Nota del redattore: Xin Ping è un commentatore di affari internazionali che scrive regolarmente per CGTN, Global Times e China Daily. L’articolo riflette le opinioni dell’autore e non necessariamente le opinioni di CGTN. È una verità universalmente riconosciuta che il famigerato complesso […]
Una giornata di “passione” per chi viaggia in treno. Ma, a differenza di altre volte, i guai non sono originati dai ritardi. Un informatico hacker ha mandato in tilt le biglietterie di Trenitalia, che non sono state in grado per tutto il giorno di erogare biglietti, […]
“Se continuate sveleremo tutto”: cosa sanno i Russi sulla Pandemia in Italia nel 2020? I russi minacciano di rendere pubblico il report che conclusero nel 2020 su come l’Italia stava affrontando la pandemia in provincia di Bergamo. Una minaccia diretta contro il Governo Conte II, […]
Fortissima mareggiata nella cittadina toscana (ANSA) (guarda il video cliccando il link in fondo all’articolo) 02 dicembre 2023, 18:20 Redazione ANSA Sorgente: A Marina di Pisa vento a 100 km/h, il mare invade le strade – Italia – Ansa.it
Scritto da: Laura Tussi Un fortunato connubio fra realtà toscane ha dato vita a EquAgenda, una pubblicazione che attraverso le parole di grandi autori del presente e del passato – da Fabrizio De Andrè a Francuccio Gesualdi, da Alex Langer a Erri De Luca – […]
Il Rapporto Ance-Cresme sullo stato di rischio del territorio italiano. Dal 2010 triplicate le spese leghate ai danni di Rosaria Amato ROMA – Oltre otto milioni di italiani vivono in zone a rischio medio-alto di alluvioni, il 15% del territorio nazionale. Ma a fronte di un’emergenza che richiede […]
di Laura Tussi – 20/11/2023 Siamo una piccola e importante realtà con un unico obiettivo: contribuire a cambiare il mondo per renderlo abitabile con dignità per tutte e tutti. A quasi dieci anni di distanza dal nostro primo incontro, parliamo di nuovo con Marco Bersani […]
Mario Draghi lancia il monito: “L’Italia – afferma il presidente della Bce al Parlamento Europeo – cresce meno rispetto al passato e significativamente meno rispetto alle aspettative”. Un rallentamento che “vale anche per altri ma è più marcato in Italia ma tuttavia è ancora “prematuro […]
Mario Draghi lancia il monito: “L’Italia – afferma il presidente della Bce al Parlamento Europeo – cresce meno rispetto al passato e significativamente meno rispetto alle aspettative”. Un rallentamento che “vale anche per altri ma è più marcato in Italia ma tuttavia è ancora “prematuro ipotizzare la necessità di rettificare il bilancio, non abbiamo ancora i dati”. Secondo Draghi “le consistenze elevate del debito in alcuni paesi sono problematiche” anche perché “un paese con un debito fuori controllo perde la propria sovranità”. Il presidente della Bce rivendica comunque come l’euro sia stato uno strumento per il recupero della sovranità monetaria per diverse nazioni. “Fino al trattato di Maastricht molti paesi non avevano nessuna sovranitàin politica monetaria, eccetto la Germania. Potevano agganciarsi al marco tedesco o svalutare a ripetizione, che significa non avere nessuna sovranità”. Se il debito è troppo elevato “per decisioni politiche dei Governi”, ricorda, il risultato è una perdita di credibilità e quindi “sono i mercati a decidere”. Insomma, conclude Draghi, “si perde la sovranità per via di politiche sbagliate”.
Appartenevano a una cellula denominata “Catacata Mp (Italy Sicily)”, operante a Catania e in provincia e con base operativa nel Cara di Mineo. Spacciavano droga e si scontravano con gruppi rivali per avere il predominio tra le comunità straniere del centro d’accoglienza. Stamane la Squadra […]
Appartenevano a una cellula denominata “Catacata Mp (Italy Sicily)”, operante a Catania e in provincia e con base operativa nel Cara di Mineo. Spacciavano droga e si scontravano con gruppi rivali per avere il predominio tra le comunità straniere del centro d’accoglienza. Stamane la Squadra mobile di Catania, nell’operazione “Norsemen”, ha arrestato 16 persone (tre sono irreperibili) accusate di far parte di una banda di spacciatori di cocaina e marijuana che con metodo mafioso operava in varie zone d’Italia ma che aveva una propria cellula operativa, chiamata “Viking” o “Supreme Vikings confraternity”, a Catania e nel Cara di Mineo.Uno degli indagati è stato bloccato nel capoluogo etneo, un’altro a Bergamo. Tutti gli altri sono stati fermati nel Cara di Mineo e rinchiusi nelle carceri di Catania Bicocca, Siracusa, Messina e Bergamo. Alcuni dei fermati avrebbero collaborato con i trafficanti di esseri umani in Libia. Nelle abitazioni di alcuni indagati sono state sequestrate una mannaia e grossi coltelli da cucina, dosi di marijuana e materiale per il confezionamento. Le persone fermate – tra cui tre donne – sono accusate di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope e violenza sessuale aggravata.In Nigeria si sarebbe radicato un ampio sodalizio criminale, poi diffuso in diversi stati europei ed extraeuropei. Un nigeriano – ospite del Cara di Mineo – ha denunciato aggressioni e una rapina subita da parte di suoi connazionali ospiti della struttura. Gli investigatori sono riusciti a registrare un rituale di affiliazione e intercettato un episodio di violenza sessuale di gruppo ai danni di una nigeriana ospite del Cara.Il centro di Mineo era uno snodo per l’approvvigionamento dei pusher nigeriani che spacciavano a Catania, Caltagirone e Caltanissetta. Al vertice della consorteria ci sarebbe stato William Ihugba, 31 anni, tra i fermati; il gruppo operante a Catania e provincia sarebbe stato guidato da Kingrney Ewiarion, 22 anni, anch’egli fermato. Tra gli altri indagati emerge la figura di Anthony Leonard Izedonmi, 28 anni, fermato in provincia di Bergamo, punto di collegamento con le altre cellule della confraternita in Italia.”Posso dire, come operatore del diritto, che il Cara di Mineo, così come è stato concepito, è stato un grosso errore e questo credo che lo riconoscano tutti”, ha affermato il Procuratore a Catania Carmelo Zuccaro rispondendo a una domanda sull’annuncio del ministro dell’Interno Salvini della chiusura del Cara di Mineo entro il 2019.”Così com’é – ha aggiunto – il Cara non funziona assolutamente, non svolge il suo compito ed anzi diventa snodo per i traffici di sostanze stupefacenti, luogo nel quale entrano ed escono criminali e nel quale si svolgono episodi di una brutalità impressionante”. “Il racconto delle violenza sessuali subite da donne dimostra come all’interno della struttura di Mineo purtroppo tutto vi é tranne che legalità. Questo è quello che pensa l’operatore del diritto. Il cittadino ha le sue opinioni”, ha concluso.
