ingenerose, perché coinvolgono la polizia in una polemica politica che non ci appartiene. Io come vertice di questa amministrazione posso provare fastidio e preoccupazione quando il ministro dell’Interno viene definito “ministro della Malavita”, ma non mi sono mai permesso di interloquire. Se però la mia amministrazione viene chiamata in causa con affermazioni false, ho il dovere, oltre che il diritto, di reagire e di chiedere rispetto».
Usando il profilo Twitter istituzionale della polizia, come avete fatto per la risposta?
«Quel tweet non appartiene a un funzionario anonimo sfuggito al controllo dell’amministrazione, ma è stato sollecitato e autorizzato. Se devo dire qualcosa lo faccio in maniera chiara e diretta, senza infingimenti o ipocrisie. Non a caso nella risposta abbiamo specificato che “chi sbaglia paga nelle forme prescritte dalla legge”, riferendoci all’eventuale comportamento illegittimo del singolo poliziotto».
Non pensa che, prima di Saviano o altre voci critiche, sia il comportamento di Salvini, ministro dell’Interno ma soprattutto capopartito e vicepremier in perenne campagna elettorale, a mostrare scarso rispetto e mettere in difficoltà la sua istituzione?
«Il ministro dell’Interno ricopre il suo ruolo come meglio ritiene, e non spetta al capo della polizia giudicarlo. Io sono chiamato a servire lo Stato nell’interesse dei cittadini, ricevo le direttive del governo, sono sottoposto alla legge. Sono i tre capisaldi che ispirano la mia azione. In undici mesi di permanenza del ministro Salvini al Viminale, non ho mai avuto da lui indicazioni contrarie a questi principi. E le direttive ricevute sono tutte contenute in documenti pubblici, espliciti, ricorribili davanti alla giustizia amministrativa».
Che non l’hanno mai nemmeno imbarazzata?
«Le ripeto che io non ho il potere di censurare l’azione del ministro, e le confermo che non mi ha mai chiesto nulla di contrario alla legge. Per questo mi sento ferito e amareggiato quando si tira per la giacca la mia amministrazione chiedendomi di essere ciò che non posso essere: io sono un funzionario dello Stato, non un politico. E ritengo che sia un bene per la democrazia che la politica diriga e indirizzi gli apparati della sicurezza, anziché viceversa. Se poi un ministro mi chiedesse di superare il confine del lecito, e se venisse messo in discussione anche solo uno dei principi a cui devo ispirare la mia azione, il mio dovere non sarebbe di fare un proclama o un’intervista, ma di rassegnare le dimissioni».
Ma al di là degli ordini illegittimi, come può non essere un problema un politico che indossa la giacca della polizia mentre fa i suoi comizi di partito?
«Questa della divisa mi sembra davvero una polemica pretestuosa. Lei crede davvero che il ministro abbia bisogno di indossarla per dimostrare a tutti di essere l’autorità politica nazionale di pubblica sicurezza? Lo è per legge, non per come si veste».
Appunto. Allora perché lo fa?
«Preferisco leggerlo come un segno di attenzione nei nostri confronti. E se c’è un problema di opportunità che lui non ha ritenuto di porsi, non sono io a doverglielo porre. Del resto mi pare che da qualche tempo non se ne parla più, e lui non indossa le nostre giacche. Ma non posso accettare che pure questa questione venga utilizzata per sostenere che la polizia è asservita al ministro leghista, perché è falso».
È preoccupato per il clima di tensione che si respira nel Paese, a cominciare dalle piazze di certi comizi?
«Quando sento parlare di tensione penso che il nostro sia un Paese dalla memoria corta, se non si ricorda quello che ha attraversato negli anni Settanta e anche dopo. Credo che anche nelle valutazioni di quello che accade dovremmo mantenere le giuste proporzioni, ma detto ciò io sono sempre preoccupato. Soprattutto in prospettiva, considerando le dinamiche economiche e lavorative a cui potremmo andare incontro».
Le proteste contro i rom che devono entrare nelle loro legittime abitazioni scortati dalla polizia non sono un segnale d’ allarme?
«Se mi permette, il fatto che siano stati protetti dalla polizia è un segnale dell’attenzione della nostra amministrazione verso i diritti di tutti. E che non siamo interessati alle fortune elettorali di chi siede al Viminale. Dopodiché sono perfettamente consapevole di segnali inquietanti di nuove forme di razzismo e xenofobia, l’antisemitismo di ritorno, rigurgiti di neofascismo che vanno monitorati con attenzione e repressi quando ci sono gli estremi. Noi facciamo e faremo il nostro compito, ma teniamo ben presente il fondamentale ruolo di magistratura e Parlamento. La polizia non si sottrae alle proprie responsabilità, ma non si può sostituire a quelle altrui».
C’è un’emergenza sicurezza, per esempio in una realtà come Napoli tornata alla ribalta con il grave ferimento di una bambina nel mezzo di un agguato di stampo camorristico?
«Per fortuna oggi da Napoli sono arrivate due buone notizie: la bambina che sembra stare un po’ meglio e l’arresto dei presunti responsabili. Tuttavia non è il caso di abbandonarsi a toni trionfalistici, perché quello è un territorio complicato, dove cerchiamo di fare il possibile nei limiti e nella limitatezza dei mezzi a disposizione. Ci sono problemi a Napoli, come nella provincia di Foggia, in Sicilia e in molte altre zone, dove magari non avvengono episodi eclatanti che attirano l’attenzione dell’opinione pubblica. Io credo che ancora oggi la criminalità organizzata sia la priorità che questo Paese si trova a dover affrontare sul piano della sicurezza».

Sorgente: Gabrielli: «La polizia non è di parte, non siamo al servizio di un ministro»

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