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Il caso dei cinque torinesi combattenti in Siria porta in aula di giustizia un secolo di storia italiana. E il procuratore vicario Paolo Borgna scende davanti ai giudici per puntellare la posizione della sua pm Manuela Pedrotta che è al banco dell’accusa. Inizia così la requisitoria: “Quello in corso a Torino nei confronti dei cinque torinesi che negli anni scorsi sono andati in Siria per unirsi alle milizie curde in lotta contro l’Isis non è un processo fascista, come è stato definito da alcuni commentatori”. L’anima intellettuale della sinistra è subbuglio da quando si è saputo che i magistrati torinesi chiedevano la sorveglianza speciale per i cinque antagonisti Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci. Misure di prevenzione personale, divieto di dimora in città per due anni: sono molti a rievocare misure di una giustizia d’altri tempi. Ma secondo il pm, dire che si sta facendo un processo fascista “vuole dire che i grandi processi contro il terrorismo, la mafia e la corruzione negli anni Settanta e Ottanta sono stati processi fascisti”.”Queste persone hanno manifestato una spiccata inclinazione alla violenza e all’uso delle armi: vi è la certezza che in futuro si rendano responsabili di condotte che mettano in pericolo la nostra sicurezza”. Così spiega il pubblico ministero Emanuela Pedrotta la richiesta di sorveglianza speciale per i cinque attivisti dell’area anarchica e autonoma che hanno combattuto in Siria contro l’Isis a fianco delle milizie curde. “La nobile causa della lotta al terrorismo – ha aggiunto il pm – non può garantire loro l’immunità. Le conoscenze acquisite all’estero non possono che essere utilizzate in Italia per lottare contro il sistema, anche perchè, ad oggi, nel nostro Paese non ci sono criticità terroristiche da combattere. Non dimentichiamo, infine, che queste persone si identificano nell’area anarchico-antagonista. Sono i soggetti che poche settimane fa hanno devastato il centro di Torino”.Dura la replica dell’avvocato difensore di tre dei cinque, Claudio Novaro: “Queste misure di sorveglianza speciale se il Tribunale deciderà di emetterle sono la cosa più prossima che mi viene in mente al confino politico dell’epoca fascista: allontanare questi ragazzi per due anni dai loro affetti, dalle loro attività per una presunta pericolosità sociale che testimonia una assoluta sproporzione tra le tesi della procura e le condotte materiali concretamente contestabili ai cinque ragazzi sotto inchiesta”. Novaro ha parlato per oltre due ore, a tratti indignato per le parole dell’accusa, spiegando perché non ci sono prove della pericolosità sociale dei cinque combattenti, e la misura di prevenzione chiesta dal pm Emanuela Pedrotta è solo l’ultimo di una serie infinita di momenti che “testimoniano l’accanimento persecutorio con sui si è affrontato il conflitto sociale in questa città”. Partendo dalla considerazione che non si può non tenere conto delle motivazioni che li hanno spinti ad arruolarsi in Siria accanto alle milizie democratiche. “E per le quali hanno messo a rischio la vita”. “Come si può dire che il loro intento non era quello di combattere l’Isis?” Ha replicato Novaro. “La procura conoscerebbe una motivazione nascosta nella scelta di arruolarsi ma non è in grado di comunicarla in quest’aula”.Il tribunale di sorveglianza si è riservato la decisione sulla richiesta. L’udienza, in cui hanno preso la parola sia i pubblici ministeri che gli avvocati dei cinque, è durata sei ore. I giudici si pronunceranno entro novanta giorni.A favore dei giovani la mobilitazione di molti intellettuali, fra cui Zerocalcare.

Sorgente: Torino, il pm” I combattenti italiani in Siria inclini alla violenza e all’uso delle armi” – Repubblica.it

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