di Simone Pierini I lettori domandano e l’Accademia della Crusca risponde puntuale attraverso il socio Vittorio Coletti. «Si può dire “Siedi il bambino”?» è la domanda che ha incuriosito maggiormente gli italiani. Perché nelle regioni del Sud è uso comune formulare frasi come “siedi il bambino” ed “esci il cane” solo per citare […]
I lettori domandano e l’Accademia della Crusca risponde puntuale attraverso il socio Vittorio Coletti. «Si può dire “Siedi il bambino”?» è la domanda che ha incuriosito maggiormente gli italiani. Perché nelle regioni del Sud è uso comune formulare frasi come “siedi il bambino” ed “esci il cane” solo per citare due esempi. La risposta dell’Accademia, seppur con qualche cavillo nella spiegazione, è positiva.
«È lecita allora la costruzione transitiva di sedere? – dice Vittorio Coletti – Si può rispondere di sì, ormai è stata accolta nell’uso, anche se non ha paralleli in costrutti consolidati con l’oggetto interno come li hanno salire o scendere (le scale, un pendio). Non vedo il motivo per proibirla e neppure, a dire il vero, per sconsigliarla.
«Ma certo – sottoliena il socio dell’Accademia della Crusca – è problematico definirla transitiva perché la prova di volgere il verbo al passivo (accertata invece ormai per salire, specie nel linguaggio alpinistico col valore di scalare: la cima è stata salita da…) non sembra per ora reggere (la mamma ha seduto il bambino sul seggiolinoma *il bambino è stato seduto sul seggiolino dalla mamma) come del resto non regge per altri verbi in costruzione transitiva non passivabile (per es. si può dire ho dormito un lungo sonno ma non *un lungo sonno è stato dormito da me)».
«Diciamo insomma che sedere – conclude – come altri verbi di moto, ammette in usi regionali e popolari sempre più estesi anche l’oggetto diretto e che in questa costruzione ha una sua efficacia e sinteticità espressiva che può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali».
Cgil, lavoro Le auto, passando, muovono la turbina che produce energia elettrica rinnovabile. Geniale! Commenta con Facebook , Matteo Salvini, Maurizio Landini, migranti, Politica, Sea Watch, sindacato Sorgente: Una turbina che crea energia dal traffico delle auto – PeopleForPlanet
Tra il 1922 e il 1933 l’Europa venne sconvolta dall’avvento al potere di due regimi che avrebbero segnato tragicamente il XX secolo: il regime fascista in Italia e quello nazista in Germania.Portatori di due ideologie che intendevano ricreare il primo un “nuovo italiano”, il secondo una […]
Tra il 1922 e il 1933 l’Europa venne sconvolta dall’avvento al potere di due regimi che avrebbero segnato tragicamente il XX secolo: il regime fascista in Italia e quello nazista in Germania.Portatori di due ideologie che intendevano ricreare il primo un “nuovo italiano”, il secondo una “razza ariana” purificata attraverso lo sterminio di tutti gli elementi ritenuti “inutili”, “inadatti alla vita” o estranei al popolo tedesco, queste folli ideologie politiche sconvolsero il panorama sociale europeo.In particolar modo, in Germania il delirio nazista iniziò fin da subito la liquidazione sistematica di tutti gli elementi considerati “diversi” e che minacciavano la purezza della “razza ariana”. Milioni di persone, in prevalenza ebrei, ma anche zingari, Testimoni di Geova, atei, oppositori politici, portatori di handicap fisici e mentali, prostitute ed omosessuali, cominciarono una lunga marcia che li condusse nei campi di concentramento e di sterminio, e quindi alla morte.Questa tragedia ha riempito pagine e pagine dei libri di storia. Tuttavia, alcune parti di essa sono cadute nel silenzio, dimenticate per decenni. Tra queste quello che in tempi recenti è stato definito l’“Omocausto”: la persecuzione e lo sterminio di migliaia di omosessuali, uomini e donne. Ritenuti un pericolo per la società e per la “purezza della razza”, gli omosessuali tedeschi, e successivamente anche quelli dei paesi invasi dalla Germania, si ritrovarono travolti dalla folle selezione razziale, dapprima ricercati e braccati, e in seguito aggrediti, perseguitati e sterminati.Quelli italiani furono perseguitati dal regime fascista in maniera diversa, meno cruenta ma non per questo meno efficace. Non ne fu pianificato lo sterminio di massa, ma l’ampia discrezionalità delle forze di polizia e l’utilizzo frequente del confino inasprì il già difficile quadro culturale con cui dovevano fare i conti le donne e gli uomini omosessuali dell’Italia prefascista.Come per tutti gli elementi indesiderati, anche per gli omosessuali si aprirono i cancelli dei campi di concentramento. A migliaia (il numero preciso non si saprà probabilmente mai) vennero marchiati con un triangolo rosa, costretti a subire aberranti esperimenti medici, torture ed umiliazioni mentre quelli più forti che riuscivano a resistere, venivano soppressi nelle camere a gas.Un dramma, quello degli omosessuali, che non terminò neppure con la fine della guerra.Considerati “colpevoli” anche da chi aveva liberato i campi di sterminio, molti continuarono a scontare in carcere le pene inflitte dal regime nazista, così, nel timore di ulteriori persecuzioni, per la vergogna imposta da secoli di repressione, chi visse in prima persona l’Omocausto si chiuse nel silenzio. Per decenni del dramma di migliaia di uomini e donne imprigionati, torturati e uccisi per il loro modo di amare “diverso” non si seppe più nulla.Questo breve percorso in quella tragedia dimenticata vuole rendere omaggio alla memoria di quelle persone, alle loro sofferenze, alle loro vite spezzate.Per non dimenticare. Nessuno.
