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Sedotti dal sogno grillino e risvegliati dall’incubo del governo con la Lega. Il popolo degli scontenti abbraccia attori, cantanti, militari e accademici

Sono stato strumentalizzato», dice Claudio Santamaria, attore di pregio per i film (fra i molti) di Bernardo Bertolucci, Ermanno Olmi, Pupi Avati. È stato strumentalizzato, dice, perché salì sul palco di piazza del Popolo alla manifestazione di chiusura della campagna elettorale che avrebbe condotto Virginia Raggi al Campidoglio. Aveva girato un paio di video preparatori con la stessa Raggi e Alessandro Di Battista («venite in piazza ché al mare piove»), e sul palco aveva cantato Nuntereggae più di Rino Gaetano (ruolo interpretato alla grande in una serie televisiva) inserendoci Renzi in Tv / con l’aereo blu, Bruno Vespa, Barbara D’Urso / nuntereggae più, e poi Renzusconi, il selfie di Salvini e Buzzi-Carminati / alla faccia degli immigrati. E così, in effetti, era venuto il dubbio dell’infatuazione, consolidata in chiusura di performance da un «Evviva Virginia!». Non mi piace quando mi etichettano come grillino, dice ora, e dunque non lo rifarebbe, piuttosto andrebbe al mare col brutto tempo, e la sua colpa è tutta lì: «Ho creduto in un sogno, ho sperato in un progetto».

È abbastanza frequente, per chi scambia la politica coi sogni, risvegliarsi negli incubi, e succede a parecchi, Fiorella Mannoia ci aveva dato dentro, «Luigi Di Maio è il mio presidente», addio alla sinistra compagna di una vita ma senza rimpianti, «la mia coscienza è pulita, io sono pulita». La soluzione era a portata di mano: «Oggi sono libera, è come se mi avessero tolto i paraocchi… questi sono onesti cacchio, sono ragazzi perbene e preparati e soprattutto sono puliti. A me basta questo». Non le basta più, naturalmente, ora firma appelli antigovernativi, scrive tweet amari («Ho una grande nausea. Di tutti quelli che sfruttano la sofferenza umana per arricchirsi o per raccattare voti, chiunque essi siano»), e ne rilancia di più sbrigativi, in cui Chef Rubio onora Di Maio e Salvini con un «merdacce».

Spiace dirlo di professionisti molto capaci nel loro lavoro ma il risveglio è ingenuo

Il sogno di Santamaria svanisce, l’onestà e tanto basta a Fiorella Mannoia non basta più, come volevasi dimostrare l’onestà è una prerogativa largamente insufficiente in politica, come sa chi abbia letto due manuali di storia: chi offre onestà non ha niente da offrire. Conterebbe già di più l’onestà intellettuale e, come ha detto un altro deluso, David Riondino, «chi ha votato cinque stelle non si sarebbe mai messo con la Lega», ed è vero, è vero probabilmente anche il contrario. È la medesima obiezione di Ivano Marescotti, sopraffino attore bolognese, che aveva annunciato il voto ai cinque stelle per punire la sinistra (di nuovo) e per «rovesciare il tavolo». Rovesciato. «Ritiro il voto», ha aggiunto Marescotti – con ironia, ci si augura, perché il voto invece è ancora lì che pesa – dopo che Di Maio e Salvini ebbero firmato il contratto e innalzato Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. «Non rivoterei il Movimento, a meno che non prendesse le distanze dalla Lega». Quindi si fiderebbe ancora, pare di capire, di uno come Luigi Di Maio per il quale la Lega, fino al giorno prima, era «quanto più lontano da noi, perché è uno dei tanti partiti ipocriti». A proposito di onestà e onestà intellettuale.

Spiace dirlo di professionisti molto capaci nel loro lavoro (a differenza dei cinque stelle), ma il risveglio appare un pochino ingenuo, come ingenue erano le motivazioni: ho un sogno, sono puliti, voglio punire la sinistra, voglio ribaltare il tavolo. Il capitano Gregorio De Falco, espulso e ora pentito fra i pentiti, inorridisce alla scoperta che nei cinque stelle non c’è «alcuna attitudine democratica», c’è invece un’attitudine «anticostituzionale» – straordinariamente precedente alla candidatura di De Falco, e sotto gli occhi del mondo, quando il Movimento prometteva la reintroduzione del vincolo di mandato, e cioè il vincolo dei parlamentari a ubbidire agli ordini del capo. Spiace dirlo di professionisti capaci e ancora di più spiace dirlo di Ernesto Galli della Loggia, non un uomo di spettacolo, ma uomo di somma intelligenza e somma cultura, che un paio di mesi fa, in occasione del referendum romano sulla privatizzazione dell’azienda di trasporti (fallito) confessò di aver votato Virginia Raggi, come Santamaria, ma con una giustificazione se possibile ancora più friabile: Santamaria aveva un sogno, Della Loggia voleva «provare a cambiare». Né più né meno, cambiare, e vedere come si abbina la democrazia alla cravatta. Pentito anche lui, ma contento che il referendum fosse l’occasione per infliggere «un colpo al partito di Grillo responsabile di averla (Raggi, ndr) scelta». Perfetto. La colpa è sempre altrove. La colpa non è di chi ha votato Raggi, ma di chi l’ha candidata, la colpa è aver creduto in un sogno, aver creduto nell’onestà, aver semplicemente voluto ribaltare il tavolo. Li ho votati per colpa degli altri, non li voto più per colpa loro.

Sorgente: L’epopea dei grillini pentiti: “Li ho votati ma non è colpa mia” – La Stampa

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