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Sia la lista di Fratoianni sia i cugini Verdi restano fuori da Bruxelles. Il peggior risultato di sempre. Un flop che ha cause profonde. A partire dalla chiusura in una sorta di sovranismo psicologico, in cui l’area a sinistra del Pd ha alzato i muri tra se stessa e il mondo

di Alessandro Gilioli

In una condizione normale, più o meno, si direbbe che a sinistra del Pd ora “scatta la resa dei conti”. Invece il verbo “scattare” è fuori luogo, visto che a sinistra del Pd la resa dei conti è perenne, da anni.

In ogni caso siamo di fronte al peggior risultato di sempre per quest’area che negli ultimi 11 anni si è presentata con una quantità infinita di nomi e sommatorie algebriche (Sinistra arcobaleno, Sinistra Ecologia Libertà, Lista Tsipras, Sinistra Italiana, Liberi e Uguali…) perdendo a ogni turno un po’ di elettori, fino al disastroso esito di questo turno che lascia fuori dell’Europarlamento sia la lista di Fratoianni sia i cugini Verdi.

A proposito, insieme forse La Sinistra e i Verdi ce l’avrebbero fatta (la loro somma, dicono le proiezioni, è proprio attorno al 4 per cento) ma con l’acuta decisione di presentarsi divisi sia gli uni sia gli altri hanno evitato il rischio di dover andare a Bruxelles.

Bisogna tuttavia evitare le semplificazioni aritmetiche, non c’è stata solo la miopia tattica in questo suicidio.

Le ragioni del flop sono tante, radicate nel tempo e connesse anche con fattori esterni: come la fine di Renzi, il “campo allargato” di Zinga, qualche candidato Pd gradito anche dalla sinistra radicale come il duo Pisapia-Majorino al nordovest e Pietro Bartolo – il medico di Lampedusa – al centro. E poi, ancora, la necessità sentita da molti di far fronte comune contro la valanga Salvini, che può avere spostato qualcuno verso il partito più grande, seppur col mal di pancia.

Eppure nemmeno questo basta, da solo, a spiegare la catastrofe del 26 maggio per la sinistra radicale.

Le cause più robuste sono profonde ed endogene, e hanno a che fare con un approccio cognitivo, con un modo di pensare e di agire lontano dal reale, dalla società, dal mondo. Un lungo e progressivo rinchiudersi in se stessi, nelle proprie beghe, nelle proprie minuscole identità di sigla, nelle proprie claustrofobiche frequentazioni, nei propri riti assembleari o di corridoio fatti sempre delle stesse facce e soprattutto delle stesse teste.

Per estremo paradosso proprio la sinistra radicale, che per mandato se non per ideologia dovrebbe essere fatta di contaminazioni e aperture, si è invece rinchiusa  in una sorta di sovranismo psicologico, alzando i muri tra se stessa e il mondo.

Compreso quel pezzo di mondo che (per fortuna) esiste in Italia – la Cgil di Landini come i sindacati di base, le femministe di Se Non Ora Quando e le altre, gli studenti impegnati contro la Buona Scuola, quelli in piazza il venerdì per l’ambiente, il popolo degli striscioni sui balconi, l’associazionismo sui territori, Riace, il Baobab di Roma, Radio Popolare di Milano, le Ong eccetera eccetera. Anche quel pezzo di Paese lì, il giorno delle urne li snobba, i partitini della sinistra radicale: va altrove, sta a casa, si disperde. Comunque non vota se non in minima parte la lista di sinistra che proclama di rappresentarlo e da cui invece non si sente rappresentato.

I segnali, in questo senso, non erano mancati già nel passato vicino, s’intende. Cinque anni fa la Lista Tsipras era partita attorno al 7 per cento nei sondaggi, poi ha superato per un soffio il 4 ed è implosa un’ora dopo che si sono chiuse le urne, con litigi furibondi, risse violente e promesse disattese (memorabile  il voltafaccia di Barbara Spinelli). Peggior destino quello di Liberi e Uguali, che per intercettare l’ondata contro l’establishment ha pensato bene di mettere come suoi frontmen i presidenti delle due Camere, più D’Alema. Quindi si è sciolto come neve al sole.

A questo giro anche i ciechi vedevano che senza un cambiamento profondo di pratiche e teste sarebbe stato un massacro.

Invece le pratiche sono rimaste identiche: trattative e litigi tra leader di partiti sempre piu minuscoli, sommatorie e sottrazioni, sfanculamenti reciproci, ripicche personali, tradimenti dell’ultimo minuto e fughe dell’ultimo secondo (Civati che si ritira dalla corsa quando già è candidato). Insomma uno spettacolo grottesco da cui non a caso, a poco a poco, si sono chiamati fuori in tanti e tra questi una delle figure più spendibili come l’eurodeputata uscente Elly Schlein.

A proposito, ora c’è chi guarda a lei come possibile risorsa dopo la catastrofe. Brava è brava, infatti la detestano in molti, tra i dirigenti (auspicabilmente) uscenti. Ma adesso ci manca solo l’attesa messianica di una Mrs Wolf che risolva tutti i problemi, povera Schlein. Il senso di una “sinistra radicale” – potenzialmente preziosa forza vettoriale di stimolo, critica e visione – ha bisogno di molto di più.

Magari, dopo il 26 maggio, almeno questo è più semplice da capire, anche se non da fare.

Sorgente: Elezioni Europee, il suicidio claustrofobico della sinistra radicale

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