Il segretario Cgil ribalta la narrazione salviniana e auspica sul caso Sea Watch “una reazione della società civile” By Huffington Post AGF “Quella della Sea Watch è una situazione inaccettabile, le persone vengono prima. E bisogna smettere di usarle a fini elettorali. Che esista […]
“Quella della Sea Watch è una situazione inaccettabile, le persone vengono prima. E bisogna smettere di usarle a fini elettorali. Che esista un problema in Europa è sotto gli occhi di tutti ed è una battaglia da fare. Ma non sulla pelle di questa gente. Colpiscono soprattutto i loro occhi, sembrano in ostaggio. Ostaggio di chi li vuole osare a fini elettorali. Trovo davvero folle che si dica che il problema sarebbe l’invasione dei migranti, quando sono più i giovani italiani che sono dovuti scappare dall’Italia, che non trovano lavoro, dei migranti che arrivano in Italia”. A dirlo è Maurizio Landini, neo eletto segretario generale della Cgil, nel corso di Mezz’ora in più, su Raitre, sottolineando che “si cerca di raccontare un mondo che non c’è, non è più accettabile questa situazione. Dobbiamo mobilitarci tutti, in tutte le forme. Mi auguro che nelle prossime ore se non si sblocca la situazione ci sia una reazione della società civile, non ci può essere un mondo di sfruttamento delle persone”.
Il riferimento esplicito è a Matteo Salvini e alla sua strategia sull’immigrazione. “Dovrebbe smetterla di usare messaggi violenti e affrontare i temi” dice Landini, che allarga il ragionamento anche alle situazioni di caporalato a San Ferdinando. “Qualità del lavoro e diritti delle persone vengono prima della posizione politica” sottolinea.
La Cgil chiede un confronto con il Governo, di cui dà un pessimo giudizio, perché “si chiamano Governo del cambiamento ma non stanno cambiando quasi nulla e quando lo fanno è in peggio”. Tra Lega e M5S “formalmente c’è una differenza” sottolinea ancora Landini, ma “fanno un giochino, fanno finta che uno è governo e uno è opposizione”. Anche sul reddito di cittadinanza, il leader Cgil afferma che “non critichiamo la lotta contro la povertà, non diciamo che non si deve fare il provvedimento, ma critichiamo come lo si sta facendo”, perché “oggi si è poveri anche lavorando. Andava allargato lo strumento del passato Governo, il Rei, ampiando risorse e strumenti”, e serve lavoro, per cui “bisogna far ripartire gli investimenti” pubblici e privati.
Oltretutto al Governo “non si stanno confrontando con nessuno, hanno trasformato il Parlamento in un passacarte – sottolinea Landini – Un Contratto fatto fra privati sta impedendo al Parlamento di discutere” e anche rispetto al sindacato, “noi abbiamo 12 milioni di iscritti, firmiamo contratti che riguardano milioni di persone e con noi si deve discutere. Poi puoi non essere d’accordo, ma devi discutere. Oppure vai a sbattere. Faccio notare che tutti quelli che in passato hanno pensato che si potesse fare senza il sindacato sono andati a sbattere. Quando le cose sono complesse ci vuole tanta intelligenza e non ci sono i fenomeni che risolvono da soli. Quando dico fare sistema dico questo, confrontarsi con tutti e avere una visione. Questo è quello che manca”.
Il Governo ha disertato il Congresso della Cgil e “ha fatto una scelta sbagliata – commenta Landini – Noi li abbiamo invitati tutti, il premier e i due vice premier. Ci hanno mandato a dire che non venivano per ragioni di agende, ma semplicemente hanno scelto di non venire. E hanno perso un’occasione”. Ora dovranno fare i conti con la mobilitazione indetta dai sindacati a Roma per il 9 febbraio: “sarà una grande manifestazione perché c’è una grande voglia di cambiamento” e sarà l’occasione per Cgil, Cisl e Uil per chiedere al Governo “che si apra una vera trattativa con il sindacato. Per arrivare a un cambiamento vero”.
Non ho mai fatto del buon sesso con un uomo sotto l’effetto di droghe. Forse è una coincidenza. Illustrazione di Camilla Ru. Sono cresciuta in una famiglia cattolica del Devon, in una piccolissima città di periferia dove non succedeva mai niente di interessante. Pensavo che […]
Non ho mai fatto del buon sesso con un uomo sotto l’effetto di droghe. Forse è una coincidenza.
Illustrazione di Camilla Ru.
Sono cresciuta in una famiglia cattolica del Devon, in una piccolissima città di periferia dove non succedeva mai niente di interessante. Pensavo che avrei avuto una vita giudiziosa, onesta e saggia. Ma raggiunta l’adolescenza ho iniziato a sperimentare un po’ di tutto.
Nella mia università girava parecchia droga, così ho iniziato a farne un uso costante. L’MDMA è stata il punto di partenza: io e i miei amici ne avevamo sempre in discoteca. L’MDMA allenta i freni inibitori. Ti fa diventare subito più aperto e socievole, più sicuro di te.
La prima volta che ho fatto sesso sotto gli effetti dell’MDMA ero a un rave con un’amica. Sapevo già di essere bisessuale, prima di quella sera, ma non ero mai stata con una donna. Abbiamo iniziato a baciarci, poi siamo tornate a casa insieme. Avevamo già pianificato di dormire nello stesso letto quella notte anche senza secondi fini, eravamo amiche. Ma poi è successo. Ed è stato pazzesco, perché mi sentivo totalmente a mio agio e al sicuro, e lei era una persona che conoscevo bene. Non avevamo inibizioni, i nostri sentimenti positivi erano amplificati.
