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Il nuovo rapporto Crea: “Dal 2009 la spesa pubblica continua a scendere. Siamo ai livelli dei Paesi dell’Est Europa. L’alternativa alla bancarotta è rinunciare alle cure o rimandare gli accertamenti. Al Sud scende l’aspettativa di vita”

Di fronte alla salute gli italiani sono sempre più poveri e diseguali. Sono oltre un milione le famiglie in difficoltà economiche per le spese sanitarie. Mentre l’aspettativa di vita in salute al Sud e tra i redditi bassi è sempre più distante da quella di chi vive al Nord o che se la passa meglio. Effetto di una politica di definanziamento della sanità pubblica che ci accomuna più ai Paesi dell’Est Europa che al blocco di quelli occidentali. Anche se per qualità delle cure restiamo ai vertici europei.

A tastare il posto del sistema sanitario italiano è il 13° Rapporto del Crea sanità, l’istituto di ricerca dell’Università Tor Vergata di Roma. Dal 2009 a oggi la spesa pubblica per la sanità è scivolata progressivamente verso Est. Spendiamo il 31,3% in meno di quanto non facciano i Paesi del blocco occidentale. Una forbice che è raddoppiata dal 2000, perché se da noi il finanziamento pubblico ha marciato a un passo di lumaca inferiore all’1% di incremento annuo, tra le nazioni fondatrici dell’Ue il passo è stato del 3,6% l’anno. E così è continuata a lievitare la spesa privata, arrivata a lambire oramai i 40 miliardi di euro. Tutto questo con conseguenze spesso drammatiche per i bilanci familiari e sul piano delle diseguaglianze, sociali e territoriali.

In Piemonte il 3% delle famiglie ha avuto problemi a pagare, in Calabria oltre il 12%

In tutto, tra chi ha avuto difficoltà economiche e chi è addirittura scivolato al di sotto della soglia di povertà per aggirare liste di attesa e superticket, il problema dei costi sanitari è stato accusato da quasi un milione e centomila famiglie.

La quota di queste che ha avuto problemi economici, senza però dover dichiarare bancarotta, è circa il 6%. Ma se in Piemonte sono meno del 3% e in Trentino Alto Adige appena sopra al 2%, in Calabria ad aver avuto problemi sono oltre il 12% delle famiglie, in Sicilia il 10% e in Sardegna il 9%. Il Sud è più in difficoltà, ma problemi ne hanno avuti anche in Umbria, con poco meno del 10% e in Liguria con oltre il 7% di famiglie costrette a subire disagi economici. Stesso discorso vale per chi è addirittura scivolato al di sotto della soglia di povertà per curarsi attingendo alle proprie tasche, fenomeno che riguarda oltre 350 mila nuclei familiari. Un dramma che impatta solo sullo 0,5% delle famiglie piemontesi e nell’ancor più insignificante quota di nuclei lombardi. Mentre basta scendere lungo lo stivale per trovare il 4% e più della Basilicata o il 3,6% della Calabria.

Ci si impoverisce o, in alternativa, si rinuncia alle cure. Circa il 17% delle famiglie, poco meno di 4 milioni e mezzo, ha cercato di risparmiare rinviando a tempi migliori una visita o un accertamento. Ma in questi numeri ci sono anche oltre un milione e centomila nuclei che hanno annullato qualsiasi appuntamento sanitario.

Gli effetti di questo disagio economico e delle diseguaglianze si riflettono poi sullo stato di salute degli italiani, cha varia in rapporto a dove si risiede. Così, svela il rapporto, nel Sud a 65 anni di età si hanno davanti a sè tre anni di vita in meno che nel resto d’Italia. E se al Nord in media si può sperare di vivere in buona salute fino a 60 anni, nel meridione l’aspettativa scende a 55 anni, toccando il minimo di 52 in Calabria. Altri dati dell’Osservatorio italiano della salute rilevano del resto che al Sud l’aspettativa di vita è tornata ai livelli del dopoguerra, con Campania e Sicilia su valori uguali a Bulgaria e Romania, mentre nelle Marche e a Trento si hanno davanti gli stessi anni di vita degli svedesi.

Aver stretto sempre più i cordoni della borsa quando si è trattato di investire sul nostro servizio sanitario nazionale ha generato però diseguaglianze anche sociali, perché se la coperta del pubblico si ritira non tutti possono rivolgersi al privato.

Uno studio condotto un anno fa da Istituto superiore di sanità, Aifa, Agenas e Istituto per il contrasto delle malattie nella povertà, ha evidenziato che con un reddito superiore alla media si cominciano ad accusare i primi acciacchi a 70 anni. Mentre chi ha bassi redditi inizia a stare meno bene tra i 60 e i 64 anni. Colpa anche dei super-ticket, gli italiani meno istruiti ricorrono meno spesso a visite specialistiche ed esami diagnostici.

Insomma di fronte alla malattia non siamo affatto tutti uguali. Eppure la nostra sanità pubblica con quelle poche risorse che ha riesce a fare bene. Anzi, a dirla tutta il servizio sanitario nazionale è ancora un’eccellenza europea. Pur con le marcate differenze territoriali e sociali, in fatto di aspettativa di vita siamo secondi solo alla Spagna. Per quella senza disabilità ci sopravanza solo la Svezia. Da noi a 65 anni si può sperare di vivere quasi altri 10 anni senza avere limitazioni nelle attività quotidiane.

Un dato che è tra i migliori in Europa. Per i tumori l’Italia ha una mortalità inferiore alla media europea e andiamo meglio anche in fatto di mortalità evitabile, mentre in caso di infarto i nostri tassi di sopravvivenza sono i migliori del mondo occidentale. Forse con queste performance varrebbe la pena tornare a investire nella nostra sanità pubblica, mettendo gli italiani sullo stesso piano quando si tratta di salute.

Sorgente: La salute è un lusso per molti: c’è chi s’impoverisce per curarsi – La Stampa

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