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Dal ’45 fino a Berlusconi e poi a Salvini, la Liberazione è stata restituita alla “cittadinanza” attraverso il suo catasto filmico, fino al suo depotenziamento politico

by Fulvio Abbate

“Aldo dice 26 x 1 Stop Nemico in crisi finale Stop”. Così il testo del telegramma che dette inizio all’insurrezione, alla “Festa grande d’Aprile”, parole da accostare a “Bella ciao” nel canzoniere tematico dei partigiani infine vittoriosi. Ora però, ammesso che davvero lo si voglia, non è il caso di insistere in epica e retorica. Meglio, semmai, provare a spiegare, nell’accidentato 2019, dopo molta acqua passata sotto i ponti non più minati della Repubblica, partendo precisamente dal suo 25 aprile, la fine della guerra di liberazione dal nazi-fascismo, 1943-1945? Nel tentativo di farlo, occorre forse rimuovere ogni zavorra prevedibile, gli argomenti che bloccano come chiodi a quattro punte, gli stessi che sbarravano la strada ai camion tedeschi nella Roma occupata, sia l’idea di una Resistenza “incompiuta”, perché mai giunta a farsi anche questione sociale, lotta di classe, fino all’affermazione del “socialismo” sia quell’altra, opinione diffusa tra gli ottusi capannelli di triste vigogna in galleria, secondo cui “gli italiani erano tutti fascisti, e il giorno dopo invece tutti antifascisti!”. E perfino l’uso d’altri argomenti non meno fulminanti, tra prosaico e pertinente, di Ennio Flaiano: “I fascisti in Italia si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”.

Ciò nonostante, nella discussione sul 25 aprile e il suo precipitato ultimo, nella memoria dei singoli concittadini, la semplificazione è pane quotidiano, posto che la nostra data nel calendario del sentire nazionale, affatto univoco, assume sovente i tratti della miseria culturale, dell’analfabetismo civile di massa.

Quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini, facendo evidente ammuina, dichiara: “Io il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, neri, gialli o bianchi”. Così dicendo chiaramente parla a certo cuore nostalgico. Salvo smentite, pare abbia anche accennato a “una festa superata” e questo perché, ancora lui, “siamo nel 2019: mi interessa poco il derby fascisti-comunisti”. Linguaggio da banchetto al Punto Snai, tuttavia, nella sostanza, l’opinione del capo della Lega, risaputo serbatoio di una Vandea nera, come ha elencato Ugo Maria Tassinari nel volume “Fascisteria”, è sufficiente a far comprendere che il “Capitano” non voglia deludere le attese più prossime ai “Boia chi molla!” presenti nel suo elettorato, pura “zona grigia”.

Semplificando ancora, va aggiunto che il Paese ha voluto bene nel profondo al fascismo, iniziando da chi, grazie al regime, ottenne divise e stivali, sentendosi così rassicurato nel bisogno gerarchico, conquistando i galloni da “caporale”, ma anche, all’occorrenza, da capofabbricato, capomanipolo o addirittura centurione, quanto alle donne, in tempi di campagna demografica, ecco una decorazione ornata da minuscoli fiocchi, per ogni figlio “donato alla Patria”. Anche l’invito a prolificare sembra essere tornato di moda, ora come allora.

Restando a Salvini, sembra però che questi abbia finalmente “liberalizzato”, con l’aiuto dei suoi giovani addetti alla comunicazione, l’uso e il consumo di un pensiero per nulla rimosso, semmai acquattato nell’attitudine generale del Belpaese, così per retaggio familiare, compromissione, indole, bisogno appunto di semplificazione, cose che il fascismo ha donato loro. Esiste, in questo senso, un documentario, reperibile in rete, di Guido Chiesa e Giovanni De Luna, e ne suggeriamo la visione, “25 aprile la memoria inquieta” (1995), dedicato al modo in cui, dall’infuocato 1945 all’arrivo di Berlusconi, la data della Liberazione è stata cerimonialmente restituita alla “cittadinanza” attraverso il suo catasto filmico, fino al suo depotenziamento simbolico e dunque politico.

In conclusione, sembra avere ragione sempre più contestualmente Gramsci quando afferma che “il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri”. Seguito, perdonate l’eccesso di citazioni, dal già menzionato Ennio Flaiano: “Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta”.

Ora, sarebbe davvero banale ravvisare in queste parole il selfie degli argomenti che di recente hanno determinato il consenso sovranista e insieme populista, resta però che con queste premesse era intuibile che qualcuno, perfino da posizioni istituzionali, insinuasse che non c’è festa più “divisiva” del 25 aprile, di conseguenza occorre addormentarne la celebrazione e l’esistenza: il fatto stesso che la lotta di liberazione sia avvenuta, così con l’alibi che si tratti di una ricorrenza propria del calendario dei “comunisti”, sì, quelli della “Volante rossa”, del “triangolo della morte” in Emilia, e soprattutto di piazzale Loreto, dimenticando che nello stesso luogo, mesi prima, gli sgherri in camicia nera della “Ettore Muti” avevano trucidato e lasciato alla vista dei passanti i cadaveri di 15 partigiani, ma questo nel sentire dei capannelli in galleria non è contemplato, infatti proprio con l’alibi della “macelleria messicana”, così definita non da parte fascista, semmai da Ferruccio Parri, e ancora esattamente con l’adagio perenne dei “comunisti assassini”, sono riusciti a ritenere che la festa fosse in realtà lutto nazionale, proprio come quando i nipoti dei militi di allora, ancora adesso, scrivono sui muri: “Il 25 aprile è nata una puttana e le hanno dato nome Repubblica Italiana”.

Con queste premesse restano a noi i versi di Pasolini: “Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai da una dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione”.

Perfetti per rispondere all’altrettanto ufficiale misera esibizione intimidatoria delle armi da parte degli addetti alla tastiera cui è affidata la propaganda dell’attuale ministro dell’Interno, li guardi tutti insieme in foto, e trovi un solo commento: se questi sono uomini.

Ma sì, a dispetto di tutto e tutti, oggi come allora: “Ora e sempre Resistenza!”

Sorgente: Chi non vuole il 25 aprile | L’Huffington Post

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