Quando fai sesso sotto gli effetti dell’MDMA ti sembra che non finisca mai, ma in senso assolutamente positivo. Mi ricordo perfettamente di aver pensato Quando finisce? Non voglio che finisca. Dato che con l’MDMA puoi stare sveglio tutta notte senza problemi, abbiamo continuato a farlo fino alle 10 o le 11 del mattino. Non sai più chi sei né che ore sono, e ti immergi completamente nell’esperienza.
Alla fine ci siamo addormentate e quando ci siamo svegliate la mia amica era preoccupata. Penso che stesse pensando alle conseguenze, al fatto che forse sarebbe stato strano. Ma quella sensazione è passata quasi subito, e abbiamo continuato anche dopo che l’effetto delle droghe era svanito. Poi ci siamo salutate, ci siamo date un abbraccio ed è finita così. Anche se non siamo mai più andate a letto insieme, ci siamo sentite molto più legate dopo quella notte.
Mentre facevo sesso con la mia amica, ricordo di aver provato un fortissimo legame emotivo—in alcuni momenti ho pensato di essere innamorata di lei. La mattina dopo, tornando a casa, pensavo, Oh mio Dio, sono davvero innamorata, è stato incredibile! Anche se poi mi sono resa conto che quella sensazione era generata dalla chimica del mio cervello.
Detto questo, non tutte le mie esperienze di sesso sotto l’effetto di droghe sono state così positive. Qualche tempo fa ho fatto sesso con un ragazzo dopo che tutti e due ci eravamo fatti di cocaina, e questo aveva fatto emergere in lui dei tratti non troppo positivi. È stato un rapporto frettoloso e lui non era davvero consapevole di quello che stava accadendo, non era lì. Lo sentivo distaccato, è stato piuttosto deludente.
Quando ti fai tanta cocaina regolarmente, come lui, gli effetti si insinuano nel tuo comportamento quotidiano. Alcuni studi hanno dimostrato che tratti come l’impazienza diventano comuni nelle persone che fanno grande uso di cocaina. Il sesso mi era sembrato abbastanza freddo, tipo: Ok, prima si fa questo, e poi questo per un po’, e poi anche questo. Non sembrava assolutamente interessato a me o a quello che volevo io. In realtà, non ho mai fatto del buon sesso con un uomo sotto l’effetto di droghe. Forse è una coincidenza.
Alcune droghe sono particolarmente inadatte al sesso. Tra tutte, la ketamina è probabilmente la peggiore. Ho fatto sesso sotto gli effetti della ketamina, ed è stato disgustoso. Ero a una festa in casa, con un tizio con cui uscivo all’epoca, e ci stavamo baciando sul divano. Mi ricordo benissimo di aver pensato, Oddio, è tutto molto strano. Dopo la festa siamo andati da me e abbiamo fatto sesso per un po’, anche se io non ero eccitata. Quando ti fai di ketamina, poi l’idea di essere toccata non è il massimo. Anzi, è davvero orribile. Ricordo che mi sentivo una lumaca gigante.
Fare sesso sotto l’effetto di droghe mi ha insegnato molto su me stessa. Vedere le cose da una prospettiva nuova è stata un’esperienza molto utile. Ma la cosa importante quando assumi stupefacenti è ascoltare il tuo corpo e le sensazioni, sia fisiche sia mentali. Perché non tutte le droghe hanno gli stessi effetti, ed è importante imparare ad ascoltarsi per stare meglio.
Nota: come dice anche Chloe, le droghe possono portare a situazioni spiacevoli e rischiose. Il nostro consiglio è sempre quello di avvicinarsi al sesso in modo sicuro, conscio e consensuale.
Rome, 28 January 2019, 9.30/12.30 – 14.00/17.30 Spazio Europa(managed by the European Parliament Office in Italy and the European Commission Representation in Italy) Via Quattro Novembre 149 (ground floor) – Roma CONFERENCE : Transforming the European Union into an Area of Freedom, Security and Justice. Twenty years […]
Spazio Europa(managed by the European Parliament Office in Italy and the European Commission Representation in Italy) Via Quattro Novembre 149 (ground floor) – Roma
CONFERENCE : Transforming the European Union into an Area of Freedom, Security and Justice. Twenty years after Tampere and ten after Lisbon, the objective is still out of reach
Twenty years ago, the Amsterdam Treaty entered into force and with it the objective of transforming and developing the European Union into an Area of Freedom, Security and Justice area (AFSJ). This objective confirmed ten years later by the Lisbon Treaty and by the Charter of Fundamental Rights, signaled the EU Member States determination of transforming the internal market into a new kind of supranational political space placing “.the individual at the heart of its activities, by establishing the citizenship of the Union and by creating an area of freedom, security and justice.”However, since then, the experience has shown us that despite some important successes, that goal is still far from being realized.
Many factors of political, bureaucratic, institutional nature and, above all, the overlapping of several external and internal crises have put a strain on the Union and its Member States. Although it will not be possible to analyze them in detail in one day seminar of 28 January, we will try to understand what the nature of the major shortcomings and which political legal and institutional steps can be taken to overcome these difficulties during the next parliamentary term, without revising the current Treaties.
Our brain storming will be take place around four round tables open to people coming from European and national institutions or from the academia who have followed closely the evolution of the different policies that contribute directly or indirectly to the transformation of the Union. in Space for freedom, security and justice.
During the round tables the institutional dimension will be taken into consideration (not only at European but also national level), as well as the growing role of European Agencies and Authorities and the international dimension (United Nations, Council of Europe)
1st Round table: The values that the EU and the Member States must protect and promote
Sharing common values is the prerequisite of achieving together the objectives set by the Treaties and is the basis of mutual trust between Member States, notably when they implement the AFSJ related policies. When these values are risk or are violated, the Treaty provide the possibility to suspend even the voting rights of the Member State in question (Article 7 TEU). In the same perspective the Court of Justice has also recognized that also the mutual trust between the EU MS could be compromised and that this could hinder the mutual recognition mechanisms notably when respect for the rule of law is at stake.
