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La scommessa dell’agenzia Fitch sulla crisi di governo e sulle elezioni anticipati non ha lasciato indifferenti né Matteo Salvini, né Luigi Di Maio. Il primo replica parlando di «fantascienza», il secondo si è limitato ad escluderle. Il solo fatto che la previsione dell’agenzia di rating non sia stata archiviata con un’alzata di spalle, dimostra però che il tema c’è. Eccome.

Non tanto per il voto anticipato: nessun parlamentare a un anno dalla conquista della poltrona rinuncia a cuor leggero a blasone e stipendio. E dunque una maggioranza alternativa è possibile. Ma in quanto l’alleanza tra grillini e Lega, ogni giorno che passa, vede aumentare le proprie «criticità». Perciò la crisi, soprattutto dopo la nuova batosta che attende il Movimento alle elezioni di oggi in Sardegna, non è affatto un’ipotesi da scartare.

Salvini continua a escludere il collasso del governo. Ripete che di Di Maio «ci si può fidare», che «è una persona che rispetta la parola data», che con il capo grillino «un’intesa alla fine si trova sempre». Però subito dopo aggiunge: «Vediamo fino a quando il Movimento regge, da lunedì capiremo meglio…».
Qui sta il punto. Nella Lega, giorno dopo giorno, cresce la convinzione che i 5Stelle stiano per implodere. E si avvicinino alla scissione in Parlamento: da una parte l’ala governista guidata da Di Maio, dall’altra quella ortodossa incarnata da Roberto Fico.

«Non esistono più i grillini di una volta», ironizza un alto dirigente del Carroccio, «da qualche tempo li vedi andare a cena con quelli di Forza Italia, oppure ti avvicinano e ti dicono: “Chi se ne frega della Tav, facciamola e andiamo avanti insieme in pace e serenità”. Insomma, se si arrivasse alla rottura, la cosa più probabile sarebbe la nascita di un governo guidato da Salvini e sostenuto da metà («se non di più») dei parlamentari 5Stelle, Giorgia Meloni e Forza Italia, con Berlusconi in un ruolo molto defilato».

Salvini, per la verità, non gradisce questa soluzione. Ha sempre detto e lo ripete in queste ore, che non vuole tornare a braccetto del Cavaliere e non intende andare a palazzo Chigi alla guida di una maggioranza raccogliticcia. Senza passare per le urne. «Questa scorciatoia porta male, l’ha presa Renzi e si è visto com’è finito…». Ma è anche vero che se il Movimento dovesse davvero collassare, il capo della Lega si troverebbe davanti a due opzioni. La prima sono le elezioni anticipate. E il Quirinale questa volta non farebbe di tutto (come fece nella scorsa primavera) per tirare fuori da questo Parlamento un governo. Certo, dopo le dimissioni di Giuseppe Conte, Sergio Mattarella farebbe un “passaggio” parlamentare per verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa, però dopo «consultazioni rapide» scioglierebbe le Camere. Epilogo più probabile nei prossimi mesi, piuttosto che durante la sessione di bilancio d’autunno.

La seconda opzione è, appunto, la nascita di una nuova maggioranza con una componente importante dei grillini. E qui tornerebbe utile il buon rapporto che unisce Salvini a Di Maio che, al contrario del capo leghista, ha una sola opzione: mantenere in vita questo Parlamento, visto che al prossimo giro molto difficilmente sarà lui il candidato premier dei 5Stelle.

Il momento della verità non è lontano. L’ipotesi del rinvio della decisione sulla Tav a dopo le elezioni europee del 26 maggio non regge più. Bruxelles, con la sponda di Parigi, ha fatto sapere che se non vengono aggiudicati dalla società italo-francese Telt i nuovi appalti per l’Alta velocità entro metà marzo (valore 2,3 miliardi), l’Unione europea si riprenderà i fondi. Perciò, come dice un altro esponente della Lega, «tra una ventina di giorni casca l’asino: i 5Stelle dovranno dire sì, oppure andremo avanti lo stesso». E attenzione: tra quindici giorni l’Aula del Senato avrà già votato (con una settimana di anticipo) sull’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso “Diciotti”. Ciò significa che la sorte giudiziaria del vicepremier leghista non dipenderà più dai voti 5Stelle.

L’IMPAZIENZA DI GIORGETTI
Il pressing a favore dello strappo è forte. L’ala della Lega più attenta alle istanze del Nord, guidata dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti (da mesi il sottosegretario non ne può più della coabitazione con i grillini) e sostenuta dai governatori Attilio Fontana e Luca Zaia decisamente irritati per il rinvio dell’autonomia differenziata, spinge per la crisi. Ma non per forza per le elezioni. «L’importante è rendere marginale l’approccio statalista, assistenziale e contrario allo sviluppo del Movimento…», dice un ministro lumbard. A condizione che il Movimento si sbricioli, se il collasso non dovesse avvenire Salvini dovrà tornare a sfogliare la margherita: elezioni sì, elezioni no.

Con una convinzione confortata dalle urne abruzzesi e sarde e dai sondaggi: stare al governo con i grillini per la Lega è un moltiplicatore di voti. E con un problema non da poco: in autunno l’esecutivo giallo-verde è atteso da una legge di bilancio che parte già da 32 miliardi. Ventitrè per sterilizzare l’aumento dell’Iva e 9 tra maggiore spesa per interessi e peggioramento del rapporto deficit-Pil innescato dalla recessione. Operazione difficile per chiunque, difficilissima per un governo inviso ai mercati finanziari.

Sorgente: Tav, prove di nuova maggioranza: ipotesi Lega, ala governista M5S, FdI e Fi

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