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L’antisemitismo torna in Europa e la Francia è il Paese in cui negli ultimi mesi si è manifestato in maniera più evidente con un aumento degli atti semiti del 74% nel 2018 (541), dopo due anni di calo. La Francia è il paese dove vive la più grande comunità ebraica in Europa e negli ultimi 12 anni undici persone sono state uccise perché ebree: Ilan Halimi nel 2006, 3 bambini e un insegnante della scuola Ozar Hatorah di Tolosa nel 2012, 4 assassinati nell’attentato all’Hyper Cacher nel 2015, ultimamente Sarah Halimi e Mireille Knoll. Ci sono state numerose aggressioni, dal grave episodio di una giovane coppia vittima a Créteil nel 2014 a innumerevoli violenze quotidiane, in certi quartieri, anche a Parigi, è pericoloso portare una kippa, un audit ha rilevato che «troppo sovente» gli allievi ebrei sono obbligati «a lasciare la scuola pubblica» perché aggrediti, alcuni quartieri sono diventati pericolosi e le famiglie cambiano casa, quest’anno sono stati recisi gli alberi piantati in memoria di Ilan Halimi, a Strasburgo «non passa giorno senza che ci sia un atto antisemita» ha detto il sindaco, dopo una serie di profanazioni, a Parigi una svastica è stata disegnata su un ritratto di Simone Veil, su un negozio di bagel è stato scritto in giallo «juden». «L’antisemitismo si diffonde come un veleno» ha denunciato il ministro degli Interni, Christophe Castaner. Ogni anno, migliaia di ebrei francesi emigrano verso Israele (5mila nel 2016).

Da dove viene questo antisemitismo che riprende vigore e visibilità? Un appello, lanciato da Philippe Val, ex direttore di «Charlie Hebdo», di denuncia del «ritorno dell’antisemitismo» sostiene che accanto al vecchio antisemitismo di estrema destra si è addizionato un antisemitismo di una parte della sinistra radicale, «che ha trovato nell’antisionismo l’alibi per trasformare i boia degli ebrei in vittime della società», riferendosi anche ai musulmani.
Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, che dopo l’aggressione verbale del filosofo Alain Finkielkraut ai margini di una manifestazione dei gilet gialli, insultato come «sporco sionista, torna a Tel Aviv, la Francia è nostra, noi siamo il popolo», aveva denunciato la «strumentalizzazione» dell’antisemitismo da parte del governo, ha poi ricordato che questi atti sono «la negazione assoluta di ciò che siamo e ciò che fa di noi una grande nazione», sottolineando che «non si può essere razzisti e membri della France Insoumise».

Emmanuel Macron, che ha escluso di proporre una legge per punire l’antisionismo, che rischia di essere bocciata dal Consiglio costituzionale perché implica una limitazione della libertà di espressione, ha però aperto una riflessione per includere nel reato di antisemitismo anche alcuni aspetti dell’antisionismo nella definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), usato spesso come maschera per evitare sanzioni.

E’ il caso dell’umorista Dieudonné, che assieme alla sua eminenza grigia, Alain Soral, ha fatto un lungo percorso da posizioni di sinistra all’antisemitismo: i suoi spettacoli sono stati spesso proibiti, è stato imputato in processi per «incitazione all’odio razziale», ma continua a dichiararsi antisionista e antisistema (alle elezioni europee nel 2004 aveva presentato una lista Euro-Palestina, nel 2009 un partito Antisionista). Viene seguito ancora da un pubblico molto vasto e di diversa estrazione. La «quenelle», una specie di saluto nazista rovesciato, un gesto diffuso dall’umorista, è stato ripreso anche da alcuni gilet gialli, in particolare in una manifestazione a Montmartre il 22 dicembre scorso. «La parola antisemita non dice nulla sul movimento dei gilet gialli, ma non gli è estranea», analizza la rabbina Delphine Horviller. Secondo il sociologo Pierre Birnbaum, «il movimento dei gilet gialli non è un movimento antisemita ma produce un contesto propizio all’espressione di un antisemitismo profondamente radicato, che associa gli ebrei al potere e il potere agli ebrei», esaltato come nella storia passata in un momento in cui viene contestata la legittimità dello stato.

Alcuni slogan dei gilet gialli contro Macron prendono radice in questo contesto: «Macron-Sion», «marionetta della lobby ebraica», persino «pute à juifs», continui riferimenti all’attività di banchiere da Rothschild, il collegamento soldi-ebrei. Etienne Chouard, fanatico antieuropeo molto seguito sulle reti sociali dai gruppi di gilet, evoca il pregiudizio sulle «500 famiglie» che dominerebbero la Francia, unendo complottismo e antisemitismo. Il «socialismo degli imbecilli» ha trovato in Francia in questi mesi un nuovo terreno fertile, la «parola d’ordine antisemita», come ha scritto Stefan Sweig, ha designato «un avversario allo scontento».

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