This round table will discuss on one side the common policies related to the AFSJ so that they respect the EU fundamental values and rights and on the other side the measures to be taken when one or more Member States jeopardize the values and the objectives of the EU. One can therefore ask whether, new mechanisms should be created to prevent these shortcomings at EU and National level.
2nd Round Table: Freedom of movement, border control, asylum and migration
Freedom of movement within the EU and the abolition of internal border controls are the proof of the existence of a supranational human mobility area so that it is worrying that several EU Member States are trying to re-establish in a more or less permanent way these checks at the internal borders. In the last years, (starting in 2013 from the Schengen governance reform), the European Union has developed an impressive series of initiatives protecting the external borders and has launched an integrated border management which is deemed granting the highest level of security. Many scholars and representatives of institutions such as the European Data Protection Controller, have considered the requests for further internal and external border checks disproportionate face to the alleged threats.
The same security-focused strategy has also been at stake to limit the right to asylum and even to limit the EU management of migratory flows as well as the visa policy. Also limited have been the EU initiatives to promote the integration of migrants in national societies and labor markets or to facilitate access for regular migrants.
Speakers: Giuseppe Cataldi, Giovanni Cioffi, Steve Peers, Mario Savino
12:30 Buffet
3rd Round table: the internal (and external) security area
The EU has developed since 9/11 its Internal Security agenda and this process has even intensified during the last ten years with a particular focus on preventing terrorism. Unfortunately most of these EU measures have been adopted without a proper prior and post impact assessment so that it is very hard to judge their effectiveness or even revise their scope. The lack of information from the Member States hinders the democratic control, especially at the European level, as it has been proved by a recent EP resolution.
To counter this the EU is developing interoperability between European and national databases even if these databases were originally designed for other purposes (e.g. EURODAC, VIS). Last but not least using the external security legal framework (which is not binding and lacks parliamentary control) for internal security policies makes everything more complex and less transparent.
Speakers: Tony Bunyan, Luisa Marin, Marc Rotenberg
4th Round table: the European judicial area
The European judicial area has developed considerably in the civil field but has remained incomplete in the criminal field. The principle of mutual recognition of measures taken at national level has undergone several setbacks with the weakening of mutual trust between Member States and in the presence of highly differentiated national contexts in a supranational area where some Countries are particularly affected by organized crime and others which are practically immune). The “Lisbonisation” of EUROJUST and the creation of the European Public Prosecutor’s Office are good steps in the right direction but synergies between police and judicial cooperation at EU level are still incomplete and there is no currently an EU Strategy for strengthening the criminal justice area.
Speakers: Luca de Matteis, Lorenzo Salazar, Andrea Venegoni
Chair: Emilio De Capitani
Working language: Italian, English
Organizational secretary: Fondazione Lelio e Lisli Basso Via della Dogana Vecchia, 5 – Roma Tel. 06 6879953 – [email protected]
Di Ciuenlai – I renziani hanno rispolverato la lezione democristiana della diaspora. All’indomani di tangentopoli si divisero su tutti due i fronti per poi riunificarsi in quel capolavoro politico che è stata “la mossa del paguro”, e cioè la conquista del “guscio” (pardon del partito) […]
Di Ciuenlai – I renziani hanno rispolverato la lezione democristiana della diaspora. All’indomani di tangentopoli si divisero su tutti due i fronti per poi riunificarsi in quel capolavoro politico che è stata “la mossa del paguro”, e cioè la conquista del “guscio” (pardon del partito) dell’ex avversario.Fallita l’operazione Minniti , per la sua non disponibilità a fare la parte della bella statuina, hanno iniziato e con un certo successo, l’operazione di infiltrazione in tutte le direzione. E Allora tengono una loro lista (Giachetti e Ascani), egemonizzano il “clan” attorno a Martina con pezzi da 90 (pardon da 1) come Lotti, Orfini, Richetti e Del Rio e si infiltrano tra le file del nemico con le conversioni “sulla via di Brixelles” di Ricci, Madia e opportunisti vari.Il risultato sarà che alla fine , con tutto Giachetti, la maggioranza di Martina e un pezzettino di Zingaretti, negli organismi dirigenti, avranno un peso molto più grande del loro reale consenso.E’ un po’ quello che hanno studiato in Cgil dove il loro uomo (Colla) ha fatto tutta quella manfrina , montata sul niente, visto che aveva approvato il documento congressuale, solo per costringere la maggioranza , a “pagare” più del dovuto e del peso di questa minoranza, il grande valore che l’unità ha agli occhi dei lavoratori.Insomma una serie di operazioni per racimolare il maggior numero di posti possibili ed avere “diritto” a quote significative di presenza nelle liste e nell’indicazione dei candidati alle Europee e alle amministrative della prossima primavera. Questo il quadro in cui si trova ad operare Zingaretti. Se vuole, quindi spostare a sinistra, come dice, l’asse del Pd, avrà bisogno di un consenso plebiscitario che vada molto, ma molto, ma molto oltre il 51% dei voti alle primarie aperte. Perché oltre ai renziani , la sua lista è piena di democristiani “fradici” come Franceschini e di Conservatori incalliti come Gentiloni, che gli hanno già tracciato la strada attraverso il “lodo” Calenda, che, guarda caso, ha subito chiuso il “listone” dell’ammucchiata moderata a sinistra. Quindi se non ottiene un plebiscito (almeno i 2/3 dei voti), con una risicata maggioranza, sarebbe ostaggio di tutte queste forze estranee alla tradizione e alla storia del movimento operaio italiano, che, in caso di necessità, sarebbero pronte a riunirsi di nuovo per riprendersi il Pd o quello che lo sostituirà. Perché lo scopo è quello di continuare nella linea perseguita, soprattutto negli ultimi 10 anni. Dare una formale “ imbellettatura” e una “timbratura” di sinistra ad una politica di destra.
