Alla Casa Bianca forse hanno sbagliato i conti. Coinvolgersi in tutte le guerre possibili e immaginabili (“per difendere la democrazia”, beninteso) non funziona, se poi lasci i tuoi alleati senza le armi. È quanto sta succedendo, secondo un report del Wall Street Journal sull’isola di Taiwan, ma che denuncia una “preoccupante situazione di deficit di approvvigionamento” nel resto del blocco occidentale, specie in Europa.
Le guerre in corso e quelle mal preparate
Dalle parti di Taipei, sono finalmente giunti i nuovi lanciatori blindati Humvee, per missili superficie-superficie. Veicoli di ultima generazione, ma armati con vettori vecchi e a corto raggio. Insomma, una mezza presa in giro. “I missili scomparsi – scrive il Wall Street Journal -, sono tra i numerosi ritardi nella consegna di armi che l’esercito ha in parte attribuito alle tensioni nell’industria della difesa statunitense”. E qua va fatto un inciso, per spiegare l’origine “strutturale” della disfunzione: non è una questione di soldi. Peggio. Semplicemente, gli apparati produttivi non possono essere riconvertiti, in breve tempo, per riuscire a soddisfare la crescita esponenziale della domanda.
Troppe guerre in corso e troppe altre possibili
Significa che ci sono troppe guerre, o che quelle che sono aperte rischiano di degenerare in conflitti globali. Per cui, con un effetto domino (che nel caso della Nato è deciso da Washington) ogni Paese si attrezza, aumentando la spesa militare. Se tutti decidono di armarsi al supermarket della guerra tecnologica a stelle e strisce, allora saturano il mercato, allungano i tempi di consegna e fanno salire in modo esponenziale i prezzi. Ma questo arricchisce l’industria americana. Certo, l’ingordigia del capitalismo tecnologico, che ingrassa con le guerre, spesso gli fa fare il passo più lungo della gamba. Così, il sovrapporsi del conflitto in Ucraina, della crisi in Medio Oriente e delle tensioni nello Stretto di Taiwan e, più in generale, nell’Indo-Pacifico, ha rivelato i limiti di una strategia finanziaria trainata dalle spese militari.
L’economia armata Usa
“Mentre sforna armi per rifornire due guerre (in Ucraina e Israele) – sostiene il Wall Street Journal – l’industria della difesa americana ha dovuto affrontare una serie di sfide, tra cui la carenza di chip, macchinari e lavoratori qualificati. A un certo punto, quest’anno, i colli di bottiglia nella fornitura hanno ritardato la consegna dei sistemi d’arma a Taiwan, per un valore di oltre 20 miliardi di dollari”. Ma si potrebbe dire lo stesso, per i proiettili di artiglieria destinati all’esercito di Kiev. La coperta è troppo corta, l’impegno militare è stato calcolato decisamente male e, alla fine, si è dovuto scegliere, dando priorità assoluta al bagno di sangue in Ucraina. Lo sforzo americano, di assistere Zelensky, è arrivato al punto da saccheggiare pericolosamente anche i propri magazzini che, infatti, solo adesso sono in corso di ricostituzione.
Guerra di logoramento, chi si logora prima?
Inoltre, una strategia Usa (più volte rivendicata e confermata) di “guerra di logoramento” contro la Russia, ha costretto tutti gli alleati a una precipitosa politica di riarmo, che ha dirottato sulla spesa per le “minacce alla sicurezza democratica” enormi fondi di bilancio. Sottratti, è chiaro, ad altri capitoli di spesa, tra cui quella sociale. Quibdi, non siamo davanti soltanto a un problema di tipo geopolitico, ma nella discussione entrano, se volete, questioni di etica, moralità collettiva e di economia delle scelte pubbliche.
Nel Vecchio continente armi dai musei
Nel Vecchio continente, per certi versi, è pure peggio. Sempre il Wall Street Journal dedica altri ampi report a una situazione che per l’Europa è giudicata critica. Tanto che il Regno Unito, a un certo punto, si è ritrovato solo con 150 carri armati e una dozzina di pezzi di artiglieria utilizzabili. “I depositi erano così vuoti che l’esercito britannico aveva preso in considerazione l’idea di procurarsi diversi lanciarazzi dai musei, per aggiornarli e mandarli in Ucraina”. Poi, magari ci si chiede come mai gli ucraini debbano sacrificare le loro vite, combattendo (spesso) con fondi di magazzino. Ma la verità su Kiev è anche un’altra. Se il vero problema non sono i soldi, ma la fabbricazione delle armi e la qualificazione del personale che le deve utilizzare, allora l’Europa è nei guai.
Sempre meno America per amore o per forza
Perché, qualsiasi disimpegno americano (e non riguarda solo Trump, ma la tendenza, nel tempo, sarà bipartisan) difficilmente potrà essere coperto dagli sforzi dell’UE. L’Europa ha la capacità “potenziale” di armarsi fino ai denti, ma dovrebbe deviare risorse da settori sociali “sensibili”. E si ritroverebbe la gente nelle piazze. Per non dire quello che succederebbe (e che già sta succedendo) nelle urne. Il Wall Street Journal parla dei “bei tempi andati”, quando la sola Germania Ovest aveva la bellezza di 7 mila carri armati. Mentre oggi ne ha solo 200.
Bisognerebbe spiegarlo a quel 43% di tedeschi, “populisti” di destra e di sinistra, che in Brandeburgo hanno votato soprattutto contro la gestione della guerra in Ucraina. Partiti rompi-sistema, che si sono già affermati in Turingia e Sassonia e che rischiano di imporsi anche a livello nazionale. La democrazia parla attraverso il voto. Il resto è solo fumo, per nascondere i propri fallimenti.
Sorgente: Troppe guerre in corso e l’industria bellica Usa va in crisi – Remocontro
Scopri di più da NUOVA RESISTENZA antifa'
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.