Fin dai suoi albori – quel 17 novembre che sembra così lontano eppure così vicino – la rivolta dei gilet gialli ha fatto emergere un carattere inedito, probabilmente non paragonabile a nessuno dei movimenti sociali apparsi sulla scena europea negli ultimi anni, forse decenni. Per […]
Fin dai suoi albori – quel 17 novembre che sembra così lontano eppure così vicino – la rivolta dei gilet gialli ha fatto emergere un carattere inedito, probabilmente non paragonabile a nessuno dei movimenti sociali apparsi sulla scena europea negli ultimi anni, forse decenni. Per questa ragione abbiamo privilegiato l’approccio dell’inchiesta, andando più volte a Parigi durante le manifestazioni e cercando di vivere dall’interno sia i momenti di lotta che quelli di organizzazione. La nostra inchiesta continua con un’intervista a Toni Negri, che a più riprese ha cercato di leggere questo movimento e le sue evoluzioni. L’intervista è stata realizzata da due attivisti del centro sociale Pedro di Padova, approdati a Parigi prima del X Atto, e precede di qualche giorno l’Assemblea delle Assemblee, primo grande rendez-vous organizzativo nazionale dei gilet gialli.
1 A partire dai primi articoli che hai scritto sui gilet gialli hai sempre evidenziato la loro dimensione molecolare, da leggere più nel divenire che negli eventi insurrezionali in sé. Come si è evoluto questo “movimento”? L’evoluzione del movimento è difficile da descrivere. Certamente è un movimento che si è consolidato nei suoi aspetti migliori emersi finora. Intanto si tratta di un movimento nazionale, che è veramente dappertutto, e che in particolare, soprattutto negli ultimi appuntamenti, ha concentrato un grande livello di partecipazione nelle città del sud, come Tolosa e Bordeaux.
Dall’altra parte ha cominciato a strutturarsi, in un processo lento, ma abbastanza forte. Dove c’erano dei rond-points ora c’è un’assemblea permanente o si è costituito un club. Si tratta di strutture non territoriali, ma sparse sul terreno nazionale che sono momenti di discussione, di progetto. Questo ha permesso il consolidarsi del “no” al grande dibattito proposto da Macron e allo stesso tempo ha fatto sviluppare tutta una serie di collegamenti. In particolare ce n’è uno sopra Parigi, a Commercy, che ha promosso – intorno a fine gennaio/febbraio (in realtà si tratta dell’Assemblea delle Assemblee tenutasi il 26 e 27 gennaio ndr) – un momento di “messa insieme”. Tutto questo è estremamente importante perché descrive un processo organizzativo in corso, assolutamente orizzontale, senza leadership, che definisce un movimento di coagulo delle opinioni e degli obiettivi.
Quali saranno gli ulteriori sviluppi non lo so; non lo sa nessuno in realtà. Questo perché c’è una struttura che si è impadronita degli strumenti di democrazia diretta e prima di tutto li gestisce in proprio. Bisogna aspettare di domenica in domenica, il giorno dopo il sabato, per capire come vanno le cose. Però mi sembra che gli elementi importanti siano: dimensione nazionale, tenuta contro il tentativo di Macron di assorbirli nel dibattito, tenuta di un livello esterno, mantenimento di un livello orizzontale senza leadership, sviluppo di organizzazione in termini orizzontali e di collegamento interno, una moltitudine che si compone. Tutto questo mi sembra tutt’altro che congiunturale e, per il momento, sta assumendo un vero aspetto di contropotere nella società francese.
2 Come si inseriscono i gilet gialli nel ciclo lungo di mobilitazioni francesi degli ultimi tre anni, a cavallo tra le presidenze di Holland e Macron?
Questo ciclo di lotte è stato estremamente interessante. Ci sono state due grandi stagioni: quella contro la loi travail e quella nata attorno alle proteste dei ferrovieri Ma qui direi che la cosa è radicalmente diversa, malgrado gli aspetti di novità che c’erano nelle due grandi lotte. Queste ultime erano un residuo della leadership sindacale, della settorialità dei bisogni espressi ed avevano una struttura fondamentalmente metropolitana, se non forse addirittura parigina.
Mancava quindi un carattere nazionale, c’era ancora un legame con il sindacato. Badate bene, il fatto che il sindacato non ci sia in piazza oggi non è né una perdita né un vantaggio: il sindacato proprio non ci può stare, perché le rivendicazioni sono immediatamente politiche e sono complessive. Quello che si chiede è il salario sociale, la capacità di stare al passo con il costo della vita; è una vertenza globale sul costo della vita e non di carattere sindacale, con un discorso sulla distribuzione in una società nella quale il comando capitalista non passa più attraverso le fabbriche, ma dalla complessità dell’estrazione sociale di valore. Questo movimento si pone a un livello altissimo, liquidando il sindacato come elemento dell’altro secolo.
Personalmente sono contento quando vedo i gruppi di sindacati di base entrare nelle manifestazioni e penso che questa sia una cosa da accentuare, da spingere, lo dico sempre ai compagni che lavorano su questo terreno. Però c’è stato Lauren Berger, segretario del CFDT, il sindacato cattolico francese, che ha detto: «i gilet jaunes sono un elemento mortale per il sindacato». Effettivamente, rompono completamente la settorialità dell’azione sindacale e rompono la funzione stessa che il sindacato ha assunto oggi, che è quella statale di convogliamento delle proposte produttive industriali, senza rendersi conto che la produttività è sociale. È un vero sindacato sociale quello dei gilet jaunes, ma allo stesso tempo è una forza politica, un contropotere complessivo.
3 I gilet gialli rappresentano il primo grande movimento – quantomeno nello spazio europeo occidentale contro le politiche neoliberali. Giustamente lo hai definito “non congiunturale”, ma quali sono le sue specificità francesi e quali le sue caratteristiche “globali”?
Le specificità francesi sono molte, perché sono quelle cose che non si riesce mai a capire fino in fondo (tono ironico ndr). Queste lotte ci ricordano il ’68, ma qualcuno, adesso sempre di più, sta tirando in ballo anche il 1789 o il 1793 (si chiamano infatti club proprio per richiamare i club giacobini). È evidente che si tratti di gente molto colta, di una moltitudine cognitiva di livello molto alto, che legge i giornali ogni giorno e ha un dibattito politico aperto. In generale è la società francese ad essere colta e anche il disoccupato è un prodotto di una società nella quale i flussi culturali sono ricchi.
Queste caratteristiche ci sono nel bene e nel male. Io non so assolutamente quale atteggiamento ci possa essere nei confronti dei migranti; so che Macron, proprio contro i gilet jaunes, cerca di aprire il dibattito al loro interno su questo, con tutta probabilità per dividerli. C’è stato uno spostamento a destra da parte di Macron nelle sue ultime espressioni, estremamente provocatorio, proprio rispetto alle caratteristiche “francesi” del movimento e in particolare sul tema del nazionalismo, dei migranti e dell’anti-europeismo. E se fa delle provocazioni di questo genere è perché ha veramente molta paura.
Allo stesso tempo i gilet gialli contengono un discorso globale, sul quale ad esempio la sinistra americana non è ancora arrivata. Da Occupy alla sinistra socialista che oggi si è creata nelle correnti del Partito Democratico, nessuno sta ragionando su questo livello. Quindi è un momento estremamente alto di lotte in Francia ed è un momento tendenziale.
Stamattina facevo un’intervista con Mediapart, una testata molto importante in Francia, e la giornalista che mi intervistava, che lavora spesso in Ungheria, mi diceva che è molto alto il prestigio che hanno i gilet jaunes tra coloro che protestano contro questa folle legge sul lavoro fatta da Orban (400 ore di lavoro straordinario che si possono imporre al dipendente che vengono pagate nei successivi tre anni). Ci sono anche cose caricaturali, ma certamente è qualcosa di molto forte a livello globale.
E insisto su questi elementi di democrazia diretta, su questa critica radicale alla democrazia rappresentativa. Sapendo che dal vertice fino all’ultimo comune è una macchina che non ti perdona, come si fa a costruire una democrazia? Bisogna parlarne di questo, perché è il momento; ormai si è aperta la battaglia sulla democrazia diretta e sulla possibilità che diventi qualcosa di vero. Non un’utopia o quella cosa che ci hanno raccontato sempre che ci volevano i partiti, che se non sei un partito sei fottuto, o Laclau che mette tutto insieme: tutte falsità, oggi.
4 Nei tuoi articoli hai spesso fatto riferimento ai concetti di “doppio potere”, “contro potere” e “altro potere”, sempre in funzione di una dimensione moltitudinaria delle insurrezioni. Qual è il ruolo delle realtà militanti per soggettivizzare questa moltitudine, per darle organizzazione e obiettivi politici “di parte”, per trasformarla in classe?
Enorme! Enorme la sua importanza. Oggi si è aperta la battaglia su dove andare, su quale organizzazione darsi. Quando, ad esempio, dico che questo è un movimento non contingente non dico che durerà per forza molto tempo; può durare anche pochissimo, ma resta non contingente, come la Comune di Parigi che è durata tre mesi, però ha avuto un importanza mondiale.
Il problema, oggi, è che bisogna capire cosa e come fare. Ad esempio c’è una forza trozkista che corrisponde all’incirca a quello che sono stati in Italia gli autonomi fino a un certo momento: l’NPA, nuovo partito anticapitalista. È una grossa forza, aldilà del fatto che sia trozkista, è un partito con una capacità di estensione nazionale, con quadri che sono diffusi e sembrano quasi la vecchia autonomia italiana degli anni 70), con un’enorme diffusione.
Questi qui, ad esempio, sono ancora sballati, non capiscono se devono starci dentro o no, dicono dappertutto «prudenza»; ma prudenza per cosa? Per aspettare le cose che se non ci entri ti capiteranno sicuramente? Ma dall’altra parte non riescono neppure a svestirsi del loro atteggiamento partitico, della loro ansia di centralizzazione e di messa al lavoro della gente che gli sta attorno in base ai propri programmi. C’è proprio una difficoltà antropologica per la gente dei partiti anche se sono, come questi qui del NPA, gente terribilmente onesta e brava, quadri di fabbrica eccezionali, inseriti anche nei servizi nelle poste. Però hanno questo stampino che rende impossibile trovarsi con la gente dei gilet janues.
Quindi: è importantissimo esserci dentro, ma bisogna essere adeguati, e qui il processo rischia di essere lungo. E pure per i gilet janues non è chiaro cosa fare, è un processo in divenire, tumultuoso, contraddittorio, faticoso, e però…vero. E ciò che importa è questo, che sia vero.
5 Come “parlano” i gilet gialli alla situazione italiana?
C’è Di Maio che ha fatto questa uscita. È apparsa una lettera di un compagno a quello che sembrava fosse in contatto con Di Maio, uno a cui i media avevano affibbiato il ruolo di “capo” (loro non possono vivere senza dei capi a cui rivolgersi ed è una cosa rivoluzionaria totale il fatto che in una lotta enorme non ci siano capi), spiegando cosa fossero i Cinque Stelle e tutto è finito nell’arco di un quarto d’ora, di mezz’ora, di un pomeriggio e hanno rigettato al mittente la proposta.
D’altra parte c’è un estremo interesse nel capire come hanno fatto a nascere i Cinque Stelle. Perché questo è un problema che si pone soprattutto a forze come le vostre, perché sono stati capaci di raccogliere i frutti di mille battaglie fatte dagli autonomi e da forze di base. Sono stati capaci di infinocchiare tutti, di mettere in piedi una tecnopolitica della rappresentanza, che non cambia nulla proprio perché è della rappresentanza.
6 La miccia dei gilet gialli è stata l’introduzione della carbon tax, poi ritirata da Macron, rischiando di fatto una contrapposizione tra giustizia climatica e giustizia sociale. Diversi analisti, tra cui Dardot e Laval, hanno in realtà affermato che il movimento è il primo che intreccia i due temi su un piano avanzato della lotta anticapitalista. In tanti comunicati e slogan emerge che i gilet gialli sono per la giustizia climatica, ma pretendono che la “transizione” la paghino i ricchi e le grandi centrali di inquinamento. Quanto una lotta contro i cambiamenti climatici può assumere i connotati di una vera e propria lotta anticapitaliata?
Se la lotta anticapitalista non si carica anche della transizione climatica è una lotta che sballa. Prendiamo ad esempio l’ILVA di Taranto: tu puoi vincere quello che vuoi sul piano della lotta anticapitalista, ma resta una perdita complessiva per ogni movimento finché funziona in quella maniera ed è impiantata in mezzo alla città.
Il mutamento climatico in tutte le sue espressioni è una cosa grave che, oltretutto, massacra i poveri. Da questo punto di vista, ogni lotta deve comprendere come aspetto essenziale quello climatico. E quando dico comprendere intendo non in termini distintivi, ma di intreccio, anche perché ormai sono anni che le contraddizioni ecologiche sono state ampiamente risolte dai movimenti,
Non sono così sicuro che le cose stiano in questi termini all’interno dei gilet jaunes, perché penso che anche lì ci siano delle fratture e degli elementi di discussione ampi. Ma son altrettanto convinto che il “buon senso” – perché si può parlare di buon senso all’interno dei gilet jaunes, in termini di deposito ontologico costante – abbia fatto completamente rientrare la questione ecologica all’interno di quella legata al costo della vita, al salario sociale, ai servizi pubblici e a tutto il resto. C’è questo “buon senso”, ma ci sono anche delle contraddizioni, proprio perché questo resta un “movimento”, in cui non c’è una verità dogmatica ed ogni cosa è sempre da discutere, da aprire. E speriamo che si consolidi in fretta.
È stato Alessandro Di Battista ad annunciare su Facebook che Le Iene avevano pizzicato l’azienda sua e di suo padre con un lavoratore in nero. E noi siamo andati a chiederlo direttamente al papà Vittorio, che ci ha parlato anche del suo amore per il […]
È stato Alessandro Di Battista ad annunciare su Facebook che Le Iene avevano pizzicato l’azienda sua e di suo padre con un lavoratore in nero. E noi siamo andati a chiederlo direttamente al papà Vittorio, che ci ha parlato anche del suo amore per il “nero”
Lei ha tenuto mai lavoratori in nero? “Sì, pensi che scoop”. Risponde in maniera secca Vittorio Di Battista a Filippo Roma, che gli chiede conto della sua società, la Di.Bi.Tec srl, che commercializza apparecchi sanitari a motore, di cui il figlio Alessandro è socio di maggioranza e siede nel consiglio di amministrazione. “Ne ho tenuto uno quattro o cinque ore settimanali di media. Non mi pare bello ma mi pare obbligato”. “Giustifica il lavoro nero?”, gli chiede la Iena. “In certi aspetti sì, anche perché è diffuso in Italia”, risponde papà Di Battista. “Si dovrebbe cercare di contrastarlo, ma andando a colpire la situazione che non permette alle persone di assumere regolarmente, perché costa un sacco di soldi”. E poi, sollecitato da Filippo Roma su un suo vecchio post, aggiunge: “Faccetta nera secondo me è una canzone totalmente antirazzista”. Lei è fascista. “A livello culturale sicuramente sì. Del fascismo mi piace l’etica, lo sviluppo delle opere pubbliche. Non mi sono piaciuti certamente gli aspetti dittatoriali perché sono profondamente democratico”.
Ma Filippo Roma va a chiedere conto direttamente a Alessandro Di Battista per una seconda volta, che gli conferma che la prima volta che aveva parlato con la Iena della sua azienda sapeva del lavoratore in nero ma non glielo aveva riferito. E aggiunge: “Dopo essere andato dal papà di Renzi, di Di Maio e da mio padre, secondo me dovresti anche andare da Berlusconi con la condanna di Dell’Utri e chiedergli spiegazioni sui finanziamenti a Cosa nostra. Questo è un servizio che Le Iene dovrebbero fare”. Filippo Roma gli risponde: “Parliamo di fatti di trent’anni fa, ora Berlusconi non è al centro della politica e al governo ci state voi, comandate voi. Quindi è a voi che facciamo le pulci. Berlusconi è il nostro editore e in vent’anni non l’abbiamo mai intervistato per un semplice fatto: Berlusconi è quello che comanda. Il nostro programma va avanti da anni conquistandosi piano piano spazi di libertà che anche per questo motivo esistono. E per fortuna neanche lui ha mai chiamato noi per chiedere di fare o meno un servizio”. E l’intervista finisce con la promessa di Alessandro Di Battista di mettere in regola il lavoratore della sua azienda.
GIANNI GIACOMINO VENARIA È stato come un pugno nello stomaco, diretto e improvviso. I tanti che stamattina affollavano il mercato del sabato di Venaria si sono ritrovati davanti una truppa urlante ordini in tedesco con indosso le divise delle SS, donne e uomini infilati in […]
È stato come un pugno nello stomaco, diretto e improvviso. I tanti che stamattina affollavano il mercato del sabato di Venaria si sono ritrovati davanti una truppa urlante ordini in tedesco con indosso le divise delle SS, donne e uomini infilati in vestiti laceri e con gli sguardi impauriti e poi anche dei ragazzi (del Centro Nuova Danza di Settimo) che con i nazisti hanno dato vita ad un drammatico balletto che ha ricostruito un’azione di rastrellamento in piazza Pettiti e ad altre due toccanti rappresentazioni in piazza Vittorio Veneto e piazza dell’Annunziata sulle note della colonna sonora del film Schindler’s List.
Nell’era delle fake news, supporta La Stampa e l’informazione di qualità
Così per il terzo anno consecutivo la presidenza del Consiglio comunale di Venaria e il Comitato Giorno della Memoria hanno scelto una rievocazione choc per non far dimenticare il dramma della Shoa. Decine di figuranti hanno attraversato il mercato di viale Buridani inscenando un rastrellamento nazista con prigionieri un gruppo di giovani. Gli attori sono partiti da corso Matteotti e si sono infilati nel centro città sino a raggiungere piazza dell’Annunziata. Tutto in una commozione crescente tra persone che piangevano oppure si facevano il segno della croce.